Giornata mondiale del malato: omelia alla Messa celebrata all'ospedale di Venezia (11 febbraio 2003)
Martedì 11 febbraio 2003
11-02-2003

XI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
‘Il dono di sé’

S. MESSA NELLA MEMORIA DELLA B. V. DI LOURDES
Gn 1,20-2-4; Sal 131; Mc 7,1-13

OSPEDALE CIVILE DI VENEZIA
11 febbraio 2003

OMELIA DI S. E. MONS. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

1. «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn 1,31). L’opera della creazione, su cui il nostro lavoro di uomini si modella, appare ai nostri occhi come il paradigma del dono di sé. La Chiesa ha intitolato questa Undicesima Giornata del Malato al ‘dono di sé’. Tutti noi: ammalati, operatori sanitari, parenti ed amici siamo invitati a vivere la nostra esistenza come dono. Il Libro della Genesi ci ricorda che la Trinità, che non aveva nessun bisogno di comunicarsi, ha voluto, in modo del tutto gratuito e misericordioso, rendere partecipe l’uomo della propria vita divina e per questa ragione lo ha creato ed ha creato l’universo intero. Con la creazione la Trinità ha comunicato Se stessa, si è donata a noi. Dio, che è la vita, ci ha donato la vita donando Se stesso. Si capisce allora la profondità del versetto che conclude il racconto dell’opera del sesto giorno: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona».
E, soprattutto, si capisce la radice ultima della percezione che tutti noi, sia malati che sani, abbiamo del dono della vita e della salute. Questi doni infatti sono, ultimamente, partecipazione al dono che la Trinità fa della Sua stessa vita.
Ma come parlare di dono di fronte all’esperienza talora straziante della morte, di fronte alla sofferenza dolorosa che ci provoca la malattia? Anzi, come parlare di dono di fronte a ciò che ci investe come un male – così è della malattia e della morte? Questa realtà negativa ci cade addosso e in essa la vita sembra esserci tolta, che noi lo si voglia o meno. Altro che dono: la malattia e la morte sembrano, almeno a prima vista, una condanna! Gesù, il Crocifisso innocente che ha preso su di sé il nostro peccato, che ha patito ed è morto per noi, che per noi è risorto apre alla nostra personale libertà ‘ non in modo automatico, quindi ‘ la strada per lasciarci educare alla risposta esigita dal timore che ci pervade di fronte alla malattia e alla morte.
L’uomo è un essere sospeso tra l’eternità, cioè la piena felicità o realizzazione di sé, ed il nulla. Solo se la libertà finita dell’uomo si abbandona alla libertà infinita di Dio e si lascia accompagnare da Lui verso l’eternità, l’uomo evita di precipitare nel male cui il peccato di Adamo ci lascia esposti. La malattia e la morte ci fanno capire la nostra fragilità, il nostro radicale bisogno dell’altro, anzitutto dell’Altro con la ‘A’ maiuscola. L’inquietudine profonda e talora l’angoscia che ci accompagna nella malattia e nella morte rivelano così, con chiarezza, che – più o meno consapevolmente – la domanda di salute implica sempre una domanda di salvezza. Domanda cioè di essere liberati dalla minaccia dell’annientamento e di permanere nel bene. Chiedere salute diventa allora, come in questo momento, preghiera che, in Gesù Cristo, il Padre ci tenga stretti, non ci abbandoni mai, in ogni caso, anche di fronte all’estrema prova della nostra morte personale.

2. La complessa realtà ospedaliera contemporanea non può, se vuol restare fedele alla propria vocazione costitutiva, prescindere da questo dato: l’uomo è stato sottratto al nulla e cerca la vita, e la vita eterna. Qualunque sia la circostanza specifica di malattia per cui il paziente si rivolge all’ospedale, egli porta con sé ‘ lo espliciti o meno, lo sappia o meno ‘ un altro più radicale interrogativo: chi mi libererà dalla morte che in questa malattia si affaccia alla mia vita se tutto in me grida il mio desiderio di vivere per sempre? È la stessa domanda che i malati facevano a Gesù: «Guariscimi e rendimi la vita!» (Is 38, 16). Ovviamente la risposta a questa domanda non riguarda anzitutto la competenza tecnica specifica dell’operatore sanitario ma ha a che fare con l’arte terapeutica implicata in ogni suo atto clinico. Peraltro, questa è una domanda la cui risposta di per sé supera la capacità di ogni uomo.
Proprio per accogliere questo grido angosciato il Figlio di Dio si è fatto uomo e rimane presente in mezzo a noi, offrendosi nel Sacramento dell’Eucaristia, memoriale della Sua morte e della Sua risurrezione. Proprio perché noi possiamo avere parte alla Sua vittoria sulla morte ed essere, fin da questa vita, liberi dal timore della morte (cfr. Eb 2,15). Malati, medici, operatori sanitari, familiari, cappellani, associazioni ospedaliere, volontari’, tutti noi possiamo rispondere alla domanda lacerante che la malattia pone solo se diventiamo testimoni del potere di Cristo sulla morte.

3. La cura integrale, fatta di salute che invoca salvezza, che ogni paziente invoca ‘ lo sappia o meno – non può che nascere da questa nostra testimonianza, da una decisa autoesposizione, dal dono di sé. Anche nel nostro patriarcato, grazie all’impegno prezioso di molte associazioni e di molti volontari questa visione integrale della cura è ben presente. Per questo voglio richiamare quanto i responsabili della pastorale sanitaria hanno opportunamente scritto nel Mosaico, la Rivista di informazione pastorale della nostra Chiesa. Lo voglio fare per documentare la concretezza del dono di sé con cui molti uomini e donne si impegnano nel mondo della salute: «La nostra Diocesi, dopo la celebrazione dell’ultimo convegno diocesano della Pastorale della Salute che ha trattato il tema: ‘Salute e famiglia’, sta vivendo un momento importante per quanto riguarda il mondo dei malati. In sintonia con quanto sta avvenendo in campo istituzionale, dove si tende a spostare la cura dalle strutture sul territorio e a domicilio, cerca di farsi carico di un nuovo modo di andare incontro ai sofferenti responsabilizzando maggiormente le parrocchie e favorendo la creazione di un volontariato domiciliare. Tutto questo nella prospettiva della celebrazione del V Convegno diocesano che verterà sul tema: ‘Salute e parrocchia’» (p. 50). Ciò urge ancor più i responsabili delle istituzioni preposte all’organizzazione e alla gestione del servizio sanitario a seguire criteri oggettivi per attuare al meglio sul territorio il rapporto salute/risorse economiche. Altrove ne ho elencati taluni (IV Convegno della Pastorale della Salute, 16 novembre 2002): qui mi limito a richiamare il postulato fondamentale che li regge tutti, che il Magistero della Chiesa, anche ponendosi controcorrente, non cessa di proporre pubblicamente con forza: «La vita va protetta e difesa dal suo concepimento fino al suo naturale tramonto» (Messaggio del Santo Padre l’XI Giornata mondiale del Malato 2003, par. 4), poiché «l’uomo vale di più per quello che è che per quello che fa» (Gaudium et spes 35).

4. La Chiesa celebra la Giornata Mondiale del Malato nella memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes. Il Prefazio che tra poco proclameremo ci farà pregare in questo modo: Maria «’Ai piedi della croce, per il testamento d’amore del Figlio, estese la sua maternità a tutti gli uomini, generati dalla morte di Cristo per una vita che non avrà mai fine». Con tutto il tremore che non si può non avere di fronte al malato, in particolare al moribondo, il Patriarca vuole ridire con umile forza questa certezza di fede che anima la nostra speranza: Risorgeremo, questo nostro corpo vedrà il Salvatore. L’ammalato che si abbandona a questa certezza dona tutto se stesso, e anche il male fisico, perfino la morte, non sono più una sconfitta, un destino tragico da subire, ma diventano l’incontro con un Padre che ci ama, a cui vale la pena donarsi, sia che viviamo sia che moriamo (cfr. Rm 14, 8). E di questo dono beneficiano tutti, anzitutto i familiari e gli operatori sanitari. Nel dono di sé in Gesù Cristo l’uomo partecipa alla Sua opera portatrice di salvezza e di pace a tutta l’umanità.
In questo anno speciale dedicato al Santo Rosario invocheremo Maria Salus infirmorum, recitando ogni giorno la corona. E la reciteremo con intensa fede, certa speranza ed ardente carità, per non cadere nel rimprovero di Gesù, richiamatoci dal Santo Vangelo di oggi: «’Questo mio popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me« (Mc 7,6). La Vergine, Madre dell’Autore della vita, ci ottenga la grazia della salute e della salvezza eterna. Amen.