Festa diocesana della Famiglia: omelia del Patriarca
SANTA MESSA PER LA XXIV FESTA DIOCESANA DELLA FAMIGLIA
15-02-2004

VI domenica per annum C
Ger 17, 5-8; dal Salmo 1; 1Cor 15, 12. 16-20; Lc 6, 17. 20-26

1. «Benedetto l’uomo che confida nel Signore’ Egli è come un albero piantato lungo l’acqua’ non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti» (Prima Lettura). Non solo il brano di Geremia (Ger 17,8) ma tutta la liturgia di oggi ci propone l’opposizione tra l’uomo pio e l’em-pio, cioè tra il credere e il non credere. E lo fa mettendo in evidenza la ‘con-venienza’ della fede dell’uomo pio. Essa, come ci siamo più volte ripetuto, è la pienezza dell’umano. Invece l’empietà, il confidare nell’uomo inaridisce («l’uomo che confida nell’uomo ‘dimorerà in luoghi aridi, nel deserto’ in una terra dove nessuno può vivere», Ger 17,6). Spegne la gioia e la fecondità. In questa cornice esigente per la nostra libertà si colloca la XXIV Festa della Famiglia. Il sacramento del matrimonio e la famiglia aperta alla vita che ne deriva rappresentano uno dei frutti più belli della fede e della vita cristiana. Ci dicevamo all’ultima Assemblea degli sposi, lo scorso anno: essi sono sommamente convenienti. Si spiegano in tal modo i due gesti che ci apprestiamo a compiere. La consegna della Bibbia a sessantacinque nuove coppie di sposi vuole offrire loro un aiuto per quel formidabile ‘ricostituente’ dell’amore sponsale che è la preghiera, anche vissuta insieme. E il rinnovo delle promesse fatte il giorno del vostro matrimonio, da parte di voi tutti, per riscoprire ancora una volta il tesoro di grazia del sacramento che avete ricevuto e per ricordarvi chi siete. Contro il rischio, sempre in agguato, della riduzione dello sguardo sulle nostre persone e sulle nostre famiglie alla misura ristretta dei nostri pensieri e del nostro cuore.
Del significato di questi due gesti voi siete chiamati a dare testimonianza. Anzitutto testimonianza tra voi ‘ lo sposo alla sposa – e poi verso i vostri figli. In questo senso la presenza dei vostri bambini qui oggi non è accessoria, ma essenziale.

2. La fede è un dono, viene dall’alto. Però, per crescere, deve poi diventare una scelta. E una chiara scelta di campo («Beati voi, poveri’ Guai a voi, ricchi’» Vangelo, Lc 6,24). Ma non si tratta soprattutto di una scelta di campo di tipo sociologico, bensì di una scelta più profonda: della conversione del cuore. Ancora una volta la scelta tra la fede – cioè tra il riconoscersi bisognosi, affamati’ tra il gridare con semplicità la propria incompiutezza ed indigenza – e l’empietà: il credersi sazi, autosufficienti’ Una scelta di fede implica pertanto uno stile di vita fondato su un’affezione che si nutre del giudizio di fede e su un’azione che è l’esito di questa affezione assunta nel giudizio. Affezione, giudizio, azione del credente esigono che egli sia ben radicato nell’appartenenza a Gesù.

3. Secondo questa visione, quale prospettiva si apre alla famiglia cristiana? Quella della definitività assoluta in cui le beatitudini si attueranno. Ecco il senso del tempo futuro cui si riferisce l’evangelista Luca: «Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati» (Lc 6,21). Ma il tempo futuro è già incominciato, come ci sentiremo proclamare dall’Antifona alla Comunione: «Hanno mangiato e si sono saziati e Dio li ha soddisfatti nel loro desiderio, la loro brama non è stata delusa». È l’esperienza del centuplo quaggiù. «Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati’ Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti» (Seconda Lettura) (1Cor 15,20). Il centuplo quaggiù è la primizia della resurrezione.
Come cristiani, come famiglie cristiane siamo inseriti in una vita che non ha fine (eterna) che lega al di qua e al di là (centuplo). Attraverso il vivere in Cristo ogni giorno.

4. Dove si sperimenta questa vita piena (di fede)? Per custodire e far crescere la novità umana generata dalla fede ci è dato un luogo educativo: la Chiesa che vive vicino alla nostre case. «La parrocchia ‘ la chiesa ‘tra le case vicine’ ‘ è il luogo dell’educazione integrale degli affetti attraverso l’innesto della parentela naturale nella nuova parentela donata dallo Spirito del Crocifisso Risorto. La parrocchia è la comunità in cui la casa è assunta in una più ampia dimora» (da ‘Il volto missionario della parrocchia’). Sottolineo missionario! La missione incomincia dalla tua casa se la concepisci e vivi come inserita nella dimora (parrocchia) che ci accompagna personalmente, educandoci agli affetti, al giudizio e all’azione di fede in tutti gli ambienti dell’umana esistenza. Per questo abbiamo pregato con l’Orazione di Colletta: «O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano’ rendici degni di diventare tua stabile dimora».

5. Vivendo il volto missionario della parrocchia gli sposi cristiani scoprono un aspetto decisivo della loro missione ecclesiale, frutto dell’amore coniugale vissuto nel sacramento del matrimonio. Essi divengono soggetto di azione ecclesiale (pastorale). In quest’ottica va collocata l’educazione al senso cristiano dell’amore dei vostri figli (Iniziazione cristiana e famiglia); la cura degli adolescenti e dei giovani perché scoprano la bellezza e la convenienza della castità; l’accompagnamento dei fidanzati perché si accostino con verità al sacramento del matrimonio evitando forme di convivenza prematrimoniali. Queste, lungi dal rappresentare una verifica dell’amore, finiscono per incrinarlo perché sono di fatto espressione di un affetto non ancora consapevole del vero amore. Infatti, la convivenza tra l’uomo e la donna, che esprime il ‘per sempre’, richiede che il legame sia prima diventato oggettivamente pubblico e stabile e perciò indissolubile. La convivenza non deve precedere, ma seguire il matrimonio.
Il volto missionario della parrocchia ha bisogno di voi, di sante famiglie aperte alla vita perché fondate sul matrimonio sacramento. Il matrimonio sacramento infatti «…comprende e supera i desideri di evasione dell’individuo. Il rapporto indissolubile spezza inflessibilmente le tendenze dissolutrici dell’esistenza e costringe i vacillanti a crescere oltre se stessi verso l’amore effettivo. Nella promessa del matrimonio gli sposi non impegnano la propria fedeltà sulle sabbie mobili della loro fedeltà, non si consegnano a se stessi ma a Gesù Cristo che, scelto, li sceglie e, penetrando tutti gli strati del loro essere, a partire dalle radici biologiche, attinge le altezze della grazia e dello Spirito Santo» (H. U. von Balthasar, Gloria I, Milano 1975, 18-19).

6. Senza pavidità sosteniamo questa posizione. È umanissima e un vero Vangelo (lieto annunzio).