Ingresso in Diocesi del Patriarca Mons. Angelo Scola
Il saluto a Mira, a Mestre, al molo di S. Marco, il saluto del card. Cè, l'omelia, il ringraziamento. Scarica in fondo pagina i file .doc
03-03-2002

A MIRA, 3 MARZO 2002

Cari amici, nella vita di un uomo ci sono alcuni momenti decisivi che finiscono per gettare una luce del tutto nuova sulla sua persona e sul suo cammino. Capita così, per esempio, ad una famiglia quando nasce un bambino, o quando vi bussa la morte. Capita qualcosa di simile quando qualcuno cambia lavoro, cambia casa, cambia città. In questi momenti diventa molto importante chi ti sta vicino, chi ti viene incontro e ti accoglie. Per questo importanti e cari siete Voi per me oggi. Voi, che mi venite incontro per primi, per accogliermi in questo momento di cambiamento decisivo nella mia vita.
Riflettiamo insieme su quanto ci sta ora accadendo. Per decisione del nostro amato Santo Padre, un uomo come me, che Voi non conoscete, che non avete mai incontrato di persona, che magari non avete mai visto neanche in fotografia, e che solo di striscio conosce qualcosa della Vostra terra, viene inserito di colpo nella Vostra vita e Vi è chiesto di volergli bene. La stessa cosa è domandata a lui. Umanamente parlando sembra un’impresa impossibile, più dura che risalire il Brenta in una giornata di tempesta..! E lo sarebbe veramente se dipendesse solo dalle mie e dalle Vostre forze e capacità. Ma è proprio questo il miracolo della Chiesa di Dio. Un miracolo che Gesù, morto e risorto per noi, rende possibile. Pensiamo un poco a cosa succede sotto la croce di Gesù. Mi riferisco al bellissimo dialogo che Egli intrattiene con Sua madre Maria e con Giovanni: “Madre, ecco tuo figlio”, “Figlio, ecco tua madre”. E l’evangelista conclude che Giovanni prese Maria in casa sua.
Sotto la croce nasce una nuova parentela, vale a dire una nuova paternità, una nuova maternità, un nuovo modo di essere fratelli e sorelle: legami forti, molto più forti di quelli della carne e del sangue. Questa è la Chiesa, questo capita a noi oggi. Capita tra voi e me. E siete proprio voi, che per primi mi venite incontro, gli antesignani di questa nuova parentela col Patriarca che oggi

vi è inviato. E ne porterete per sempre, in un qualche modo, la responsabilità. Per questo vi sono particolarmente grato.
Ringrazio di cuore anzitutto don Giancarlo e, attraverso di lui, tutti i parroci, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i fedeli battezzati che operano in questa bella terra di Riviera, in cui l’intreccio di vie d’acqua e di grandi arterie di comunicazione ha favorito uno scambio vitale tra Venezia, Padova e Treviso, ma – pur creando non pochi problemi ambientali e di mobilità – non ha impedito l’esplosione del genio artistico, impreziosendo questo paesaggio con le bellissime ville note in tutto il mondo. Inoltre, la tenacia della nuova parentela cristiana, attenta all’uomo nella sua interezza, e perciò protesa a valorizzare i suoi affetti e il suo lavoro, ha generato l’operoso tessuto della società civile in cui voi vivete. Il Sindaco – che ringrazio insieme a tutte le autorità civili e militari qui convenute -, ha fatto ampia eco a tutto questo. Grazie a tutta la città che si è mobilitata, in particolare ai lavoratori – come non pensare all’evoluzione storica della Miralanza che ci sta davanti? Grazie, quindi, ai rappresentanti delle aziende, dei sindacati, degli artigiani, dei commercianti, degli agricoltori che hanno voluto accogliermi. Grazie a quanti mi hanno voluto offrire doni, tanto più graditi quando provengono da chi nella vita ha sopportato sofferenza ed emarginazione. Grazie alle madri e ai padri di famiglia, ai giovani, agli studenti ed ai bambini che mi hanno consentito di cogliere uno spaccato significativo del vostro articolato comune. Di questo gesto di delicata accoglienza vi sono grato di cuore.
Perché un nuovo Patriarca? Che senso ha questa venuta per voi, per me, per tutti gli abitanti della Venezia di terra e di mare? Il suo scopo è uno solo: testimoniare che volersi bene in Cristo Gesù, cioè vivere questa nuova parentela, genera un popolo, il popolo santo di Dio. Un popolo in cui ciascuno è a casa sua,
all’interno del quale nascere, crescere, educarsi, studiare, lavorare, amare, sposarsi e generare, impegnarsi con la società – a partire dai più poveri ed emarginati -, interagire armonicamente con l’ambiente sviluppando il gusto del bello, e perfino soffrire, lottare e morire, risulta essere il modo di gran lunga più affascinante, e – perché no? – più “conveniente” di vivere.
Con l’aiuto di Dio, per l’intercessione della Madonna di Borbiago e di San Nicola vorrei chiedere, e Voi fatelo con me, di non dimenticarmi mai, in nessun momento, che Dio mi ha “preso a servizio” di questo popolo.

A MESTRE Duomo S. Lorenzo

Carissimi amici, questa mattina mettendo piede nel comune di Mira ho preso contatto fisico per la prima volta con questa Chiesa che il Santo Padre mi ha voluto affidare quale nuovo Patriarca. Poi – accompagnato da strette di mano, scambi di battute, di piccoli gesti, di sguardi e di sorrisi – un preciso percorso lungo gli agglomerati urbani e le varie parrocchie, mi ha condotto in questa centrale piazza Ferretto, alle porte di questo Duomo di San Lorenzo. Così il cuore di Mestre diventa, ai miei occhi, un po’ anche il cuore del nostro primo incontro.
Perché la Chiesa può chiedere ad un uomo – che come ogni uomo è un misto di pregi e di difetti – un cambiamento così radicale come quello di fare spazio, nella sua vita, a persone, a famiglie, a interi paesi fino al giorno prima a lui quasi sconosciuti? Ma, soprattutto, perché può domandare a centinaia di migliaia di persone, come chiede a voi, di accogliere questo uomo con amore, addirittura come il padre di tutti, il Patriarca appunto? La risposta a simili domande, voi lo sapete bene, non può scaturire da umani ragionamenti. Può venire solo da uno sguardo sulle nostre vite che parta da una prospettiva completamente diversa da quella semplicemente naturale. Uno sguardo di fede. Uno sguardo che trasfigura le cose perché è frutto del dono impensato e gratuito, eppure così discreto ed efficace, dell’amore di Gesù per noi. Ce lo testimonia il Vangelo di oggi parlandoci del Suo incontro al pozzo con la donna di Samaria.
Il centro di Mestre con il suo Duomo, che ospita in questo momento un popolo vivo – che dopo aver celebrato l’Eucaristia di Gesù Cristo abbraccia il suo nuovo pastore -, diventa un segno privilegiato di Cristo centro del cosmo e della storia, Signore e Redentore delle nostre persone, delle nostre famiglie, della nostra città.
Dio Padre, attraverso lo Spirito del Figlio Suo morto e risorto per redimere le nostre persone, ci chiama ad edificare insieme questo popolo che Egli vuole santo. Ecco, amici, cosa ci aspetta! È certamente un’impresa superiore alle nostre forze, di per sé fragili e spesso ferite dal peccato ma, con l’aiuto di Dio e per intercessione della Vergine Nicopeia e di San Lorenzo, non impossibile, perché “nulla è impossibile a Dio”. In ogni caso è un’avventura affascinante, quella cristiana, perché, come testimoniano l’alacre operosità e l’intelligente sintesi di fede e carità evidente in queste terre, sa farsi carico di tutto l’umano. È appassionata di ogni singolo e di tutta quanta la comunità. Non considera la fede come un aspetto privato ed astratto dell’esistenza, perché sa che non esiste fede senza amore e l’amore investe il bisogno in tutta la sua concretezza, a partire dalla povertà, dall’indigenza e dall’emarginazione. Nelle debite distinzioni, il popolo santo di Dio sa coniugare la dimensione religiosa a quella civile ed a quella sociale. Nel rispetto della pluriformità e delle diversità è appassionato di quell’unità che sola, alla fine, può generare la pace e consentire – nonostante le fragilità, il peccato personale e le contraddizioni sociali – una vita degna ed operosa. Del resto, questa è l’immagine che Mestre e la vostra terra hanno saputo portare in Italia e nel mondo, soprattutto nella fase di radicale e non facile transizione che ha subito e continua a subire. Penso, ad esempio, alla
vicenda del polo industriale e chimico di Porto Marghera. Tutta la comunità cristiana è ben consapevole delle contraddizioni presenti nell’attuale e delicata fase del mondo del lavoro e se ne fa carico con uno sguardo di particolare sollecitudine verso coloro – penso ai giovani o agli immigrati – che ne fanno maggiormente le spese.
Mi è facile pertanto e gradito ringraziare di vero cuore tutti gli abitanti di Mestre nella persona di Mons. Angelo Centenaro e, in lui e attraverso di lui, tutti i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i fedeli; così come sono grato al signor Sindaco, onorevole Costa, che qui rappresenta l’autorità civile. Le loro parole, eco della vostra appassionata accoglienza, sono un conforto gradito che rendono ora più leggero il mio passo verso la Venezia di mare.

Risposta al saluto delle Autorità al molo di San Marco

Signor Sindaco,
Signor Presidente della Provincia,
Signor Presidente della Regione,
con semplicità ringrazio ognuno di Voi e, attraverso di Voi, tutti i membri delle istituzioni che rappresentate, così come tutti gli esponenti delle autorità costituite – civili, sociali e militari – che, in vario modo, hanno voluto oggi accogliere il nuovo Patriarca. Un grazie del tutto particolare va a quanti – membri di sodalizi, associazioni e parrocchie – hanno dato vita a questo corteo d’acqua lungo il Canal Grande, animandolo con stupende imbarcazioni, trombe e costumi.
Da sempre – come ben documenta l’insegnamento di Gesù – i cristiani riservano stima ed attenzione costruttiva all’autorità legittimamente costituita. Quando è tale, “non c’è autorità che non venga da Dio” (Rm 13, 1) ci ricorda San Paolo nella Lettera ai Romani. La lunga tradizione del Magistero ecclesiale ripropone questa convinzione. E Giovanni Paolo II ne riprende l’insegnamento quando, nella Redemptor hominis, afferma che “i diritti del potere non possono essere intesi in altro modo che in base al rispetto dei diritti oggetti
vi e inviolabili dell’uomo” (RH 17). Non è pertanto difficile,
per i cristiani, assecondare nella libertà l’azione di tale autorità! Siamo deferenti ai rappresentanti dell’ordinamento civile quando rispettano l’origine ultimamente divina della loro potestà, servendo il popolo con oggettivo riferimento alla legge di Dio.
Proprio in forza di questa concezione dell’autorità, il mio grazie non può non giungere esplicitamente, attraverso di Voi, a tutto il popolo che Voi rappresentate. Di questo popolo infatti Dio si è servito per individuare nelle Vostre persone la legittima autorità costituita. Come non rilevare la genesi popolare del Vostro potere proprio qui, in Venezia, città della libertà? La gloriosa storia dei popoli veneti – che ancor oggi splende tutta nella perla preziosa di questa stupenda piazza -, ci parla di una straordinaria esperienza di fecondità sociale e politica. Mondi e culture incontrati lungo i secoli da Venezia – in mano a questo popolo capace di intraprendere, di commerciare, di viaggiare, di edificare, di legiferare, di condividere, di soffrire, di lottare, di pregare – sono diventati materiale di costruzione di una singolare, inconfondibile civiltà. Un carattere ne dice la peculiare fisionomia: quella veneta è una civiltà in cui le differenze non sono semplicemente tollerate, ma sinfonicamente valorizzate.
A questo stile veneziano, il cui soggetto proprio è il popolo, non è certo estranea l’esperienza della fede cristiana! La sua capacità di generare unità tra gli uomini di terra e di mare, fin dall’insediarsi della comunità ecclesiale nelle nostre terre lagunari, è ben nota. La fede ha favorito la grande impresa di assimilare i popoli nuovi che via via si affacciavano da oriente, da occidente e dal nord, fondendone tradizioni ed usanze. Ha accompagnato la paziente opera del popolo tutto, nel travaglio dei cambiamenti, talora violenti, dell’epoca moderna. E, anche oggi, la fede sorregge la generosa dedizione con cui ques
to stesso
popolo aff
ronta le n
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e
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l presente
.
Questa s
toria è largamente documentata non solo nell’insigne bellezza dei suoi monumenti – che nell’architettura e nei mosaici di San Marco incontrano forse il loro culmine -, ma soprattutto nella straordinaria nobiltà dei suoi santi. E non mi riferisco solo a quanti la Chiesa ha pubblicamente riconosciuto come tali: dai grandi Santi fondatori a S. Lorenzo Giustiniani, fino al Beato Giovanni XXIII, ma all’innumerevole schiera dei nostri padri e dei padri dei nostri padri che – lungo una catena fisicamente ininterrotta dai primi secoli – nella quotidianità degli affetti e del lavoro hanno illustrato, in modo personale ed unico, questa nobile terra.
Così è storicamente impossibile separare, in queste nostre terre, il popolo santo di Dio – che genialmente Paolo VI definì “quasi un’etnia sui generis” – dal popolo come tale. In pieno rispetto della pluralità che caratterizza le nostre democrazie e ben consapevole della necessaria distinzione dell’ambito civile-statuale da quello religioso, nel concreto della vita di ogni giorno, il popolo di Dio continua ad essere il cuore dell’umana convivenza che si realizza in queste regioni.
A questo santo popolo di Dio nessuno è estraneo, perché colui che è stato chiamato da Cristo è stato chiamato alla libertà, e nella libertà sta la radice di un paragone e di una accoglienza senza limiti. Ma la mia libertà vive e si esprime nel presupposto della libertà altrui, cui anche la verità – che il cristianesimo addita nel Figlio di Dio crocefisso e risorto – ha deciso di inchinarsi per meglio documentare la sua forza. La libertà dell’altro, infatti, può essere conquistata solo liberamente. La verità non teme mai la libertà rettamente concepita ed esercitata. Dall’altra parte, conoscendo i miei limiti così come i limiti di ogni uomo, come potrei con realismo riferirmi al prezioso dono della libertà se non esistesse un luogo vitale, in cui questa ste
ssa libertà
fragile eppu
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sa sia retta
, s
orretta
e, quando
è il caso,
corretta? Ques
to luogo è appunto l’amicizia dei cristiani, in se stessa aperta a qualunque uomo di ogni altra confessione cristiana, di ogni altra fede o credenza, realtà storicamente rilevanti e ancor oggi ben rappresentate a Venezia. Un ambito quello cristiano rispettoso anche di chi si ritiene non credente e, se è possibile, miscredente. Questo luogo è la santa Chiesa di Dio. È la Chiesa di Marco, il compagno di Paolo, il discepolo di Pietro. È l’ambito di una nuova parentela, quella voluta da Gesù per Sé, Maria e Giovanni sotto la croce. In essa il desiderio di vita buona, che tutti ci anima, può essere custodito e sostenuto dalla culla alla bara. I bisogni di ciascuno e di tutti, soprattutto dei più fragili, dei più poveri, dei più emarginati, sono sempre tenuti presenti con sguardo vigile e cura sollecita. La comunità cristiana è come una fucina di ideali da cui il popolo, educato negli affetti e nel lavoro, può trarre alimento per l’edificazione di un società civile, libera e plurale, fondata su una democrazia sostanziale cui gli organismi statuali sappiano essere di effettivo servizio. I problemi degli uomini che vivono, che giungono e che, numerosissimi, incrociano questa nostra terra; i drammatici problemi ambientali di Venezia; in una parola i compiti e le responsabilità che questa “città del mondo” porta sulle spalle, sono e continueranno ad essere – come lo sono stati lungo tutti questi secoli – bisogni e compiti anche dei cristiani. In tal modo tutti insieme contribuiremo ad edificare la pace nel solco della “lungimirante pax venetiana”.
Questa pace oggi – dopo i dolorosi eventi susseguitisi a partire dall’11 settembre – ha bisogno infatti del lavoro di tutti e di ciascuno. Consapevoli, tuttavia, che non tutto è in nostro potere, noi la invochiamo incessantemente da Gesù Cristo, Colui che giustamente è chiamato “la nostra pace” (cfr. Ef 2, 14).
Il mio a
ugurio per te,
Venezia, è qu
indi questo: ”
In osculo Chri
sti paxtecum”.
Venezia, ne
l bacio di Cri
sto, pace a te!

INDIRIZZO DI SALUTO DEL CARD. MARCO CE’
A MONS. ANGELO SCOLA, NUOVO PATRIARCA

Caro fratello,

tra poco sarà proclamata la parola del Successore di Pietro che ti designa pastore di questa santa Chiesa di Venezia.
Il nostro cuore, però, si è aperto a te fin dal primo annuncio, il 5 gennaio:
“Lo Spirito del Signore è su di te.
Lui ti ha mandato”.
In queste settimane noi abbiamo pregato per te ed ora ti benediciamo per la tua disponibilità ad esserci padre mediante l’annunzio della Parola di Dio, la celebrazione dei divini misteri di Gesù e la guida sulle strade del Vangelo, portando la nostra debolezza.

Troverai, a Venezia, una realtà culturalmente articolata e ricca nelle sue diversità, ma anche una Chiesa unita intorno al suo San Marco e al suo Patriarca.
Mi è caro sottolineare come questa Città, in tutta la sua lunga storia, pur essendo sempre stata gelosa della sua indipendenza politica da ogni potere, fosse anche quello del potere temporale dei Papi, non si è mai staccata dalla fede cattolica. Si può affermare con religiosa compiacenza: “Petrus et Marcus una fides”.

Troverai una comunità non esente dalle difficoltà di tutte le Chiese dell’antico mondo occidentale, ma anche consapevole della sfida che deve affrontare e in piedi per comunicare il Vangelo in un mondo che cambia.
Troverai una Chiesa che ha proclamato con gioia la sua fede nell’unico Signore e Salvatore Gesù Cristo nel bimillenario della sua nascita, e oggi, nella fatica di tutti i giorni e in confronti difficili ed esigenti con una realtà radicalmente secolarizzata, vuole con amore e con fiducia dar ragione della speranza che ha in sé.

Caro Patriarca, guarda a questa Chiesa che il Signore ti affida, tramite il Successore di Pietro e nella comunione della Chiesa universale, con quell’amore con cui la guarda Gesù stesso e prendi il largo: con
te sulla barca
sarà sempre pres
ente il Risorto.
Egli sarà la tu
a forza.

E me
ntre avvolge n
oi con la su
a
misericordia, darà
a te un cuore grande per amarci tutti, proprio tutti. Sarai così il segno di un amore che non si stanca di donarsi, di cercare e di aspettare.

Sii benedetto, carissimo Patriarca, da tutti noi, presbiteri, diaconi, religiose e religiosi, dai battezzati laici e da tutti i veneziani.
Sii benedetto dai nostri poveri e da coloro che soffrono e, oggi, forse senza saperselo dire, pensano a te, che sei il padre di tutti e sei il custode d’una paternità per tutti, credenti e non, ricchi e poveri; il segno di un amore, che è una Persona che tu chiami per nome, Gesù.
E tutti sentiranno, in quel nome, come un abbraccio misericordioso che dà speranza e pace.

Sii benedetto perché sei venuto, perché hai accettato la sorte della paternità, che è vita e morte, pianto e gioia.
Non aver paura: alzati e getta le reti.
Il Risorto camminerà sempre con te e, mediante il Suo Spirito, confermerà quanto tu farai in obbedienza alla sua parola.

Basilica patriarcale di San Marco, 3 marzo 2002
Omelia

1. “Signore, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere”. La domanda imperiosa della donna che Gesù incontra al pozzo di Giacobbe, in Samaria, si fa quasi fisicamente palpabile nel bel mosaico del XII secolo che si trova nella cupola di San Leonardo di questa nostra splendida Basilica. Vi si narra proprio l’episodio evangelico di oggi. Gli antichi autori del mosaico hanno magistralmente rappresentato, nel delicato protendersi della Samaritana verso Gesù, la prima mossa dell’umana libertà. Ciascuno di noi la riconosce molto bene: si chiama desiderio. Tutti i giorni, incalzati dai bisogni che gremiscono il nostro cuore – la sete di cui parla l’evangelista – andiamo alla ricerca di qualcosa che li soddisfi – l’acqua, per cui la donna viene al pozzo. Ma ogni bisogno è sempre attraversato da un
anelito più grande
. Alla sua radice
custodisce un’ines
orabile spinta al
compimento e cos

ì il bisogno tra
pa
ssa in desider
io.
Noi aneliamo al
per sempre. “L’acqua che ti darò io ti disseterà per sempre”: da questa promessa di Gesù la donna è irresistibilmente attratta. Anche quando questo desiderio rimane sepolto sotto il peso dell’umana fragilità e, appoggiandosi ad una diffusa mentalità, sembra smarrire la sua vera fisionomia, è impossibile spegnerne del tutto la sete. In questo senso ogni uomo di ogni tempo – noi che siamo qui ora, in Basilica, tutti gli amici che ci seguono dalla piazza o da casa – è proteso, come la Samaritana, verso Qualcuno. Il desiderio mette in moto la libertà. E quando la libertà è in atto l’uomo entra in rapporto con l’altro. Su questo fa leva Gesù per svelare alla donna – e a ciascuno di noi – la strada che compie il desiderio della libertà. Chi può restare indifferente?
“Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice dammi da bere tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. L’immagine musiva sa cogliere, meglio di ogni parola, l’ardire di Gesù che supera ogni schema. Egli parla con una donna – al ritorno dal paese i discepoli lo rilevano con una certa scandalizzata sorpresa, efficacemente fissata sui loro volti. Per di più questa donna è una samaritana. E, per finire, non è certo un modello di specchiata moralità. Niente, tuttavia, può fermare lo slancio d’amore di Gesù verso il desiderio dell’uomo. Ce lo ha richiamato San Paolo nella Seconda lettura: “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”‘

2. Incomincia a chiarirsi la natura di quest’acqua da cui sgorga la vita che dura per sempre. Al centro della scena del nostro mosaico il pozzo, trasformato dall’artista in un fonte battesimale, assume la forma di una croce, effettivo punto focale da cui si snoda tutta la sequenza dell’episodio. L’acqua misteriosa è l’acq
ua del battesimo. Ec
co il dono di cui pa
rla Gesù: “Se tu con
oscessi il dono di D
io”. Ma il Battesimo
– su
questo dob
biamo intenderci ben
e! – non è un puro sim
bolo di un generico anelito di purificazione. È qualcosa di simile a ciò che è accaduto 2000 anni fa alla donna di Samaria. È un fatto avvenuto per ciascuno di noi in un preciso momento e luogo. Ci ha messo personalmente in rapporto con Gesù, Colui che è venuto a dare la vita per noi. Gesù è, quindi, quest’acqua viva, Gesù vivente qui ed ora.
Carissimi, dagli albori dell’era cristiana, lungo i secoli e senza soluzione di continuità, il dono del santo Battesimo ha investito intere generazioni per arrivare fino a noi che viviamo oggi in questa splendida terra, mirabile sintesi di natura e di cultura, infaticabile crocevia di uomini e di popoli. Gesù Cristo, generando in noi la fede con l’efficace segno del Battesimo, ci ha condotto fino a questa Eucaristia che ora ci mette fisicamente insieme. Niente come la fede raccoglie, trattiene e potenzia il desiderio della libertà, favorendo quel progressivo cambiamento dell’io che lo porta al compimento. Il crescendo del serrato dialogo tra Gesù e la donna mostra bene questo processo. Egli smaschera amorevolmente ogni equivoco. Finché, all’ultimo tentativo della Samaritana di sfuggire alla presa della Sua Persona: “So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà ci annunzierà ogni cosa”, Gesù la inchioda all’evidenza: “Sono io, che ti parlo”. “Io in carne ed ossa”. “Io che sto di fronte a te”. Non un generico “quando verrà”, ma un categorico “Io qui ed ora”.

3. Gesù si propone con la stessa forza a ciascuno di noi nella straordinaria circostanza che ci riunisce: “Io qui ed ora”. Egli vuol sciogliere ogni durezza del nostro cuore. Come avvenne a Massa e Meriba quando – ce lo ha ricordato la Prima Lettura -, il popolo eletto fu sorpreso dallo sgorgare dell’acqua dalla roccia percossa dalla verga di Mosé. Che ognuno di noi abbia la sem
plicità di riconoscerL
o e, quindi, la possib
ilità di riscoprire la
bellezza inaudita del
l’essere cristiani! Pa
olo, nel bra
no ogg
i proclamato del
la L
ettera ai Romani, la des
crive in questi termini: “Giustificati per la fede siamo in pace con Dio”. Dalla fede, concretissima modalità di esistenza personale e comunitaria, ci viene il dono della pace con Dio, da cui nulla, neanche la nostra fragilità e il nostro peccato, ci potranno separare. Non è questo lo scopo esaltante dell’austero richiamo alla preghiera, alla penitenza e al digiuno quaresimali? Nel dolce perdono di Cristo ogni ansia, ogni paura è vinta: il futuro è tutto custodito nella speranza certa del manifestarsi pieno del volto di un Padre. “Mediante la fede abbiamo ottenuto di accedere a questa grazia nella quale ora ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio”. Questa è la gloria di Dio di cui parla l’Apostolo: veniamo da un Padre e a lui andiamo. Nulla e nessuno ci può togliere il gusto pieno di questa figliolanza. Niente può inceppare definitivamente la libertà, spezzando le ali del desiderio di chi, come la Samaritana, sa far spazio a Gesù in carne ed ossa.

4. “Lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto quello che ho fatto. Che sia forse il messia?”” L’iscrizione evangelica sovrastante la scena sulla destra del nostro mosaico, è la più bella conferma della fecondità della fede per l’umana libertà. Gesù tocca il cuore della donna e la mette in moto lungo la strada del per sempre. Il cambiamento è immediato e si documenta nel suo andare di corsa ad annunciare la buona notizia. Per poter correre lascia lì la brocca. La stessa cosa capita a noi quando ci imbattiamo in una persona che testimonia autenticamente la verità. Ne deriva un’urgenza irresistibile: farne partecipi gli altri. Si attua in tal modo l’affascinante vicenda dell’umana libertà: più la verità ti si dona di persona e più ti spinge a comunicare perché e
come ti ha coinvolto. Di
venti co-protagonista de
lla storia. E così il ve
ro, assecondato dal bell
o, diffonde il bene. Pen
siamo a questa splen

dida basilica – scrigno

prezioso per l’inarrivab
ile tesoro della nostra città, che non cessa di richiamare milioni di uomini di tutti i continenti, di tutte le razze, di tutte le religioni, di tutte le culture, di tutte le lingue, di tutti i ceti. Come potremmo goderne ora, se i nostri padri afferrati da quel bene sommo che è Cristo stesso, la verità vivente e personale, non avessero fatto fiorire la singolare bellezza della civiltà veneziana?

5. Carissimi, permettete ora al nuovo Patriarca di esprimere un augurio: possa avvenire, per voi e per me, quel che accadde agli uomini di Samaria. Essi si lasciarono smuovere dalla testimonianza della donna. Si rivolsero personalmente a Gesù. “Lo pregarono di restare con loro”. Volevano toccare con mano, verificare l’annuncio della donna, desideravano conoscerlo, poter stabilire una familiarità con Lui. Ed Egli si fermò. L’evangelista annota che si fermò due giorni. Noi sappiamo che la nostra nuova famiglia, la Chiesa santa che vive in Venezia – in cui per la fede ed il sacramento si realizza la Chiesa di Dio, la Catholica – Lo trattiene presente e vivo in mezzo a noi, ora e per sempre. Egli, comunicandosi da persona a persona, lungo tutta la storia della Venezia di terra e di mare, è giunto fino a noi. Vive in mezzo a noi sacerdoti e diaconi, religiosi e religiose, fedeli laici di ogni età e condizione. Nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle associazioni, nei movimenti e nei gruppi, in tutte le nostre comunità, Egli si offre perennemente alla libertà di ogni uomo di qualunque razza, religione, convinzione, cultura, ceto e condizione sociale. Vogliamo essere per chiunque umili testimoni della Sua singolare Persona. Sulla scia dell’invito di Gesù agli Apostoli, contenuto nel Vangelo di oggi: “Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno la
vorato e voi siete subentr
ati nel loro lavoro” (v. 3
8).
Quale dono più grande
possiamo chiedere oggi al
la Vergine Nicopeia? Quale
vittoria ci dovrà Ella
acco
rdare se non la vitt
oria della fede? Anche noi,
come i Samaritani, confessiamo liberi e convinti: “Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo”.

RINGRAZIAMENTI IN SAN MARCO DOPO LA SANTA MESSA

Al termine di questo gesto sacramentale, nel quale Cristo nostro Signore con il Suo Corpo donato ed il Suo Sangue versato, ci ha raccolto da varie parti, sotto il segno ecclesiale di Venezia, non posso esimermi da qualche dovuto grazie.
Anzitutto lo rivolgo – certo di interpretare l’intendimento di ciascuno di voi che siete qui in Basilica, o in Piazza, o che ci seguite da casa – a Sua Santità Giovanni Paolo II. La paternità con cui Egli accompagna la Chiesa di Dio che è in Venezia e che è all’origine anche di questa mia missione, rende ancor più imperiosa in me – ma certamente in voi tutti – l’urgenza ad imitare la testimonianza del Successore di Pietro, carica di innovativo magistero e di straordinaria visione dell’uomo e della storia. Sono pertanto grato al rappresentante pontificio Sua Eccellenza Monsignor Paolo Romeo, Nunzio Apostolico in Italia e a S. Marino, che ha voluto partecipare di persona a questo gesto sacramentale.
Al Patriarca Marco Cé, che abbracciando la mia persona e consegnandomi il pastorale, simbolo del servizio cui mi accingo, mi ha oggettivamente introdotto nella successione dei patriarchi di Venezia, voglio ribadire tutta la mia gratitudine. Essa già si protende all’amicizia e al conforto che, ne sono certo, egli mi assicurerà continuando a vivere tra noi in questa sua Venezia che – come ho potuto rilevare in decine e decine di occasioni in questi pochi giorni – ormai lo ama come uno dei suoi figli più illustri.
Sono riconoscente a S.E. Mons. Eugenio Ravignani, Vescovo d
i Trieste e Vicepresidente d
ella Conferenza Episcopale T
riveneta, che esplicitamente
mi porta l’affetto collegia
le dei vescovi delle tre Reg
ioni. Essi si s