IL CRISTIANO NEL MONDO. LA COSTITUZIONE 'GAUDIUM ET SPES"
10-04-2003

1. ‘Pretesa’ di Gesù Cristo e modernità
«A Giubileo concluso sento più che mai il dovere di additare il Concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» (Novo Millennio Ineunte 57). Con queste parole Giovanni Paolo II – che del Concilio Vaticano II fu diretto protagonista – ha voluto ribadire, all’inizio del terzo millennio, a tutti i fedeli la convinzione che lo ha guidato fin dall’esordio del suo pontificato. In Redemptor hominis, il suo manifesto programmatico, egli infatti scrisse che, affidandosi all’eredità di Giovanni XXIII e di Paolo VI e in singolare unione con Giovanni Paolo I, intendeva coinvolgere tutti i cristiani nell’affascinante ‘eredità’ della vita come testimonianza resa all’evento di Gesù Cristo, eredità «fortemente radicata nella coscienza della Chiesa in modo del tutto nuovo grazie al Concilio Vaticano II» .
Questo è anche il significato del nostro trovarci insieme questa sera a parlare della Costituzione Pastorale Gaudium et spes. Pertanto, anche per obiettivi limiti di tempo, noi non ci inoltreremo sulla strada di un’analisi teologico-scientifica della Gaudium et spes , ma ci limiteremo ad individuare qualche linea di forza della Costituzione conciliare che tocca punti nevralgici della personalità del cristiano, della sua vocazione e della sua missione.
Una precisazione tecnica è tuttavia necessaria. Dopo quarant’anni il lento e travagliato processo di recezione del Concilio ha evidenziato la necessità di ‘leggere unitariamente’ le quattro Costituzioni del Vaticano II stesso: la Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia, la Dei Verbum sulla Divina Rivelazione, la Lumen Gentium sulla Chiesa e, infine, la Gaudium et spes, significativamente sottotitolata sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Questo importante criterio di lettura, ribadito tra l’altro con forza dall’Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1985 , sottende tutta la presente riflessione.
La Gaudium et spes è stata, sia pure con fasi alterne , sentita come l’emblema del rinnovamento ecclesiale, per quanto riguarda il rapporto con il mondo, proposto dal Concilio Vaticano II. In effetti in essa i Padri conciliari si sono trovati ad affrontare il nodo imprescindibile, e oggi più che mai attuale, della compatibilità tra la ‘pretesa’ di verità assoluta e universale di Gesù Cristo e l’incoercibile libertà, sempre storicamente situata, di ogni singolo uomo. Per farsene carico essi hanno dovuto individuare la chiave di accesso che permette alla Chiesa di entrare in costruttivo rapporto con la comunità degli uomini, ancora profondamente segnata da quel fenomeno complesso che va sotto il nome di modernità.
Le due questioni ‘ una di contenuto (dogmatica), l’altra di metodo (pastorale) ‘ cui ho fatto cenno vanno direttamente al cuore della natura missionaria della Chiesa e, pertanto, del suo rapporto (dialogo, per usare un termine preferito da Gaudium et spes ) con il mondo. Nel mio intervento cercherò appunto di rispondere a queste due domande.

2. Evento Gesù Cristo e libertà del singolo. Antropologia cristocentrica
Il n. 10 della Costituzione Gaudium et spes afferma: «nella luce di Cristo, immagine di Dio invisibile, primogenito di tutte le creature, il concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell’uomo e cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo». Una simile dichiarazione mette simultaneamente in campo i due fattori sopra richiamati: da una parte Gesù Cristo, dall’altra la libertà incatturabile e sempre storicamente situata dell’uomo. E di Gesù Cristo la Gaudium et spes – in un passaggio che il Magistero di Giovanni Paolo II non si stanca di riproporre all’attenzione del popolo cristiano – dice: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (GS 22) .
Viene qui con forza ribadito un caposaldo della fede cattolica per cui annunciare Gesù Cristo, nella sua singolare identità storica, significa nello stesso tempo affermare la sua verità assoluta capace di abbracciare ogni singolo imprevedibile aspetto dell’umano. Ma proprio dallo ‘scandalo’ di questo binomio ha preso le mosse la tragica contrapposizione tra Dio e l’uomo che ha segnato il travagliato rapporto Chiesa-mondo nell’epoca moderna, come emerge dalla terribile accusa di Nietzsche al cristianesimo: «La fede (‘) assomiglia tremendamente a un continuo suicidio della ragione (‘) La fede cristiana è fin da principio sacrificio: sacrificio di ogni libertà, di ogni orgoglio, di ogni autocoscienza dello spirito, e al tempo stesso asservimento e dileggio di se stessi, automutilazione» .
Su quale base Gaudium et spes può raccogliere l’istanza giusta della modernità circa il carattere incoercibile della libertà del soggetto individuale e sociale? Come può mostrare che il riconoscere Gesù Cristo come colui che rivela definitivamente il volto di ogni uomo non spegne la tensione drammatica della libertà del singolo, né lo priva del suo ruolo di protagonista sulla scena del gran teatro del mondo? In forza di che cosa il cristiano può dire con il filosofo Mario Vittorino: «quando ho incontrato Cristo, mi sono scoperto uomo» ?
La risposta della Gaudium et spes si potrebbe, con una formula sintetica, riassumere così: la visione dell’uomo proposta dalla Costituzione pastorale articola correttamente cristologia ed antropologia . In che modo? Proponendo Gesù Cristo come l’ideale della vita dell’uomo. La categoria di ideale identifica la verità tutta intera del reale. Come tale l’ideale trattiene, simultaneamente ed ordinatamente, tutti i fattori in gioco nel reale, lasciando spazio anche a quelli imprevedibili, contingenti e contraddittori. Notiamo, per chiarezza, che siamo ben lontani da ogni riduzione ‘idealistica’ del termine destinata a schiacciare, di fatto, la categoria di ideale su quella di utopia. Infatti ogni utopia, in quanto identifica un non luogo, è – in se stessa – sempre fuori dal reale. È sempre imparentata con l’ideologia, che come diceva Karl Marx, si costruisce sulla menzogna perché nasconde volutamente la radice a partire dalla quale elabora il proprio sapere della realtà.
Non possiamo ora soffermarci sulla radicale differenza tra la considerazione di Cristo come ideale della vita e la sua riduzione ad utopia. Possiamo però riconoscere che proporre Gesù Cristo come ideale significa dare alla libertà dell’uomo tutto il suo peso, rispettandone fino in fondo l’imprevedibilità. Infatti nella persona e nella vicenda storica del Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto per noi, si vede come in Gesù Cristo la Verità, lungi dall’essere un’idea o una teoria astratta, sia una persona vivente. Senza nulla perdere della propria assolutezza il Mistero assoluto ha scelto, per rendersi presente nella storia, la strada della libertà umana. Più la Verità si comunica, più la libertà è chiamata in causa. Più la Verità si propone, più la libertà è provocata. In questo suo ‘vertiginoso’ offrirsi alla libertà la Verità giunge fino a farsi da essa crocifiggere. E la Sua vittoria nella Risurrezione è una vittoria gloriosa, pagata a caro prezzo, proprio per salvaguardare fino in fondo la libertà dell’uomo.
In questa visione la difficoltà moderna trova la strada del superamento. Anzi si può dire, di più: il cristianesimo salva fino in fondo la giusta esigenza di tutta la modernità, molto viva ancora oggi, nel tempo del cosiddetto post-moderno, perché Gesù Cristo è Colui che esalta al massimo l’umana libertà. Questo dà ragione del fatto che il cristiano si impegna a proporre lealmente la visione integrale dell’uomo e della convivenza sociale rivelataci in Gesù Cristo, ovviamente nel rispetto della irrinunciabile dialettica democratica. Rifiutando la moderna, acritica separazione – diventata ormai un dogma della mentalità dominante – tra etica privata ed etica pubblica – che conduce inesorabilmente al falso imperativo categorico del vietato vietare – i cristiani sono indomabili nel proporre alla libertà degli uomini, credenti e non credenti, la suprema convenienza di una vita buona. Essa è possibile solo se si prendono in considerazione, simultaneamente ed unitariamente, il bene della persona e quello della società.
Proprio alla luce di questi criteri la Seconda Parte della Costituzione Gaudium et spes ha messo a tema quelli che allora furono chiamati i ‘problemi urgenti’ ma che, oggi più che mai, costituiscono l’ordito che trama l’esperienza umana: il matrimonio e la famiglia (GS 47-52), la cultura (GS 53-62), la vita economico-sociale (GS 63-72), la vita della comunità politica (GS 73-76), la promozione della pace e la comunità dei popoli (GS 77-90).
Come emerge con chiarezza dal Magistero di Giovanni Paolo II, tutto collocato nell’ottica dell’antropologia cristocentrica inaugurata da Gaudium et spes, questi problemi urgenti non risultano estrinseci a colui che vive la fede in Gesù Cristo. I cambiamenti, anche i più violenti, mentre chiedono alla libertà del cristiano di autoesporsi, non diminuiscono la certezza che la storia non è dominata dal fato ma è l’espressione del disegno buono di un Padre che chiama in causa la nostra libertà e, se noi lo riconosciamo, non ci abbandona in balìa delle forze del male. Solo il realismo di questa visione può spiegare l’impegno del Santo Padre quale indomito pacificatore.

3. Il metodo della vita cristiana. Chiesa e mondo
Quanto abbiamo appena affermato ci permette di entrare direttamente nel secondo passo che vogliamo proporre.
L’aggettivo pastorale con cui i Padri conciliari vollero qualificare la Gaudium et spes ben esprime il metodo che caratterizza il rapporto tra la Chiesa e il mondo . L’urgenza pastorale, che segnò in profondità non solo il pontificato, ma tutta la ricchissima e variegata missione sacerdotale del Beato Papa Giovanni XXIII, porta con forza in primo piano la natura salvifica della Chiesa. Offrendosi come testimonianza della Verità vivente e personale che è Gesù Cristo, la Chiesa prolunga nell’oggi della storia il propter nos homines et propter nostram salutem del suo Signore. In estrema sintesi il rapporto che la Chiesa è chiamata a stabilire con il mondo consiste in questo annuncio gioioso che passa attraverso il testimone. Il cristiano è un uomo appassionato di ogni interlocutore ed instancabilmente teso a verificare, anzitutto su di sé, la capacità dell’evento salvifico di Gesù Cristo di accogliere e condurre a verità (salvare) ogni aspetto dell’umana esistenza. In questa prospettiva Gesù Cristo non sarà più relegato al ruolo di superadditum, ma potrà tornare ad essere l’interlocutore contemporaneo della libertà di ciascuno e di tutti.
Entrando allora nel merito del secondo passo chiediamoci: in cosa consiste questo metodo che la Gaudium et spes indica come il più idoneo per affrontare il rapporto tra la Chiesa e il mondo?
Chiariamo subito che con la parola metodo non vogliamo riferirci a quel pur utile insieme di tecniche, individuali e di gruppo che, con l’ausilio delle scienze umane, sono oggi frequentemente impiegate nell’azione ecclesiale. Usando il termine nel suo senso forte, vogliamo significare il metodo di vita cristiana . Metodo è la forma (Gestalt) mediante la quale l’evento di Cristo, passando (traditio) da persona a persona, si comunica al mondo. Tale forma deriva dalla realtà della Chiesa stessa, la cui natura consiste nell’essere il soggetto che fa da tramite (sacramento-medium intrinseco) dell’evento di Cristo agli uomini che vivono nel mondo . Per questo, parlare di metodo di vita cristiana coincide con il parlare di metodo della missione. L’evento cristiano è, per essenza, dono (amore). Nel suo incessante riproporsi dentro la storia non può mai prescindere dal gratuito. Discepolo e testimone di Gesù di Nazareth: il cristiano è soprattutto questo! La sua vocazione e la sua missione implicano sequela e martirio, in una parola, la santità.
Utilizzando una felicissima espressione di Giovanni Paolo II nel n. 13 dell’enciclica Fides et ratio potremmo definire questo metodo, di cui stiamo parlando, come l’orizzonte sacramentale della rivelazione cristiana.
Tentiamo allora di definire meglio cosa significhi che il dialogo della Chiesa con il mondo si attua in un orizzonte sacramentale. Tra parentesi, si deve notare quanta poca cura sia stata data, sovente nello stesso ambito ecclesiale, ad individuare i caposaldi del metodo di vita cristiana. Come se Gesù Cristo, che si è definito la via (metodo) non lo avesse proposto, almeno nei suoi tratti essenziali..!

a) L’«orizzonte sacramentale» della rivelazione ovvero la «logica dell’incarnazione»
Un importante paragrafo del Catechismo della Chiesa Cattolica, che non mi stanco di riproporre, afferma: «tutto nella vita di Gesù è segno del suo Mistero. Attraverso i suoi gesti, i suoi miracoli, le sue parole, è stato rivelato che ‘in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità’ (Col 2, 9). In tal modo la sua umanità appare come ‘il sacramento’, cioè il segno e lo strumento della sua divinità e della salvezza che egli reca: ciò che era visibile nella sua vita terrena condusse al Mistero invisibile della sua filiazione divina e della sua missione redentrice» .
Questo testo descrive, con una sintesi efficace, la logica dell’incarnazione : incontrando l’uomo Gesù, convincente realizzazione della pienezza dell’umano, i Suoi lo seguono fin dentro il lacerante mistero della morte. Anche se, di fronte a tale mistero, scappano recalcitranti e terrorizzati, non possono più prescindere da Lui: «Signore, da chi andremo?» (Gv 6, 68). E, per la potenza dello Spirito, dopo averlo accolto risorto lo riconoscono quale Figlio di Dio; allora si dispongono ad offrire la loro vita, consumandosi nella missione di comunicarne tutta la potenza salvifica.
L’umanità di Gesù è quindi il soggetto-tramite (medium intrinseco) primario perché i suoi discepoli incontrino la Sua divinità: l’umanità di Gesù è il sacramento della Sua divinità. L’incarnazione – e la logica che ne deriva – si rivela pertanto come il metodo scelto dalla Trinità per comunicarsi. Dalle missioni trinitarie, attraverso la missione di Gesù Cristo, si giunge così alla missione della Chiesa che, in concreto, passa da ogni singolo cristiano che appartiene ad una comunità ben identificata. Il titolo scelto per il nostro incontro, Il cristiano nel mondo. La Costituzione ‘Gaudium et spes’, dice esplicitamente il ‘passaggio obbligato’ da Gesù Cristo alla Chiesa e dalla Chiesa al cristiano. La Chiesa, infatti, vive concretamente nei fedeli ed esplica la sua missione nelle singole missioni di ogni battezzato .
Il primo caposaldo del metodo di vita cristiana non potrà che riproporre la dinamica originaria con cui il Mistero ha scelto di comunicarsi all’uomo: la logica dell’incarnazione, che è la radice dell’orizzonte sacramentale della rivelazione e della vita cristiana. Il cristiano è chiamato ad essere, in se stesso ed in tutti i suoi atti, entro ogni ambito dell’umana esistenza, come il sacramento dell’evento di Gesù Cristo. Gesù Cristo, infatti, non è un mero pretesto per affrontare le questioni che di fatto occupano gli uomini e le donne del nostro tempo. Né è il semplice ispiratore di una serie di comportamenti, sia pure nobilissimi. Gesù Cristo ‘ centro del cosmo e della storia – è la chiave di comprensione di tutta l’avventura umana. In Lui, per Lui e con Lui noi, membri della comunità cristiana, possiamo testimoniare ad ogni uomo il fascino sperimentato da chi si pone alla Sua sequela.

b) Un evento si comunica solo mediante un altro evento
L’obiezione forse più radicale, mossa oggi a Gesù Cristo dai non credenti – ma spesso presente anche nei battezzati – è la stessa che, a partire dall’Illuminismo e dal Romanticismo, rispunta sempre come un Proteo multiforme. Essa non riconosce a Gesù Cristo il carattere di evento, perché lo riduce ad un mero fatto passato. È nota l’affermazione di Lessing in proposito: chi potrà superare il maledetto fossato che mi separa da Gesù, Lui è vissuto 2000 anni fa, io vivo qui ed ora? Ma negando la contemporaneità di Gesù Cristo con la nostra persona, si finisce inesorabilmente con il vanificarlo e relegarlo nella forma evanescente del mito o addirittura della favola. Nella migliore delle ipotesi gli si riconosce il merito di essere un grande, forse il più grande dell’umanità, cui ispirare la propria vita, ma non si ammette che Egli possa essere vivo, presente qui ed ora.
Ma allora, come è possibile incontrare oggi uno che è vissuto duemila anni fa? Su quale base si può affermare che l’evento di Gesù Cristo non si dissolve lungo le coordinate del tempo e dello spazio in cui si svolge la storia? Ancora di più. Come è possibile a me che sono relegato nella storia seguire Colui che con la Risurrezione è ormai entrato nella nuova ed eterna dimensione?
A sciogliere questo nodo è proprio la logica sacramentale che ha il suo fulcro nel Battesimo e nell’Eucaristia. Essa sola consente di non ridurre l’evento a puro oggetto materiale (una ‘cosa’), inesorabilmente limitato dalle sbarre del tempo e dello spazio, ma gli permette di accadere qui ed ora per la mia libertà.
Proprio qui emerge il secondo, irrinunciabile fattore del metodo di vita cristiana (missione): un evento può essere comunicato solo attraverso un altro evento. Una realtà viva, infatti, per permanere tale all’interno delle inevitabili determinazioni di spazio e di tempo – cioè per poter essere sempre incontrabile – ha bisogno di un’altra realtà viva. Così ogni convenire nella comunità cristiana, a partire dalla liturgia, dalla catechesi e dall’azione caritativa in tutte le sue forme, è chiamato a documentare questo essenziale carattere di evento dell’annuncio cristiano. Esso solo salva la natura drammatica della Chiesa, la sua capacità, quindi, di mobilitare la libertà. C’è un test infallibile per verificare l’autenticità di ogni atto ecclesiale: se suscita, nel momento stesso in cui viene posto, un inizio di cambiamento in chi vi prende parte. Non è forse questa la ragione dell’irresistibile attrattiva esercitata dalle Giornate Mondiali della Gioventù sui nostri disincantati contemporanei? Esse sono eventi, cioè fatti ben rilevabili, veicolo (sacramento) di una Realtà che avviene qui ed ora offrendosi alla libertà di ogni uomo.
La fisionomia del cristiano si configura così, inequivocabilmente, come quella del testimone. Non perciò quella di un militante impegnato ad elaborare strategie e a cercare tecniche efficaci per riallacciare il rapporto con la società da cui, forse senza accorgersi, si era separato. Il fedele è un testimone che riconosce come tutte le circostanze e tutti i rapporti di cui è intessuta l’umana esistenza sono, in un certo senso, iscritti nell’orizzonte sacramentale potentemente unitario del disegno di Dio. Pertanto, sia pure analogicamente, circostanze e rapporti sono per lui il sacramento della trascendenza di Dio che interpella l’umana libertà.
La logica dell’incarnazione che determina l’orizzonte sacramentale costitutivo dell’esperienza cristiana rivela quindi in profondità in cosa consista il metodo di vita cristiana. Per il cristiano la vita stessa, prima ancora dei diversi stati di vita (matrimonio, verginità) è vocazione, in quanto la libertà dell’uomo, in ogni suo atto, è chiamata a rispondere all’appello di Dio, contenuto in ogni circostanza ed in ogni rapporto. Al di fuori del sacramento stricto sensu non è possibile neppure intuire questo valore sacramentale di circostanze e di rapporti. D’altra parte però, finché questo valore non diventa esperienza concreta in ogni circostanza ed in ogni rapporto, si può legittimamente dubitare della effettiva immedesimazione del cristiano al sacramento.

4. «La parte essenziale della vita»
Il passaggio finale di un racconto di Cechov, Lo studente, mi aiuta a sintetizzare – con l’inarrivabile forza persuasiva dell’arte – le due parti della mia riflessione sugli assi portanti della Costituzione Gaudium et spes: a) l’evento di Gesù Cristo come pienezza di ogni uomo (antropologia cristocentrica) e b) il metodo della vita cristiana: per comunicarsi l’evento di Gesù ha bisogno dell’evento della comunità e del testimone cristiano.
È il Venerdì Santo. Il protagonista, un giovane studente, infreddolito dopo aver a lungo camminato nel bosco, si ferma ad un casolare abitato da due vedove, madre e figlia, attratto dalla vigorosa fiamma del focolare. Tra lo studente e la vedova più anziana si instaura un dialogo che evoca un episodio distintivo di quel venerdì di passione. Il pianto di Pietro, dopo il tradimento, quando incrociò lo sguardo di Gesù. Al termine del racconto la madre scoppia in lacrime e la figlia stessa partecipa costernata all’evocazione. Scrive Cechov: «lo studente ‘ lasciato il casolare – pensò di nuovo che […] quello che lui aveva raccontato poco prima, e che era accaduto diciannove secoli addietro, aveva un legame col presente: con le due donne e, probabilmente, con quel villaggio deserto, con lui stesso, con tutti gli uomini. […] E la gioia si agitò all’improvviso nella sua anima con tanta intensità che dovette perfino fermarsi un minuto a riprendere fiato. ‘Il passato’, pensava, ‘è legato al presente da una catena ininterrotta di avvenimenti che scaturiscono l’uno dall’altro’. E gli pareva di aver scorto, poco prima, i due capi di quella catena [Pietro vissuto secoli prima e la donna presente in carne ed ossa davanti a lui]: non appena aveva toccato uno dei due estremi, l’altro aveva vibrato. E mentre attraversava il fiume sulla chiatta […] pensava che la stessa verità e la stessa bellezza che guidavano la vita degli uomini nell’orto degli ulivi e nel cortile del sommo sacerdote erano continuate senza interruzione fino a quel giorno [fino a lui], e sicuramente avevano sempre costituito la parte essenziale della vita degli uomini e in generale della terra quaggiù» .
Ecco il grande evento: un fatto passato – la vita, la morte e la resurrezione di Gesù di Nazareth, vero Dio e vero uomo – diventa un avvenimento di oggi grazie al dono sempre nuovo di Gesù Cristo che chiama in causa in ogni atto la mia libertà, attraverso la logica sacramentale. Quest’ultima si esprime in tutte le circostanze e in tutti i rapporti vissuti a partire dai sette sacramenti.
In questo senso la rilettura della Costituzione Pastorale Gaudium et spes dischiude a tutti noi il compito che la Provvidenza ci affida: rigenerare il popolo di Dio attraverso una appartenenza significativa a precise comunità cristiane. Ogni cristiano, partecipando alla vita di questo popolo santo, diventa attore capace di testimoniare in tutti gli «ambienti dell’umana esistenza» che la Santa Chiesa, nonostante tutti i limiti del suo ‘personale’ è forma mundi, cioè addita al mondo la bellezza.