Festa della Presentazione del Signore al Tempio: omelia del Patriarca

02-02-2003

Ml 3, 1-4; Eb 2, 14-18; Lc 2, 22-40

1. «Vedemmo con gli occhi il Dio fatto carne’ noi onoriamo questa presenza’ né sarà ormai possibile dimenticarcene» (dai Discorsi di S. Sofronio, Ufficio delle Letture della Presentazione). «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,30). Vedere con gli occhi Dio incarnato è la salvezza. Lo scioglimento dell’enigma dell’uomo (salvezza), l’attesa più profonda di ogni persona si fa incontro materialmente a Simeone e ad Anna. Non un’idea, nemmeno un cammino spirituale, ma un bimbo, tangibile, umanissimo.
«Noi crediamo in Dio che è il Creatore della carne; crediamo nel Verbo fatto carne per riscattare la carne; crediamo nella risurrezione della carne, compimento della creazione e della redenzione della carne» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1115). Questo è il senso della vita come vocazione.
La logica dell’incarnazione è piantata in mezzo alla comunità cristiana per il bene del mondo. Con la vocazione di speciale consacrazione donata a ciascuno di noi la logica della vita come vocazione ha assunto una speciale fisionomia.
Chiamati a vedere Dio con i nostri occhi e a vivere della memoria di Lui. Non per i nostri meriti, per il dono dello Spirito attraverso un carisma. La Chiesa, nostra madre, ce lo richiama ogni giorno attraverso il paziente accompagnamento (educazione) alla comunione che trova un peculiare aiuto nella Regola. Infatti la Regola è l’espressione della compagnia guidata al destino. Ed il destino è questo Bambino che ci è donato di stringere tra le braccia per rinnovare lo stupore grato di quel che ci è accaduto. Per nulla diverso rispetto a quel che capitò a Maria e Giuseppe di cui il Vangelo di Luca annota: «Il padre e la madre di Gesù si stupivano di quello che si diceva di lui» (Lc 2,33).

2. Il carisma di fondazione partecipato da ciascuno di voi per grazia, vissuto nella comunione di abbazie, monasteri, conventi, case o nuove forme di appartenenza dentro la compagine ecclesiale (pluriformità nell’unità) apre al Bambino-salvezza quanti incontriamo (missione). Preziosa azione secondo il carisma ‘ educazione, sofferenza, parrocchie’ Missione come eco della preziosa missione di Gesù annunciata da Simeone.
«Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo» (Eb 2,16). Il Signore Gesù si è preso cura di noi fino in fondo, assumendo la nostra carne, tutta la nostra umanità, fino alla sofferenza e alla morte, perché tutta la nostra umanità, tutta la nostra carne, fosse esaltata: «Il Padre della luce mandò la luce vera, dissipò ogni tenebra e rese tutti noi luminosi» (dai Discorsi di S. Sofronio).
Contro la mentalità dominante che pensa talvolta che la nostra vocazione implichi un di meno di umanità sta l’esperienza di pienezza, di compimento di Simeone. «Felice colui che lo vide nel tempio’ Felice quell’uomo che prese il bambino Gesù nelle sue braccia, che l’alzò nelle sue due mani’» (Péguy, da: Il mistero della carità di Giovanna d’Arco).
L’attesa di Simeone mostra che il «lascia che il tuo servo vada in pace» (Lc 2,29) è la liberazione dalla schiavitù (timore) della morte. È l’anticipo della vita eterna. La morte non è «il baratro del nulla ma il fiorire dell’eternità» (Messaggio della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata).

3. La salvezza però non è mai ‘a buon mercato’. Non si dà salvezza, senza la prova della nostra libertà sempre chiamata a prender posizione davanti a Lui. «Egli’ è segno di contraddizione’ perché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,35). Questo è drammatico e mette in conto la sofferenza, anche la più acuta. Egli, infatti, «è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare’» (Ml 3,3). Pensiamo alla dolorosa profezia del vecchio Simeone a Maria: «E anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35).
Ma, di più, Cristo stesso accetta di passare sotto il giogo della prova, perché «per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb 2,18). Questa prova è l’assunzione nella vita come vocazione, circostanza dopo circostanza, rapporto dopo rapporto, dei tre consigli evangelici: povertà, castità, obbedienza. È a questo livello che, attraverso la vita religiosa, l’universalità della Chiesa mediante i vostri carismi brilla nella sua particolarità. Il patriarcato si aspetta questo apporto, soprattutto nell’impegno di questi anni a riscoprire il volto missionario della parrocchia.

4. Il giubileo di molti tra voi ci riempie di gioia. Vita consacrata come esperienza dell’amore nuziale. Dice un passaggio della Vita consacrata: «La persona che dalla potenza dello Spirito Santo è condotta progressivamente alla piena configurazione a Cristo, riflette in sé un raggio della luce inaccessibile e nel suo peregrinare terreno cammina fino alla Fonte inesauribile della luce. In tal modo la vita consacrata diventa un’espressione particolarmente profonda della Chiesa Sposa, la quale, condotta dallo Spirito a riprodurre in sé i lineamenti dello Sposo, Gli compare davanti ‘tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata’ (Ef 5, 27)».
«O Dio, che hai esaudito l’ardente attesa del santo Simeone compi in noi l’opera della tua misericordia» (Postcommunio).
Preghiera, rendimento di grazie e instancabile passione di comunicare Gesù a tutti. «Esse amano Gesù e trasformano in azione vivente questo loro amore» (Beata Madre Teresa).

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