Intervento al convegno della Fondazione Studium Generale Marcianum 'L'innovazione e i suoi portatori: lo svantaggio occupazionale di giovani e donne' (Venezia, 28 maggio 2014)
28-05-2014
Convegno della Fondazione Studium Generale Marcianum sul tema ‘L’innovazione e i suoi portatori: lo svantaggio occupazionale di giovani e donne’ (Venezia, 28 maggio 2014)
 
Intervento del Patriarca di Venezia e Gran Cancelliere dello Studium Generale Marcianum mons. Francesco Moraglia
Gentili Signore e Signori,
porgo il mio cordiale benvenuto a tutti i presenti. Saluto in particolare i relatori del convegno, ringraziandoli per aver accolto l’invito.
In questi ultimi mesi, la Fondazione Studium Generale Marcianum in occasione della naturale scadenza dei mandati dei suoi organi ha voluto inserire, nella continuità, alcuni elementi di novità per meglio rispondere al confronto con la rapida evoluzione del contesto sociale e si è data, così, un nuovo assetto istituzionale e, in parte, anche programmatico.
Il Presidente Dott. Gabriele Galateri è così coadiuvato dal Vicepresidente amministrativo Dott. Giovanni Raimondi e da un nuovo Vicepresidente per le attività scientifiche e culturali, il prof. Sergio Belardinelli; c’è poi un nuovo Segretario Generale nella persona della Dott.ssa Michela Sterpini.
L’impegno è essere a servizio di una cultura che pone l’uomo al centro e intende sempre più mantenere un dialogo aperto nei confronti del territorio, avendo presenti le caratteristiche universali di Venezia.
Il Marcianum intende – nell’attuale e mutata situazione sociale ed economica – porsi come soggetto attivo nel nostro territorio lavorando per il suo sviluppo umano. L’aspirazioneè in fondo una e, qui, ribadisco quanto già detto: evidenziare e promuovere – attraverso un serio impegno culturale e di ricerca – la totalità della persona umana e la sua dignità.
La persona viene considerata nella sua realtà unica, irripetibile, dotata di libertà e spiritualità, chiamata a realizzarsi nella relazione con l’Altro e con gli altri; i principi dell’antropologia culturale cristiana costituiscono, quindi, un riferimento imprescindibile. L’incontro di oggi – dedicato al tema ‘L’innovazione e i suoi portatori. Lo svantaggio occupazionale dei giovani e delle donne’ – intende muoversi secondo tale direzione.  
Ma le risposte che si danno al lavoro e alle sue dinamiche sono conseguenti ad una determinata antropologica che non è mai neutra. E ciò è vero oggi più che mai, nel contesto dello strapotere delle tecnoscienze; qui la visione antropologica soggiacente diventa fondamentale.
Crescono a ritmo esponenziale le tecnologie di cui si avvale il mondo del lavoro e, nonostante ciò, l’Italia complessivamente risulta impoverita; ancora, in Italia, decresce in percentuale la popolazione giovanile e proprio in tale segmento di popolazione aumenta la disoccupazione. 
La prospettiva antropologica – lo si percepisca o meno – costituisce il punto di partenza nel pensare il nostro futuro; l’uomo va considerato in sé e non solo secondo alcune sue doti o caratteristiche.
Allora la domanda è: ‘quale uomo?’. Ad essa seguono le altre: ‘quale benessere?’ e ‘quale convivenza sociale?’. E ancora: ‘quale bene comune?’. L’antropologia è, dunque, essenziale nei confronti del modello di società e di welfare che s’intende perseguire. E così il tema del lavoro, con le sue dinamiche, assume un profilo rilevante.
Il Marcianum era già impegnato, negli anni passati, in tale ambito. Nell’attuale congiuntura economica, sociale e culturale si è deciso di potenziare tale linea puntando sull’importanza dell’innovazione e sulla necessità che, proprio grazie all’innovazione, il mondo del lavoro diventi maggiormente inclusivo e più umano.
Si tratta in fondo di raccogliere una sfida avvincente e sulla quale, da qui a novembre, ci proponiamo di dare vita ad altri incontri che speriamo possano coinvolgere a vario titolo i diversi attori presenti sul territorio – Venezia e il Veneto – ed esser richiamo anche per una platea più vasta, offrendo occasioni di riflessione ma anche reali momenti di formazione.
La congiuntura storica che attraversiamo e la crisi economica in cui ci dibattiamo evidenziano alcuni problemi del nostro Paese: la disoccupazione, in particolare quella giovanile e delle donne, la scarsa capacità di innovazione, la bassa produttività, l’eccessiva rigidità del mercato del lavoro, un assetto politico e istituzionale precario, per non dire fatiscente’ Taluni germogli di ripresa s’intravedono qua e là ma, se non saranno colti e accompagnati a maturazione, il rischio di una gelata incombe e le gelate – lo sappiamo – compromettono il raccolto; per germogli di ripresa qui s’indicano una certa ripresa di fiducia dei consumatori e l’aumento delle esportazioni.
 
Eppure, dietro a questi problemi legati alla crisi economica e (in alcuni casi) sociale, si dà un livello ulteriore, qualcosa di ancora più drammatico che, da anni, la Chiesa denuncia dandole il nome di ‘crisi antropologica’. Come diceva la scorsa settimana Papa Francesco, rivolto a noi Vescovi italiani riuniti a Roma: ‘il bisogno di un nuovo umanesimo è gridato da una società priva di speranza, scossa in tante sue certezze fondamentali, impoverita da una crisi che, più che economica, è culturale, morale e spirituale’ (Papa Francesco, Intervento all’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, Roma 19 maggio 2014).
Gli oltre due milioni di giovani che in Italia non sono inseriti in un percorso di formazione, non lavorano e, nemmeno, più cercano un lavoro e non sono impegnati in altre attività assimilabili (tirocini o lavori domestici) rappresentano – secondo l’acronimo inglese, usato in economia e sociologia del lavoro – i cosiddetti Neet (“Not (engaged) in Education, Employment or Training) e costituiscono il segnale preoccupante di una crisi che investe la società nella sua interezza, in particolare il sistema educativo.
C’è bisogno, allora, di una condivisa riflessione sul significato antropologico del lavoro. Dovremmo ricostruire, soprattutto, la consapevolezza di quanto il lavoro sia essenziale, certo per la produzione di beni e di ricchezza – non lo si può dimenticare -, ma in particolare per generare culturalmente e spiritualmente persone libere, autonome e responsabili e comunità più a misura d’uomo.
Ma chi, oggi, si sta veramente impegnando per garantire e sostenere l’educazione e la formazione professionale dei nostri giovani? Dove ‘imparare’ e far nostra quella dimensione antropologica del lavoro a cui si faceva cenno? E ancora: come apprezzare la gioia di un lavoro ben fatto?
La crisi economica nella quale ci dibattiamo richiede una risposta a queste domande e ci costringe in qualche modo a porle al centro del nostro lavoro di educatori, di uomini politici, di imprenditori, di lavoratori e anche di pastori. Solo se sapremo farlo con serietà, passione e al di fuori di schemi ideologici precostituiti, avremo fondate speranza di uscire da questa crisi, trasformandola in opportunità di crescita.
La Fondazione Studium Generale Marcianum desidera dare, proprio in tale direzione, un segnale intelligente e condiviso dai differenti soggetti implicati, a vario titolo, nel mondo del lavoro. Un segnale chiaro affinché: ‘umanità’, ‘innovazione’, ‘bellezza’ e ‘ricchezza’ – generate dal lavoro dell’uomo – trovino, a cominciare proprio dalla città di Venezia e dal Veneto, la loro espressione più tangibile e significativa.
Buon lavoro a tutti.