FESTA DEI GIUBILEI SACERDOTALI
05-06-2003

FESTA DEI GIUBILEI SACERDOTALI
Basilica della Salute 5 giugno 2003

Rivolgo un saluto affettuoso a tutti, in particolare al nostro Patriarca, alla cui benevolenza debbo se ancora io presiedo quest’Eucaristia di ringraziamento per il dono grande del ministero ordinato.

1. Sono contento di celebrare con voi, qui, nella basilica della Madonna della Salute: ad essa tutti siamo profondamente legati. Nella storia del nostro cammino verso il sacerdozio, nei suoi momenti belli e in quelli difficili, c’è la Madonna della Salute. Quante volte le abbiamo detto con San Bernardo: ‘Ricordati, Vergine Madre, che non si è mai sentito che uno sia ricorso a te, senza che tu l’abbia soccorso’. La preghiera alla Madre di Gesù ci ha ottenuto forza nelle fatiche e pace nei turbamenti. Per questo la portiamo sempre nel nostro cuore.
Vorrei la portassero in cuore anche Renato e Alessandro, che presto riceveranno l’ordinazione presbiterale.Non dimentichino mai quante volte la Madonna li ha rincuorati col suo amore materno e rassicurati nelle loro difficoltà. Non si privino della gioia di ritornare qui, sostando in preghiera davanti all’immagine della Madonna, per ritrovare la gioia e lo slancio con cui da qui sono partiti per la meravigliosa avventura del loro ministero.

Un pensiero particolarissimo d’affetto e di riconoscenza il nostro presbiterio rivolge oggi a quanti celebrano i giubilei di ordinazione: a Mons: Gino Spavento e a Mons Attilio Daltin che tagliano gloriosamente il traguardo dei sessantacinque anni di ordinazione e a Mons Rosalino Scarpa quello dei sessanta; a Mons Antonio Niero (e con lui chi vi parla) che ricorda i cinquantacinque anni di sacerdozio; a Don Bruno Bertoli, Don Valerio, Don Eliseo Dori, Don Carlo Fassetta, Don Ivo Franceschini, Don Ferruccio Gavagnin, Don Carlo Massari, Don Pasquale Rossato, p.Leone Rosato O.F.M., p. Ruffino Cappuccino e don Benedetto salesiano che festeggiano la loro Messa d’oro; a Mons Lucio Cilia, Don Narciso Danieli, Don Lio Gasparotto e Don Vincenzo Piasentin che ringraziano il Signore per i loro primi cinque lustri. Noi li onoriamo perché essi hanno faticato per il Vangelo in questa nostra terra: è giusto e bello dire loro ‘grazie’ tutti insieme, col nostro Patriarca, qui dov’è maturata la loro vocazione.

La pietà popolare dedica al Sacro Cuore di Gesù il mese di giugno e il Santo Padre lo ha voluto particolarmente impegnato nella preghiera per la santificazione dei sacerdoti. Noi esorteremo le nostre comunità ad accompagnare Don Renato e don Sandro al gran giorno della loro ordinazione e ad elevare la loro preghiera perché il Signore doni vocazioni alla nostra Chiesa.

2. E’ tempo però che io mi dedichi alla meditazione sulla Parola di Dio: da essa ci viene la forza nella fedeltà quotidiana e il senso di tutto il nostro impegno.
Della lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli (22, 30.23, 6-11), sottolineo solo l’ultimo versetto.
Col suo annunzio della risurrezione di Gesù, Paolo aveva sollevato una disputa tumultuosa fra farisei e sadducei, al punto che, a stento, egli stesso venne sottratto al linciaggio. Non sarebbe stata la prima volta; direi anzi che l’autore degli Atti degli Apostoli evidenzia con puntigliosità i continui scacchi che accompagnarono il lavoro missionario di Paolo.
Di notte però il Signore venne accanto a Paolo e gli disse: ‘Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma’.
L’Apostolo aveva avuto un’esperienza analoga a Corinto. Dopo una serie di delusioni e sconfitte, egli pensava di lasciare tutto. Quando, di notte, gli apparve il Signore e gli disse: ‘Non aver paura: continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male, perché io ho un popolo numeroso in questa città’ (At 18, 9).
In ambedue i casi il Signore infonde coraggio al discepolo ferito, che lui stesso aveva scelto e mandato; nell’uno e nell’altro caso, però, non lo solleva dalla fatica, ma gli dà la certezza che, facendo quello che fa, porta a compimento l’opera di salvezza propria di Gesù, nel suo nome e per suo conto. Come Gesù stesso aveva detto nel discorso dell’ultima cena: ‘Farete le cose che facevo io, anzi ne farete di più grandi perché io vado al Padre’ (Gv 14, 12). Paolo, a Roma, dove Gesù lo manda, subirà il martirio quale memoria viva e attualizzazione della croce stessa del Maestro.

Cari Confratelli, è bello contemplare il nostro ministero , umile com’è sempre stato quello di Gesù, come prolungamento, direi, quasi sacramentale, come memoria viva e reale del ministero stesso di Gesù: ogni giorno, finché il tempo non sia compiuto. Ogni giorno Gesù prega con noi, fatica e soffre con noi e per mezzo nostro. Noi siamo veramente il ‘quinto evangelio’.
Questa realtà così grande – dono assolutamente gratuito conferito a ciascuno di noi mediante l’imposizione delle mani – da un canto ci mantiene ‘in timore et tremore’, dall’altro però ci dà la certezza di essere gli ‘amati da Dio’, da Lui chiamati ‘non servi, ma amici’; chiamati sempre e da lui continuamente ricuperati dalle nostre debolezze e salvati, con infinito amore.

3. Un pensiero vorrei offrirvi anche sul Vangelo. Esso meriterebbe un lungo svolgimento. Il cap. XVII° di S. Giovanni raggiunge altezze da capogiro: una pagina da leggere e rileggere, adorando e tacendo. E poi godendo.
Il brano che abbiamo letto è la terza parte della così detta ‘preghiera sacerdotale’ di Gesù (Gv 17, 20-26). Dopo aver pregato il Padre per sé e per gli apostoli, Gesù prega per coloro che crederanno in Lui proprio per la parola degli apostoli.
E che cosa chiede Gesù per noi, per la sua Chiesa? Chiede ‘che tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi, in noi, una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato’ (v.21). Parole da vertigini. Noi, di fronte all’Unum trinitario, ci sentiamo così piccoli! Ci viene da dire con Elisabetta della Trinità: ‘O mio amato Cristo, sento tutta la mia impotenza’. Per poi di continuare con lei: ‘Ti chiedo allora di rivestirmi di te stesso, di immedesimare la mia anima con i sentimenti della tua, di sommergermi, di invadermi, di sostituirti a me, affinché la mia vita non sia che un’irradiazione della tua vita”
A ben pensarci, però, questa grazia di partecipazione, in Gesù, dell’Unum delle Tre Persone ci è già data.
Quando? Come?
Nel Battesimo, nel dono dello Spirito e in quello dell’Eucaristia che ci nutre nella ‘comunione’, che è già vita trinitaria, anche se non ancora piena; e ci è dato nel carisma dell’Ordine sacro, conferitoci per convocare la Chiesa nell’unità eucaristica: perché il mondo creda.
Il nostro essere qui, oggi, fratelli a cui il Risorto spezza il pane, gli incontri zonali con il Patriarca, il nostro lavorare insieme, faticando per il Vangelo, cos’è se non camminare verso e ‘dentro’ quell”Unum’ che ci è dato, a cui però il Signore ci chiama perché lo realizziamo sempre più, affinché il mondo creda?
E’ questa la grandezza della nostra vita: una grandezza infinita nella piccolezza della nostra vita quotidiana, con molti limiti, ma vissuta per il Signore, cercando Lui e il suo Vangelo, volendolo portare a tutti, com’è sua volontà. Grandezza e piccolezza: è l’icona di Maria presente nella nostra vita.
Benediciamo il Signore per il fatto che siamo qui, raccolti in Unum, insieme con il nostro Patriarca.
Benediciamolo per il fatto di trovarci raccolti nel nostro Seminario, luogo di grazia per tutti. Questo luogo è una grande sfida per la nostra speranza, ma anche per la nostra corresponsabilità ecclesiale nell’aiutare quanti il Signore ha chiamato a discernere il dono di Dio e a farlo maturare nella loro vita.

Confratelli carissimi, io mi accontento di questo. Ora continueremo nella celebrazione eucaristica. Tutto quello che ci siamo detti è nell’Eucaristia e in essa ci viene dato. Ogni giorno ci viene dato, perché nell’Eucaristia c’è tutto e ci viene dato tutto. Anche nei giorni stanchi e sofferti. Talora nella nuda fede. Ma lì, nell’Eucaristia, c’è il Signore. Che ci attende, ci ristora nella stanchezza, ci scalda il cuore col suo amore, con la sua misericordia e con il suo dolcissimo perdono.