Intervento al convegno straordinario degli animatori dei Gruppi di ascolto (Centro pastorale card. Urbani / Zelarino, 20 settembre 2014)
20-09-2014
Convegno straordinario degli animatori dei Gruppi di ascolto
(Centro pastorale card. Urbani / Zelarino, 20 settembre 2014)
Intervento del Patriarca mons. Francesco Moraglia [1]
Ringrazio don Valter per l’introduzione ed entro subito in argomento. Siamo nell’anno pastorale che conduce al cinquantesimo della chiusura del Concilio Vaticano II (1965/2015) ed allora entriamo un po’ in questo spirito, perché il Vaticano II deve essere riletto, ristudiato, ripensato, soprattutto vissuto. L’anno che ci prepara al 2015 deve essere, in qualche modo, un anno importante.
Il tema che affronto è “La lectio divina” (la Dei Verbum parla, al n. 25, di “pia lettura”): “la pia lectio”) e mi dedicherò anche ad una sua esemplificazione. Io credo infatti che i Gruppi di ascolto – oltre ad essere capaci di incontri fraterni, avere un responsabile, una comunità che condivide, una casa che accoglie – hanno bisogno di un metodo, un metodo con il quale ascoltare.
Per “lectio divina” non si intende qualsiasi tipo di lettura o studio della Bibbia, ma una particolare attenzione alla Parola rivelata e a Colui che ci parla. In quell’incontro c’è un Maestro, che non è la comunità e che, alla fine, non è neanche colui che guida la comunità. La “lectio divina” è un evento, è una realtà nella quale noi entriamo, la Parola di Dio ascoltata alla presenza del Dio vivente e sotto l’azione della sua grazia.  
Ho voluto che fossero scelti oggi dei testi marciani perché il vostro libro di riferimento quest’anno sarà proprio il Vangelo secondo Marco che, per i veneziani, ha poi un significato particolarissimo essendo i custodi delle spoglie dell’evangelista.
Il brano di Marco della parabola del seminatore inizia dicendo: “Cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare…” (Mc 4, 1). Ecco, nei nostri Gruppi di ascolto, il Maestro è Lui e noi creiamo le condizioni perché Lui possa parlarci.
“Cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva” (Mc 4, 1).  
Gesù è l’insegnante, il docente. Insegna – dice l’evangelista Marco – stando in mare. Il mare è il luogo dell’infinito, è il luogo anche della precarietà, è il luogo che getta i ponti e le comunicazioni tra le sponde collegate dal mare. Chi sta sulla terra e sembra ben radicato, fisso, stabile, sicuro, ha bisogno invece di ricevere quella parola che gli proviene da colui che è seduto – come dice Marco – in una barca in mezzo al mare.
Nei passi che oggi usiamo come riferimento (Mc 1,16-20; 2,13-17; 3,7-19), potete notare tra l’altro: ”Passando lungo il mare di Galilea, vide…”, ”Uscì di nuovo lungo il mare…”, “Gesù intanto si ritirò presso il mare”. Però, quando costituisce i Dodici, “sale sul monte”…
Sappiamo poi la differenza tra Luca e Matteo: Matteo fa pronunciare le beatitudini di Gesù sul monte – “Vedendo le folle, Gesù salì sul monte…” (Mt 5, 1) – dove insegna il codice del regno di Dio, mentre per l’evangelista Luca Gesù scende dal monte (cfr. Lc 6, 17), il monte come luogo dove si compie l’incontro con il Signore.
L’importanza della lectio divina suppone che nei nostri gruppi ci sia un rapporto con il Padre, con il Dio Trinitario; il Padre – che ci parla nel suo Verbo con lo Spirito – è il Maestro, l’esegeta, Colui che crea la comunione. “Credo la Chiesa” ma, prima, ho detto “credo lo Spirito Santo che è Signore e dà la vita”. Allora i nostri piccoli gruppi si mettono di fronte al Dio Trinità e il Padre che sta nei cieli ci parla attraverso Gesù Cristo, suo Verbo, nello Spirito Santo.
Cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose con parabole…” (Mc 4, 1-2).
La lectio divina suppone l’ascolto e la risposta. In uno studio scientifico della scrittura, in una lettura filologica o “letteraria” di un testo, questo non avviene; la lectio divina suppone, invece, chi ascolta e chi risponde. Per un grande Padre della Chiesa l’ignoranza della Scrittura era l’ignoranza di Cristo: chi non conosce la Scrittura non conosce Cristo. San Girolamo dice: ”Se preghi, sei tu che parli; quando leggi, è Lui che ti parla”.
Bisognerebbe proprio che nei nostri Gruppi entrassimo in questa logica diversa. È un ascolto credente e orante, è un mettersi alla presenza di Dio e questo avviene in una piccola comunità. Il vero maestro è il Signore Gesù, attraverso il quale il Padre vi parla nello Spirito Santo.
Anche san Benedetto (vi indicherei la lettura del cap. 48 della sua Regola, perché parla proprio della lectio divina) dice che, a un certo punto, c’è bisogno della lectio divina, c’è bisogno di leggere, ascoltare e rispondere alla Parola di Dio. E lo dice nel capitolo che dedica al lavoro manuale dei monaci: più noi siamo attivi, più noi siamo chiamati ad operare, più noi siamo chiamati ad ascoltare, ad avere momenti di ascolto.
Molte volte la lectio divina può sembrare una cosa per pochi e, invece, è il nutrimento di una comunità credente. Le nostre omelie dovrebbero essere di più legate a questo modo reale di metterci alla presenza del Signore. D’altra parte, il sacerdote non è colui che parla di Gesù, ma colui che parla – soprattutto nell’omelia – con l’autorità di Gesù. L’autorità di Gesù non è un potere personale; è semplicemente un lasciare che il Signore prenda spazio in noi.
Vi indico, allora, i quattro momenti della lectio divina; ogni metodo, infatti, ha un suo procedimento. E qui mi rifaccio alla tradizione medievale che appartiene alla grande certosa a cui, pero, bisognerà aggiungere un ulteriore (e quinto) elemento che è l’actio. Può essere utile, infatti, mettere a fuoco i quattro gradini di questa sorta di scala che ci conduce verso Dio: la lectio, la meditatio, l’oratio e la contemplatio. Con un occhio più contemporaneo, più moderno, ci sarà poi anche la sottolineatura dell’attualizzazione.
Allora si può comprendere come i nostri Gruppi di ascolto, attraverso la lectio divina, diventano missionari, diventano “operativi”. Il cristiano è colui che percepisce il sapere delle cose mentre le vive. La lectio, la meditatio, l’oratio e la contemplatio – e quindi la lectio divina – potrebbero essere veramente quella capacità di discernimento, quel modo nuovo “cristico” / cristologico di vedere la realtà, di incontrare gli altri e di instaurare relazioni di un tipo piuttosto che di un altro tipo.
La missionarietà – ci tengo a sottolineare questo – non è un momento successivo. Il nostro ascoltare la Parola di Dio e il nostro percorrere quei gradini ci consegnano un modo nuovo di guardare la realtà. Permettetemi, per essere chiaro, un esempio: il dono della scienza, il dono dello Spirito che è la scienza (evidentemente non è l’intelletto, non è la sapienza). Qual è lo specifico del dono della scienza? È quello di aiutarmi ad essere una persona capace di sperare. È quel dono dello Spirito che aiuta il cristiano, la comunità, ad essere una comunità, un uomo, una donna di speranza. La speranza non è una fuga in avanti; la speranza è mantenere chiara in noi, nel cuore, nella mente, la meta futura attraverso il momento presente che sto vivendo.
La lectio divina – se vissuta bene – ci aiuta a partecipare di questa scienza. Certamente, noi siamo in un’epoca in cui il sapere scientifico è la verifica sperimentale, sono le formule di fisica, di chimica, i traguardi della medicina… C’è una ragione terribilmente ristretta di cui noi siamo vittime, per cui chi è significativo in un ambito scientifico automaticamente diventa il depositario della verità.  
Noi cristiani siamo chiamati a dare le ragioni della nostra speranza (sto citando la prima lettera di Pietro al cap. 3). Le ragioni della nostra speranza: ma dov’è che noi le elaboriamo? Come diventiamo portatori delle ragioni della nostra speranza? In tanti modi. Uno è quello della lectio divina. E, allora, si percorrono questi gradini.
Il momento della lectio è uno studio accurato della Scrittura, condotto con uno spirito che vuole comprendere. La meditatio è una attività dell’intelligenza che, con l’aiuto della ragione, cerca la verità. L’oratio è rivolgere il cuore a Dio. La tradizione medievale diceva: “Rivolgere il cuore a Dio con l’intenso desiderio di evitare il male”. Pensate un po’ al Padre nostro: non ci indurre in tentazione, non permettere che cadiamo nella tentazione, liberaci dal male. E poi la contemplatio: il quarto gradino è un elevarsi dell’anima al di sopra di sé, rimanendo in Dio.
Ricordate l’incontro di Gesù con i primi discepoli? “Maestro dove dimori?”. E la pericope termina dicendo: ”…e quel giorno rimasero con lui” (Gv 1,38-39). Ecco, noi dobbiamo mirare non a fare una lettura storica, critica, letteraria, poetica, culturale della Sacra Scrittura, della Parola di Dio, ma una lettura orante, credente. E quindi lectio, meditatio, oratio e contemplatio.
Le parabole, poi, richiedono un’applicazione ed anzi richiedono proprio questo cammino di una lettura orante dell’evento. Le parabole, in un certo senso, sono degli enigmi, sono delle cifre, ma sono anche un appello alla responsabilità. Le parabole nascono sempre dal basso: prendete il cap. 13 del Vangelo di Matteo dove – per questioni redazionali – troviamo un numero di parabole sul Regno: “… il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare” (Mt 13, 47) e parlava a dei pescatori; “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo” (Mt 13, 44) e parlava a dei contadini, a degli agricoltori. Ecco questo partire dal basso.
Se torniamo al testo che ci è proposto, noi dobbiamo immaginare Gesù – seduto sulla barca, nel mare, il luogo della profondità, il luogo dell’immensità, il luogo del rischio – che ha di fronte a sé, sulla riva, una moltitudine di gente. Forse anche visivamente Gesù scorge, poco dietro quelle persone che lo ascoltano, un seminatore che sta seminando: “Ecco, il seminatore uscì a seminare” (Mt 13, 3). Allora descrive che un po’ di seme cade lungo la strada, dell’altro cade in un terreno sassoso dove non c’è terra sufficiente, un’altra parte di seme cade tra i rovi ecc.
La lectio divina, progressivamente, ci aiuta ad entrare in queste realtà che appartengono al nostro cuore. Nella parabola è descritto il mio cuore, il cuore dell’uomo che si autorigenera sempre ma se non c’è la conversione, se non c’è la grazia di Dio, se non c’è immersione in Dio allora si rigenera sempre come strada, luogo della disattenzione e della banalità.
Accanto al disattento, a colui che non presta attenzione e rimane estraneo, c’è anche chi – ed è il terreno sassoso – accoglie con gioia. Quante volte anche noi accogliamo con gioia la Parola del Signore e sentiamo calore e sollievo ma… poi, ad un certo punto, si preferiscono altre cose. Ci lasciamo prendere dal sopravvento delle ansie, dalle preoccupazioni, dalle scelte umane; siamo un terreno insufficiente ad accogliere il seme.
Poi c’è il terreno che è pieno di rovi e spine perché nell’agricoltura al tempo di Gesù i rovi non venivano estirpati ma tutt’al più tagliati e poi bruciati ai bordi del campo, rimanevano sempre una realtà con cui il seme si doveva misurare. Ed è qualcosa che io devo mettere di fronte al mio cammino di lectio divina: ognuno di noi è – di volta in volta – strada, terreno sassoso, rovi e spine. E poi c’è il buon frutto, il buon terreno che produce il frutto buono.
La lettura cerca, la meditazione trova, la preghiera chiede, la contemplazione sperimenta. I vari momenti della lectio divina corrispondono un po’ – se vogliamo – al testo di Luca 11,9: “…chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. La lectio divina corrisponde proprio a questo ricercare e a questo bussare. Ripeto: la lectio cerca, la meditatio trova, l’oratio chiede, la contemplatio ci fa dimorare in Dio ogni giorno. Ritorno al primo capitolo di Giovanni: ”…e quel giorno rimasero con lui” (Gv 1,39). La domanda era “dove dimori?” ma la risposta non era dove abitava; era l’invito a stare con Lui.
Nei nostri Gruppi di ascolto il metodo della lectio divina ha il compito di rendere la nostra preghiera, personale e comunitaria, una risposta sicura alla Parola di Dio, del Dio Vivente che parla a noi oggi. Ecco la “lettura credente”, ecco la risposta al Padre che parla nel Cristo attraverso lo Spirito.
Ed allora è importante che nell’esperienza della lectio divina ci sia una partecipazione totale dell’uomo, ci sia un ascolto nel quale è importante anche la corporeità. Noi non siamo delle anime, siamo degli uomini; non siamo dei corpi, siamo degli uomini. Siamo l’insieme unitario di quello che possiamo chiamare – dicendo qualcosa di vero – “spirito” e che chiamiamo – dicendo qualcosa di vero – “materia-corpo”. L’uomo è un mistero e molte volte si sbaglia – dal punto di vista educativo e pedagogico, ma anche dal punto di vista spirituale e, tout court, “cristiano” – a non considerare tutto questo.               
La liturgia è questa scuola dell’orazione a 360°, perché sempre personale e comunitaria. E coinvolge sempre l’intelligenza, la memoria, i sentimenti, il corpo; nell’azione liturgica è tutto l’uomo che prega. Dobbiamo ritornare a scoprire tutto questo: l’esperienza della lectio divina con l’ascolto compiuto dello Spirito, con gli occhi – anche quelli della carne – rivolti verso Cristo in un contesto di silenzio interiore, in un rapporto vivo con la realtà e con la storia degli oranti che viene illuminata dalla Parola e rimane aperta all’azione. Ecco il quinto gradino, che bisogna aggiungere alla lectio, alla meditatio, all’oratio e alla contemplatio: è questa operatività.
 Dicevo poco fa che le parabole di Gesù nascono sempre dal basso e, allora, la nostra lectio divina si conclude e si compie proprio nel momento  in cui la storia di chi prega viene illuminata dalla Parola a rimanere aperta alla prassi. Il dono della scienza mi aiuta a mantenere – nel travaglio quotidiano, nella drammaticità quotidiana – lo sguardo fisso là dove sono incamminato. La scienza, come dono, mi rende possibile la virtù della speranza.
Dobbiamo capire che, alla fine, nella vita cristiana, nella vita spirituale, nella vita teologica, tutto si sintetizza in un punto e tante cose, che sembravano fra di loro frammentate, invece appartengono a quell’unità, a quella sapienza totale. Per questo non parliamo solo dei quattro gradini di quel metodo medievale che citavo prima, nelle scansioni che vi ho detto, ma anche della continuità nella vita con la consolazione e il discernimento, la decisione, l’azione concreta in favore dei fratelli. E questo diventa fondamentale per noi che viviamo in una società sempre più secolarizzata o, se volete, dove c’è una secolarizzazione diffusa.
Noi dobbiamo entrare tenendo desta – citiamo san Paolo – la Parola della vita ma… questa Parola della vita l’abbiamo nel momento in cui incontriamo il mondo e la società, in cui incontriamo la secolarizzazione? E siamo capaci di dire qualcosa di persuasivo anche per chi vive questa realtà al di fuori della fede? Ritengo che la lectio divina sia proprio questo strumento che ci aiuta e questo strumento che ci rigenera, quasi una realtà sacramentale; la realtà sacramentale è una caratteristica costante della storia della salvezza. “Sacramentalità” è la parola chiave attraverso la quale io potrei leggere (simbolicità, simbolo = sacramentalità) tutta la realtà della storia della salvezza.    
E adesso veniamo a quel terreno buono di cui parlava la parabola del seminatore. Quando noi parliamo di terreno buono, parliamo soprattutto di una persona: Maria di Nazareth. È Lei il terreno buono – “beata perché ha creduto” (cfr. Lc 1,45) -, è Lei la buona terra.
Noi dobbiamo guardare a Lei, riprendendo in mano tante realtà da riscoprire e rivivere. La Lumen gentium – che è la costituzione dogmatica sulla Chiesa – dopo i primi sette capitoli dedica quello finale (l’ottavo) a Maria figura vera della Chiesa, Maria la prima discepola, Maria quella zolla di terreno fecondo e fertile che ha colto veramente la Parola di Dio.   
Noi tutti – uomini e donne, religiose e religiosi, fedeli laici e ministri ordinati – dobbiamo riscoprire il principio mariano della nostra fede, il principio mariano della Chiesa, il principio della femminilità. Sarà un arricchimento grande, alla luce dell’ecclesiologia del Vaticano II compiutasi nella Lumen gentium.
Maria è colei che dice: questa parola è per me, questa luce è ciò che aspettavo, questa via che mi viene proposta è ciò che desideravo conoscere, questa vita che mi viene annunciata da questa Parola è ciò a cui aspiravo senza saperlo.
Concludo dicendo che il “buon ascoltatore” è colui che mette in pratica, colui cioè che costruisce la sua vita a partire da quella parola. Sarebbe importante che i nostri incontri, quando si sciolgono, terminassero con una parola comune da vivere, da tradurre nella propria esistenza e che magari diventasse anche oggetto ogni tanto di condivisione e riflessione comune in un momento successivo di incontro.
Guardiamo, allora, a quest’anno come ad una grazia del Signore: ogni grazia del Signore, però, chiede sempre che l’uomo faccia la sua parte. Rendiamoci “recettivi” di fronte alla Parola di Dio e mettiamoci in atteggiamento di disponibilità alla Parola di Dio, non in modo velleitario ma attraverso quella “scuola” che il Signore Gesù ci ha insegnato.
Vorrei anch’io richiamare e ringraziare – e certamente lui ci sente – il patriarca Marco per questa sua intuizione; mi sembra che nella vita della Diocesi, pur con momenti anche di difficoltà, i Gruppi di ascolto siano rimasti sempre abbastanza presenti. Certo, proprio in fedeltà e per riconoscere quello che ha fatto di buono il patriarca Marco, noi dovremmo cercare di ringiovanirci, di rigenerarci e auto-rigenerarci. Cerchiamo di proporre a qualche altro di unirsi a noi, cerchiamo di avere questa “ansia” missionaria.
Credo, però, che tutto ciò possa crescere e maturare in noi se noi, per primi, traiamo giovamento dai nostri incontri, quando abbiamo la consapevolezza e la coscienza di qualcosa di bene, di buono, di bello che abbiamo percepito come bene, come cosa buona e bella per la nostra vita. E allora siamo portati ad offrirla agli altri e a parlarne agli altri. Vi chiedo questo impegno grande secondo questo taglio di lectio divina che – mi sembra – può essere veramente la caratteristica dei Gruppi di ascolto e che li può rendere peculiari rispetto a tanti altri momenti in cui si ascolta la Parola di Dio, generando risorse nuove e linfa nuova per i Gruppi di ascolto. Grazie.


[1] Il testo – non rivisto dall’autore – riporta la trascrizione dell’intervento pronunciato dal Patriarca in tale occasione e mantiene volutamente il carattere colloquiale e il tono del “parlato” che l’ha contraddistinto.