Festa di San Marco 2001: l'omelia del card. Cè (25 aprile 2001)
 
25-04-2001

FESTA DI SAN MARCO
Basilica di San Marco, 25 aprile 2001

Ci siamo raccolti per celebrare la festa del nostro Patrono San Marco. Lo facciamo per conto dell’intera città e del suo territorio. Nel nome di San Marco e in questa Basilica si incontrano la nostra storia civile e religiosa, la vocazione universale di Venezia dentro un’Europa unita, e la sua apertura al dialogo con la grande tradizione culturale e religiosa dell’Oriente: basta, per convincersi, alzare gli occhi e immergersi nella grande sinfonia dei mosaici!
A San Marco, oggi, affidiamo il cammino della nostra città nel corso del millennio appena iniziato, perché sia nel segno d’un progresso ordinato e pacifico, ricco di speranza.

1. L’apostolo Paolo, nella prima lettura, ha proclamato l’evento della Pasqua di Gesù. Per un credente ha senso celebrare un santo se Cristo è veramente risorto. Se Cristo non fosse risorto, la memoria dei santi sarebbe solo nostalgia.
La morte e la risurrezione di Cristo hanno sconfitto il male e vinto la morte, ci hanno aperto la certezza che il male non è la sorte ineluttabile dell’uomo; esso può essere vinto grazie alla potenza dello Spirito che nel Battesimo ci viene donato.

2. La liturgia è dominata dalle parole di Gesù: ‘Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura’.
L’orazione iniziale della Messa poi esprime la condizione che consente di realizzare tale apertura missionaria al mondo: ‘O Dio, che hai glorificato il tuo evangelista Marco con il dono della predicazione apostolica’, fa che alla scuola del Vangelo impariamo a seguire fedelmente Cristo Signore’

Che significa che si può essere ‘annunziatori’ del Vangelo solo se si è ‘discepoli’ del Signore Gesù. L’evangelizzazione non è primariamente un’opera mediatica, di efficienza o di marketing, bensì testimonianza viva e coerenza di vita con il Vangelo.
Talora essa deve essere anche disponibilità al martirio: ce lo ricorda l’apostolo Pietro nella seconda lettura, alludendo ai tempi difficili in cui vivevano i cristiani a cui si dirige. La fede cristiana è sempre stata una strada stretta.

Il vangelo ha proclamato le ultime parole del Risorto, prima di salire al cielo.
Gesù stesso ci avverte che la sua glorificazione non è una separazione dalla storia degli uomini. Conclusa la sua missione terrena ed elevato alla destra del Padre, Gesù effonde su di noi il suo stesso Spirito. Perché?
Perché noi, fatti membra del suo corpo mediante il Battesimo, portassimo a compimento la sua opera.
In quale modo?
Gesù dice: ‘Farete le stesse cose che facevo io: predicherete e battezzerete, sconfiggerete le potenze del male, annunzierete la salvezza ad ogni popolo e razza senza discriminazioni di sorta; e nessuna realtà avversa potrà fermarvi, perché sarà con voi la potenza stessa di Dio’.

Così, mediante i credenti, l’opera salvifica di Gesù raggiungerà tutti gli uomini. In realtà il Vangelo non si esaurisce con la partenza di Gesù da questa terra. Grazie allo Spirito Santo che ci è stato dato, il Vangelo di Gesù ‘ cioè la sua presenza salvatrice ‘ si realizza nella storia degli uomini mediante la vita dei credenti, che sono così ‘l’oggi’ di Cristo.
Al punto che quello che i credenti fanno diventa azione o passione del Risorto, non per la straordinarietà dei gesti, ma per la verità e l’onestà del nostro agire animato dallo Spirito Santo.
La nostra vita di battezzati infatti è ‘vita in Cristo’. Non ci ha detto Gesù che lui è la vite e noi i rami e che un’unica vita scorre nella vite e nei rami? Non ci ha detto che i frutti che maturano sui rami, che siamo noi, è lui stesso che li opera per mezzo nostro?
Non ci ha detto l’apostolo Paolo che noi siamo membra del corpo di Cristo, e che formiamo quasi una persona con lui?
4. Noi però ci domandiamo cosa possano significare, per dei credenti del XXI secolo, le parole di Gesù: ‘parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno?’
Tali parole di Gesù possano trovare traduzione su due versanti: sul versante della pace fra l’uomo e il creato, e sul versante dell’amore fraterno. E su quest’ultimo vorrei un attimo insistere.

La nostra città e il nostro territorio hanno sempre avuto una grande tradizione di carità: sono innumerevoli le opere sorte a Venezia, lungo i secoli, per accogliere anziani, ammalati, bisognosi di aiuto, sia per iniziativa della Repubblica che per la munificenza dei privati.
Questo spirito, che ha onorato la nostra storia, oggi deve sapersi tradurre in forme moderne di solidarietà con i più deboli, di accoglienza e di condivisione con chi è nel bisogno, al di là di ogni discriminazione: certo nel rispetto delle leggi. Rifiutando però l’egoismo, individuale e collettivo, che ci porterebbe a ripiegarci su noi stessi.

5. Concludiamo: questo Vangelo di salvezza che deve andare a compimento anche oggi, Gesù lo realizza con le nostre mani.
Non c’è infatti stato di vita, professione, lavoro o servizio all’uomo, non c’è impegno sociale e politico, che non sia assunto da Cristo e da lui salvato.

Che il nostro Patrono San Marco ci aiuti a capire la bellezza di una vita salvata dalla Pasqua e da essa fatta strumento di salvezza; una vita di cui si possa dire: qui si compie il Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.