FESTA DI SAN MARCOOMELIA DEL CARD. MARCO CE' E SALUTO DI S. E. MONS. ANGELO SCOLA, AL TERMINE DELLA SOLENNE LITURGIA EUCARISTICA PRESIEDUTA DAL CARD. MARCO CE' (25 aprile 2003)
25-04-2003

SAN MARCO 2003
Omelia alla Messa tenuta dal Card. Marco Cè

Signor Sindaco, Gentili Autorità, Fratelli e Sorelle nel Signore,

a raccoglierci oggi nella nostra cattedrale è la festa di San Marco, patrono di Venezia.
Il nostro Patriarca, con gesto di squisita benevolenza, ha voluto che fossi io a presiedere questa solenne liturgia: gliene sono sinceramente grato.
Oggi la Città e la Chiesa veneziana si incontrano, non solo nelle loro più alte espressioni istituzionali, ma testimoniano anche una profonda intima unità, senza confusioni. La Chiesa di Venezia sa che solo rendendo testimonianza al Risorto nella partecipazione alla vita quotidiana e alle vicende della città in cui è radicata come dono di salvezza, realizza le ragioni del suo esserci. Nello stesso tempo la Città è consapevole, per la sua stessa esperienza storica, che da una Chiesa che viva il Vangelo può ricevere grande aiuto a realizzare in pienezza quei valori che la fanno vera ‘città a misura d’uomo’, fermento di fratellanza e di solidarietà e ponte di relazioni pacifiche e unificanti nella terra e nel mare in cui la Provvidenza l’ha chiamata a vivere.

Non possiamo dimenticare che mentre Venezia festeggia il suo Patrono, l’Italia intera celebra la memoria della sua liberazione e i grandi valori che sono sostanza della sua legge costituzionale.
La festa di San Marco non ci distoglie dai sentimenti che oggi uniscono gli italiani, ma ci impegna ulteriormente a viverli e a trasmetterli alle giovani generazioni.

2. Riflettiamo ora sulla Parola di Dio che abbiamo ascoltato.
La prima lettura, tratta da un discorso dell’apostolo Paolo, proclama l’evento della Pasqua. Dice l’apostolo: ‘A noi è stata mandata questa parola di salvezza. Gli abitanti di Gerusalemme e i loro capi non hanno riconosciuto Gesù di Nazaret,’e pur non avendo trovato in lui nessun motivo di condanna a morte, chiesero a Pilato che fosse ucciso’Ma Dio lo ha risuscitato dai morti”.

Il brano evangelico è tratto invece dal Cap. 16° di Marco che, nella prima parte, proclama l’evento della Risurrezione. Dice infatti l’angelo alle donne andate al sepolcro: ‘Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui’.
Nel seguito dello stesso capitolo, proclamato nella liturgia di oggi, risuonano le ultime parole del Risorto ai suoi: ‘Andate in tutto il mondo e annunziate a tutte le creature la bella notizia della risurrezione. Chi crede e sarà battezzato sarà salvo.Chi non crede, sarà condannato’.

In tal modo il Risorto insegna che l’annunzio della Pasqua , proclamato e accolto dalla libertà, non può rimanere solo un fatto intellettuale o esclusivamente interiore, ma deve diventare storia concreta: una storia ‘nuova’, salvata dalla Pasqua.
Per questo Gesù parla di ‘segni’ che accompagneranno coloro che credono. Ne fa solo dei cenni che in qualche modo esplicitano quanto Egli aveva detto nel discorso dell’Ultima Cena: ‘Farete le cose che facevo io, anzi ne farete di più grandi’ (Gv 14,12).
Questo ci svela che il mistero di Gesù non si chiude con la sua ascensione al cielo, ma va a compimento nella sua Chiesa, cioè in noi e per mezzo nostro, che siamo il suo corpo, il suo sacramento e la sua memoria viva.

4. Certo le modalità concrete con cui noi dobbiamo vivere il Vangelo non sono più quelle dei tempi di Gesù: il mondo è cambiato.
Allora io ritorno al nostro San Marco. Gli Atti degli Apostoli e le lettere paoline ce lo presentano partecipe dei viaggi e del ministero missionario di Paolo e del cugino Barnaba. Lo stesso Pietro, nella sua prima lettera, lo chiama affettuosamente ‘figlio’. Di fatto la tradizione lo vorrebbe aiutante di Pietro nella predicazione del Vangelo a Roma e suo interprete nel passaggio dell’annunzio dalla lingua aramaica di Pietro a quella greca allora comunemente parlata.
Vediamo così il nostro Patrono coinvolto nel laborioso passaggio dell’annunzio evangelico dalla cultura semitica, in cui esso era nato, a quella ellenistica: un passaggio decisivo per la diffusione del Vangelo e per il suo influsso sulla vita dei credenti; un passaggio compiuto nella comunità presieduta dagli apostoli, con l’assistenza delle Spirito Santo.

Questo ci riporta alla sfida rivolta anche alla nostra generazione, protagonista d’un radicale passaggio culturale. La comunicazione della fede in un mondo che cambia esige uno sforzo di traduzione del Vangelo nel linguaggio e nei compiti propri d’un cristiano nel mondo di oggi. Anch’esso infatti deve ricevere la lieta notizia della Risurrezione e deve essere fermentato dalle energie rinnovatrici del Risorto.
La grazia battesimale e l’Eucaristia ci fanno uomini radicalmente nuovi, ‘concorporei e consanguinei’ di Cristo. Questo tende a tradursi in un nuovo modo di essere e di comportarsi, sia personale che comunitario. Di fatto gli Atti degli Apostoli, descrivendoci il primo diffondersi del cristianesimo dopo la Pasqua e il dono dello Spirito, ci descrivono una comunità caratterizzata da atteggiamenti che solo la grazia della Pasqua può originare e sorreggere: una comunità fraterna e concorde, unita nell’ascolto degli apostoli e nella preghiera, nello spezzar del pane e nella solidale condivisione dei beni (At 2,42-7).

5. Ma come il Risorto ‘agisce con noi’ nell’annunzio del Vangelo e quali sono i prodigi confermano la Parola, come affermerebbe il brano evangelico che abbiamo ascoltato?
Il nostro pensiero corre a un altro aspetto fondamentale della Pasqua: Gesù risorto ci dona il suo Spirito. Compimento della Pasqua è la Pentecoste.
E’ lo Spirito di Gesù che ci rende capaci di incarnare il Vangelo nei gesti della cultura di oggi. Lui ci fa memoria delle parole di Gesù nelle concrete situazioni, perché i nostri comportamenti siano essi stessi ‘memoria viva’ del Signore, in qualche modo ‘parola evangelica’ per il mondo di oggi (Gv 1612-15).
Rendere testimonianza è proprio questo: professare con libertà l’inaudito evento del Signore risorto e farlo trasparire dai nostri comportamenti, soprattutto nei ‘segni’ dell’amore e della pace, frutti dello Spirito.
Questo qualifica la vita di un credente: la sua vita familiare, il suo impegno sociale e politico, la stessa ricerca scientifica che ne riesce promossa non mortificata, il lavoro professionale ecc.: e tutto a livello individuale e comunitario.

Il testimone sa però che la fedeltà ha un prezzo: l’ha pagato prima di tutti Gesù sulla croce; l’hanno pagato, anche con la vita, centinaia di migliaia di cristiani, nel secolo appena concluso, ‘il secolo dei martiri’, durante i regimi totalitari; un prezzo di fedeltà che dovremmo essere disposti a pagare anche noi. Lo Spirito Santo, che ha sostenuto Gesù, sarà la nostra forza. Il martirio è il segno più grande del cristianesimo.

6. La festa di San Marco, collocata fra la Pasqua e la Pentecoste che dona lo Spirito, assurge così a forte richiamo della nostra identità cristiana. Essa per tutti deve tradursi nella testimonianza della vita: ‘Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni’fino agli estremi confini della terra’, dice Gesù prima di lasciare questa nostra terra.

La testimonianza è il compito dei figli della risurrezione. San Marco che ci ha dato l’esempio, ce ne ottenga anche la forza.
Marco Cè

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO
SOLENNITÀ DI SAN MARCO EVANGELISTA, PATRONO DI VENEZIA E DELLE GENTI VENETE
VENEZIA, 25 APRILE 2003

SALUTO DI S. E. MONS. ANGELO SCOLA, PATRIARCA
AL TERMINE DELLA SOLENNE LITURGIA EUCARISTICA

«Pax tibi, Marce, evangelista meus». Nell’odierna liturgia eucaristica, singolarmente illuminata dalla pubblicazione della recente enciclica del Santo Padre, voglio estendere questo saluto augurale a tutti i veneziani e a tutte le genti venete. E da Venezia, oggi 25 aprile, raggiunga tutta l’Italia. Sottoposti come siamo all’interminabile stillicidio di guerre che in troppe parti del mondo sconvolgono la vita di milioni di persone, percepiamo con maggior intensità l’urgenza della pace. Noi veneziani, bambini, giovani, donne, uomini, famiglie, gruppi e istituzioni, abbiamo la particolare responsabilità di dirigere i nostri passi sulla via della pace, attingendo energie dal pozzo profondo della nostra storia caratterizzata da un dinamico rapporto tra sapienza cristiana e creatività civile. «Stet firma et usque floreat, pax alma et alma caritas». Con più consapevolezza canteremo oggi durante i Vespri solenni: «la santa pace e la carità perfetta si rafforzino e sempre fioriscano».
Coniugando, nella vita di tutti i giorni, affetti e lavoro, possiamo edificare «l’ordine della pace» magistralmente indicatoci dal Beato Giovanni XXIII, a noi specialmente caro.
Come perseguire a livello personale e sociale quella verità, quella giustizia, quella libertà e quell’amore che attuano, giorno dopo giorno, nonostante le fragilità e le contraddizioni, una convivenza civile e istituzionale capace di esaltare il singolo? Cosa ha da dirci in proposito il prezioso onere di custodire in questa splendida basilica le reliquie dell’evangelista Marco? Non deve ridestare – quest’anno più che mai – la nostra responsabilità di testimoni – stupiti e concreti come San Marco – di come seguire Gesù renda più piena la vita personale e sociale?
Affido alle genti venete questi interrogativi perché la festa di oggi si carichi di una speranza che non delude.