Festa del Redentore 2002: l'omelia e la preghiera del Patriarca (21 luglio 2002)
Pronunciata nella Basilica del Redentore domenica 21 luglio
21-07-2002

Ez 31, 11-16; Sal 22; Rm 5, 5-11; Gv 3, 13-17

1. I “viaggiatori” – così vogliamo definire i turisti nostri ospiti, perché il latino viatores ricorda a loro e a noi che sono propriamente pellegrini – che hanno attraversato questa sera il Canale della Giudecca, sul ponte appositamente costruito per l’occasione, sono stati di certo colpiti dal progressivo delinearsi delle poderose e svettanti linee architettoniche che il genio palladiano ha imposto a questo celebre tempio votivo. Forse i veneziani, già adusi a questa singolare traversata, erano protesi piuttosto ad entrare nel sacro edificio per lasciarsi sorprendere dall’itinerario tracciato dalle Cappelle con le pale che celebrano tutti i misteri della vita di Cristo. Da un lato e dall?altro esse accompagnano all’altare maggiore come al loro centro naturale, ove il grande Crocefisso, che rinvia al Cristo risorto della lanterna della cupola, manifesta la Redenzione come il cuore dell’Incarnazione.
Il Palladio e gli artisti che hanno operato in questo tempio hanno così reso evidente il metodo straordinario scelto dalla misericordia del Padre per redimerci. Egli ha mandato Suo Figlio nella carne a vivere l’intera esperienza umana – le cui tappe essenziali ricalcano integralmente i misteri della vita di Gesù dal concepimento alla resurrezione – eccetto il peccato. Egli, l’innocente per eccellenza, si è fatto peccato per nostro amore. Vincendo il peccato ha tolto alla morte – alla sua causa e ad ogni sua manifestazione ordinaria e straordinaria – l’acuto pungiglione.
Di questa tenera e potente misericordia di Dio erano ben consapevoli i nostri padri quando, nel 1576, fecero voto di innalzare questo tempio al Redentore perché li salvasse dal flagello di una terribile pestilenza. Da allora, ogni anno, senza interruzione, il nostro popolo, con i suoi autorevoli rappresentanti, viene in pellegrinaggio in questa splendida Basilica per celebrare nell?Eucarestia la memoria vivente del sacrificio del suo Salvatore.

Con questa potente espressione del suo sensus fidei, che da secoli ne segna la storia, Venezia dimostra anche di riconoscere l’alta qualità che compete alla vita civile e che ha reso la nostra città un faro di progresso e di cultura in tutto il mondo. Al Signor Sindaco e alle altre Autorità qui convenute, che hanno ancora una volta voluto valorizzare questo grande gesto della societas veneziana, va il mio riconoscente saluto.

2. «Mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito» (Rm 5, 6). Peccatori ed empi ci definisce l’Apostolo nella Lettera ai Romani e, poco oltre, aggiunge: «quando eravamo nemici» (Rm 5, 10). Peccatori, empi e nemici.. Paolo non teme di spingere a fondo il coltello nella piaga infetta della nostra condizione umana..!
Nessuno meglio di Paolo, l’accanito persecutore degli inizi, poteva farlo! Eppure, nel cuore di questo uomo, peccatore, empio e nemico, «l’amore di Dio è stato riversato» (Rm 5, 5) in forza dell’obbedienza di Gesù sulla croce. Dio elargisce il Suo amore a chi lo odia! «Mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5, 8). Fedele alla sua missione di svelare la gratuità assoluta del Padre, la Chiesa non ha mai smesso di proclamare all?uomo questa verità. Lo fa anche oggi, senza temere l’inattualità ed anche a costo di andare controcorrente, poiché essa sa bene che l’uomo e l’umana società possono incontrare in Gesù Cristo le risorse più straordinarie per il loro bene-essere.
Nella morte e resurrezione di Cristo operata per la remissione dei peccati degli uomini – nel Redentore, il nostro festeggiato di oggi – ogni singolo uomo ritrova il suo volto compiuto (cfr. Gaudium et spes 22). Non potremmo credere ad una salvezza che non ci liberasse totalmente dal male che, nelle sue variegate forme, ci tiene in qualche modo prigionieri. Al di là degli eufemismi con cui siamo usi mascherarlo noi sappiamo che il male, soprattutto il male morale di cui siamo coscienti attori, accompagna
c
om
e un sordo rumore di fondo la nostra esistenza di pellegrini.
Grande è pertanto la nostra sorpresa nel costatare quale stima abbia mai Dio Padre di ognuno di noi, se pur essendo peccatori, empi e nemici ci ama a tal punto «da dare il Suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16).
E notiamo bene quanto ci ha richiamato Paolo nella Lettera ai Romani: «A stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5, 7-8).
A tale consapevolezza il popolo eletto non cessa, ormai da millenni, di lasciarsi pazientemente educare dall?amorosa alleanza stabilita da Dio che si china sulla Sua creatura: «Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura» (Ez 34, 11). Da questa puntuale esperienza di gratuità assoluta sgorga la domanda del salmista, che diventa questa sera la nostra personale domanda:
«Chi è mai l’uomo, perché Tu te ne prenda cura?». Di quale assoluta dignità ognuno di noi è portatore per meritarsi un Dio crocifisso?

3. Nel Redentore l’uomo, ogni singolo uomo, emerge nella sua compiuta figura.. Nel rapporto singolare, vale a dire unico ed irripetibile con Dio, stabilito per ogni uomo in Gesù Cristo si fonda la sua inalienabile dignità. Ogni uomo è costitutivamente soggetto di diritti fondamentali, cui corrispondono – realtà questa che non amiamo sovente ricordare – precisi doveri. Chiunque sia privo di pregiudizio non potrà negare che su questa idea cristiana di persona si è andata progressivamente strutturando la più compiuta concezione di civis e di società civile di cui gli uomini possano beneficiare.
Il civis europeo, che nasce come civis cristiano, trova qui la sua singolare, inconfondibile identità.. Certo esso si sviluppa sulle radici della concezione di cittadino ideata dal pensiero greco e irrobustita dal
diri
tto
romano. Questa tuttavia era parziale. Basti pensare che solo in quanto civis romanus uno era libero e non schiavo. Sull?eccedenza, introdotta dalla visione cristiana, di persona, fiorisce la figura piena di cittadino e di società. A tal punto che queste nozioni chiedono ancora oggi di trovare concreta attuazione nei troppi ambiti, vicini e lontani, di varia emarginazione.

4. Nulla e nessuno deve poter intaccare il sacrario intimo della persona, al di là del grado di malvagità cui questo singolo possa essersi abbassato, perché la dignità di ogni uomo è riscattata fin dall’origine da quel Dio che, per amore del peccatore, empio e nemico, ci ha redenti. Su queste basi di straordinario realismo è possibile edificare una società civile ed uno stato veramente capaci di valorizzare (non semplicemente di tollerare) ogni differenza e di affrontare il paziente e delicato compito di promuovere la giustizia e la pace.
Su questa concezione di uomo e di società, non su quella – accattivante ma astratta – di Rousseau (secondo cui l’uomo sarebbe naturalmente buono ed il male come tale non dipenderebbe da lui ma solo dallo sviluppo sociale), né su quella – assai pericolosa, anche se a prima vista più realistica – di Hobbes (homo homini lupus: per la quale l’uomo sarebbe originariamente aggressore del diritto altrui).

5. Con questa consapevolezza la Chiesa rivolge il suo insegnamento sociale al popolo e ai suoi rappresentanti nei vari ambiti della società civile ed in modo particolare alle autorità politiche che portano il peso del governo statuale a tutti i suoi livelli. Infatti, da questa precisa concezione di cittadinanza e di società deriva un metodo adeguato per l?esercizio del potere in democrazia.
Questa prospettiva, che ricerca efficacemente il bene comune, non teme di fare ricorso – nel paragone instancabile, anche fortemente dialettico, con tutti – al compromesso. L’espressione non deve essere fraintesa, ma colta nel suo significato pieno. Deriva dal
latin
o cum
(insieme) promittere (promettere) ed indica l’impegno a rimettersi vicendevolmente al giudizio di un arbitro, accettandone la decisione. Per questo domanda di essere disposti a rinunciare, se necessario, alle proprie opinioni e a sacrificare gli interessi propri e della propria parte in favore del bene di tutti.
Chi è nella vita politica questo arbitro? È la persona del cittadino, il quale non è mai isolato, ma è immerso, fin dalla nascita, in comunità (dalla famiglia ad ogni sorta di comunità intermedia). L?arbitro, quindi, è in ultima analisi il popolo. Le necessità, i bisogni e le aspirazioni del popolo, nella sua articolata complessità, debbono stare a cuore a chi riveste una qualsivoglia autorità.
Prendersi veramente cura di questo popolo oggi non potrà non implicare una magnanima anche se ordinata accoglienza dello straniero che si affaccia alla nostra tavola sempre superimbandita. Esigerà decisioni creative per vincere l’emarginazione dovunque si presenti, ma soprattutto nel Sud del Pianeta. Avrà bisogno di politiche sociali ben più avvedute nei confronti del matrimonio, della famiglia e della vita. Valorizzerà tutti i corpi intermedi che sono la linfa vitale della società civile. L’educazione, la scuola e la cultura, luoghi di libertà per eccellenza, saranno oggetto di straordinaria iniziativa. La giustizia, in tutte le sue manifestazioni, dovrà essere perseguita mediante un uso non formalistico del diritto. E si potrebbe continuare questo elenco, ma è già a tutti ben noto.
Conviene forse aggiungere che in questa stessa prospettiva del compromesso in senso nobile – cioè con l’appassionato impegno di tutte le forze in campo disposte a cedere al bene del popolo arbitro – è urgente che diventino operative le soluzioni ai grandi problemi che sembrano angustiare endemicamente la nostra Venezia: da quelli ecologico-ambientali a quelli viabilistici, alla questione delle autonomie e dell’integrazione territoriale, per giungere alla ben più grav
e emerge
nza antr
opologica.
A livello locale come a quello nazionale ed internazionale sono improcrastinabili politiche di qualità.
Ma le politiche di qualità richiedono la qualità della politica.
E questa risiede in ultima analisi, nella politica del cum-promittere, cioè dell?instancabile ricerca della miglior soluzione pratica possibile di ogni problema specifico sotto lo sguardo avvertito dell?arbitro, cioè del popolo.
Rivelando il valore inalienabile dell?essere personale, Cristo Gesù Redentore ci indica così l’imprescindibile garanzia per edificare la vita buona, nella sua dimensione personale e sociale. Infatti, il mistero della redenzione funge, per così dire, da antidoto contro le inevitabili e sempre ricorrenti tentazioni dell’ideologia e dell’utopia.
Guardare il Redentore significa riconoscersi bisognosi di salvezza, ammettendo che ogni sforzo umano – anche il più nobile e generoso – ha comunque la forma provvisoria del tentativo, sempre in lotta per non degenerare nella violenza utopica di chi pensa di poter instaurare il Regno di Dio su questa terra. Questo richiamo a lasciarsi permanentemente ricondurre nel territorio solido del vero, abbandonando le inevitabili sabbie mobili dell’ideologia, riguarda da vicino soprattutto noi cristiani impegnati. Stimiamo spesso assai di più la nostra opinione piuttosto che l’unità prodotta dal giudizio di fede e, sovente, facciamo di un pluralismo ridotto a pretesto lo scudo fragile per imporre ostinatamente agli altri la nostra visione di parte.
Invece la consapevolezza dell’inevitabile imperfezione dell’umana convivenza, proprio per non provocare in nessuno il disinteresse nei confronti della vita civile e politica, deve spingere i cristiani, i ?cittadini per eccellenza? – come li chiamava Péguy -, a cercare incessantemente il compromesso in senso nobile, cioè a mantenere nella tenace ricerca del bene comune il dialogo tra i diversi soggetti presenti nella compagine sociale, qualunque sia la loro opinio
ne su vice
nde storiche sempre contingenti.
La testimonianza dei fedeli nell’ambito politico e sociale documenterà in tal modo come dalla fede nasce un?esperienza profondamente conveniente per l’uomo. E le comunità cristiane riprenderanno con vigore ad essere scuole di democrazia sostanziale, fattore irrinunciabile per le società del Terzo Millennio. Il loro marcato pluralismo culturale e religioso, lungi dall”essere una minaccia od una obiezione, si rivelerà una straordinaria opportunità.
Praticare il compromesso in senso proprio come legge nobile della politica è una delle forme più elevate di carità proprio perché mette in campo attori capaci di autentico sacrificio e rinuncia, spalancati al dono di sé per il bene del popolo.
A questo atteggiamento, che non esito a definire di straordinaria virtù, dovrebbero costantemente rifarsi quanti detengono il potere a tutti i livelli oggi in Italia, in modo particolare se si professano credenti in Cristo.
L’appassionata ricerca del bene comune trova un test particolarmente probante nella cura della dimensione educativa intrinseca ad ogni azione sociale. Se si riduce il popolo sovrano a pura fonte di opinioni da registrare con le sofisticate tecniche di indagine, lo si considera in stato di permanente minorità. È necessario invece favorire la nascita e la vita di quei soggetti popolari che sono il sale di una democrazia sostanziale. Altrimenti parlare di popolo sovrano come arbitro del compromesso sarebbe astratto ed illusorio. Finirebbe per condurre nel mare tempestoso ed ingovernabile della “volontà generale” di rousseauina memoria, che oggi purtroppo incontra non poche subdole riedizioni tra numerosi filosofi della politica.
Ma per riconoscere il popolo quale vero arbitro, mediante la valorizzaione dei corpi intermedi a garanzia della dignità della persona, in vista di una democrazia veramente sostanziale, ci vuole il coraggio del “compromesso nobile”.
Sarebbe saggio, in proposito, che coloro che esercitano o
ggi il poter
e, ad ogni
livello, nel nostro paese, prestassero la più grande attenzione a quanto reiteratamente Giovanni Paolo II va ripetendo alla cara nazione italiana e non trascurassero le indicazioni operative che, da anni, il Cardinale Ruini, presidente della CEI, offre a nome dei vescovi italiani. Essi non cessano di proporre piste adeguate per favorire la transizione che, ormai da più di un decennio, sta mettendo a dura prova il volto istituzionale del paese con inevitabili ricadute negative in ambito sociale, culturale e politico.
Sarebbe un guadagno per tutti, dal momento che al cuore di quegli insegnamenti magisteriali, troppo spesso disattesi quando non ignorati, sta veramente il popolo coi suoi bisogni primari: la famiglia, la vita, la scuola, il lavoro, lo sviluppo, la cultura e la giustizia. Tali insegnamenti, senza entrare in questioni specificamente politiche che esulano dalla competenza dei Vescovi, mostrano chiaramente come riforme di qualità possano fiorire solo dall?articolata vita del popolo, ben espressa dalle comunità intermedie: anzitutto le famiglie e le copiosissime forme associative e poi, se adeguatamente ripensati, i sindacati ed i partiti.
Per favorire la crescita della democrazia sostanziale in Italia, non basta concepire l’azione politica come realizzazione, all’interno del libero mercato, di una serie di obiettivi strutturali, in sé necessari e magari grandiosi, da parte di un?avanguardia illuminata. Nello stesso tempo è necessario resistere ad ogni strumentalizzazione dei soggetti intermedi. Nessuno di essi – tanto meno, stante la loro rilevanza popolare, i sindacati e i partiti – deve essere piegato, nei suoi scopi e metodi, a progetti e strategie snaturanti. Sono queste purtroppo tentazioni che colpiscono ancor oggi le forze in campo nel nostro paese.

6. Carissimi figli, ciascuno di noi è chiamato a diventare strumento dell?esaltante promessa di unità fatta dal Signore al suo popolo: «Dice il Signore Dio: – Io stesso cer
cherò le pecor
e e ne avrò
cura … le radunerò da tutti i luoghi dove erano state disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. … le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare» (Ez 34, 11-12).
Il nostro patriarcato intende rispondere alla sua missione specifica offrendo a tutti i fedeli le Proposte Pastorali “Lieti nella speranza”, che verranno capillarmente distribuite nelle parrocchie, nei vicariati, nelle famiglie, nelle associazioni, nei gruppi e nei movimenti, con il numero speciale di Gente Veneta del 7 settembre 2002. Esse vogliono essere una sollecitazione alla libertà di ogni cristiano perché corrisponda, insieme agli altri, al sovrabbondante amore di Gesù Cristo.
Questa sera in cui siamo tutti stretti intorno al Redentore preghiamo, insieme, con particolare fervore per il popolo veneziano. Lungo la sua gloriosa storia esso è sempre stato consapevole del valore immenso della libertà personale e sociale, emblema della grande dignità della persona e della comunità.
Ma la pienezza della libertà sta nell?offerta della propria vita «perché il mondo si salvi» (Gv 3, 17). Amen.
Preghiera per la Città

O Padre, ricco in misericordia,
che sul Volto sfigurato e glorioso
del Tuo Figlio Crocifisso e Risorto,
hai rivelato la dignità di ogni uomo,
manda il Tuo Spirito Consolatore
su questa nostra amata Città.

Come i nostri padri,
noi, Tuoi figli,
siamo convenuti a festa
in questa struggente laguna.
Come loro, veniamo pellegrini,
attraverso il ponte dell?unità e della pace,
a questo Santo Tempio votivo
e facciamo corona al Redentore.

Siamo consapevoli della nostra debolezza
e dei nostri peccati.
Ma Tu, o Padre, non abbandonarci e perdona.
Ascolta, un?altra volta,
i nostri bisogni e i nostri desideri.

Dona salute all?anima e al corpo,
perseveranza nella prova,
letizia nel cammino della vita.

Custodisci i bimbi,
entusiasma i giovani,
conforta gli ammalati,
sostieni gli anziani,
ricompensa i poveri,
accompagna lo straniero.

Rinsalda le famiglie,
anima le comunità,
illumina i governanti,
dona pace alle nazioni,
proteggi il Tuo popolo.

Sii propizio a chi ci visita da ogni dove
per ammirare, in questa Tua Venezia,
il riflesso della Tua bellezza.

Rafforza la nostra fede,
accresci la nostra speranza,
infiamma i nostri cuori
con la carità del Redentore
morto per la nostra salvezza.

Per Maria, Vergine e Madre,
rendici liberi davvero.
E sia la nostra vita
lode alla Santa Trinità.

Per Cristo Nostro Signore. Amen