"Educazione e laicità?": intervento in occasione delle celebrazioni per i 150 anni del Collegio Canova / Istituto Cavanis (Possagno, 6 marzo 2008)
06-03-2008

Possagno, 6 marzo 2008

 

Istituto Cavanis

 

 

Celebrazione dei 150 anni del Collegio Canova

 

 

Educazione e laicità?

 

 

+ Angelo Card. Scola

 

Patriarca di Venezia

 

Premessa

 

«Cinquant’anni di povertà e di lotte, come si conveniva ad un nuovo tipo di scuola che fosse gratuita, libera e aperta». Così si legge a pagina 8 del volume dal titolo ‘I Venerabili Servi di Dio P. Antonio e P. Marco Cavanis‘ a proposito della loro vita interamente spesa al servizio di Dio e della gioventù.

 

Certamente, nel panorama della proposta educativa del Patriarcato di Venezia, delle nostre terre venete e ormai in diversi continenti, ma più in generale nel nostro Paese, l’opera dei Fratelli Cavanis brilla come fulgido esempio di un modello di scuola che, con la straordinaria capacità di precorrere i tempi spesso propria dei santi, appare oggi più decisivo che mai per la edificazione di una vita buona personale e sociale. Decisivo, ma purtroppo ancora troppo spesso frainteso, quando non apertamente osteggiato, perché vittima di riduzioni ideologiche che ne pregiudicano la retta comprensione.

 

Per questo non mi sembra inutile, prima di addentrarmi a descrivere sinteticamente quelle che sono, a mio giudizio, le strutture portanti di un sistema educativo autenticamente laico ed adeguato ad una società plurale come la nostra, proporre qualche considerazione che aiuti a chiarire i termini essenziali della questione educativa.

 

 

1. Un significativo conflitto di linguaggi

 

Anzitutto occorre fare una constatazione. Quando oggi in Italia si ragiona intorno al carattere della scuola, colpisce come avvenga una sorta di distorsione semantica negli aggettivi che ad essa si riferiscono, a seconda che vengano adoperati a partire dai diversi approcci ideologici. Distorsione che non di rado genera conflitto.

 

Facciamo qualche esempio. Una scuola ‘libera‘ è, secondo alcuni, una scuola libera da vincoli ideologici di tipo identitario. Per altri, invece, la scuola è libera proprio in quanto può trasmettere un sistema coerente di valori legati ad una precisa concezione di vita senza costrizioni da parte dello Stato.

 

Per gli uni, una scuola è indipendente perché in un contesto di finanziamento centralizzato può operare senza preoccuparsi di competere sul ‘mercato’ per affermare la propria qualità; per gli altri, è indipendente perché grazie alla sua qualità (intesa come capacità di rispondere in modo adeguato ai bisogni degli ‘utenti’) resta sul ‘mercato’ senza dipendere dallo Stato.

 

 

2. A proposito di laicità

 

Non è necessario sottolineare che questo significativo conflitto di linguaggi trova il suo zenit nell’uso del termine laico. Anche questo termine è impiegato con significati assai diversi e spesso contraddittori.

 

Il concetto di laicità oggi più diffuso poggia su un presupposto acritico e non dichiarato. Considera che, in una società democratica plurale, il rapporto tra il singolo individuo portatore di diritti fondamentali e lo Stato si possa correttamente dare solo a patto di non introdurre tra i due, in nessuna forma, altri elementi di riferimento e di mediazione. In questo contesto, la religione – o più in generale una ben identificabile Weltanschauung – costituirebbe un ‘terzo incomodo’, tollerabile solo se si riduce a fatto privato proprio del singolo individuo. È la fase ulteriore del processo per cui «la globalizzazione enfatizza una soluzione di neutralità culturale: per la democrazia occidentale odierna tutte le religioni sono ‘uguali’ (in-differenza). La sfera pubblica è dichiarata neutrale verso le religioni (‘) Alle diverse religioni si chiede e si impone di considerare il loro universalismo come un fatto privato’»[1].

 

In ambito scolastico questa posizione implica necessariamente l’opzione per un sistema che si vuole neutro o indifferente. Un sistema che, rinunciando a una proposta di senso, considera di fatto l’educazione prevalentemente come addestramento o apprendimento di technicalities. Senza dover esaminare in dettaglio i termini di questa proposta non ci si può impedire di rilevare che sistemi di questo tipo finiscono nelle secche di quel razionalismo intellettualistico che ancor oggi, con diverse varianti, inficia una grande parte delle istituzioni educative. Esso si esprime, da una parte, nella pretesa di ‘attrezzare’ l’educando fornendogli una sempre più articolata gamma di competenze; dall’altra nel considerarlo come una sorta di monade autosufficiente, sciolto da ogni legame. Nozionismo ed abilità tecnico-pratiche da fornire ad un individuo separato: a questo si riduce spesso l’educazione nelle nostre società sviluppate.

 

La domanda che si impone allora è chiara: è accettabile l’equivalenza tra laicità e neutralità o indifferenza?

 

Per rispondere a questa domanda è necessario chinarci, sia pur sommariamente, sulla natura del fenomeno educativo come tale, imprescindibile punto di riferimento, di fatto o di diritto, del sistema scolastico.

 

 

3. Educazione come relazione

 

a) Rendere possibile un’esperienza integrale

 

«La cosa più importante nell’educazione non è un ‘affare’ di educazione, e ancora meno di insegnamento»[2] così Jacques Maritain, andando al cuore della questione educativa, individua l’inquietante eppure appassionante paradosso di cui ogni vero educatore è ben consapevole. E, subito dopo, ne indica la ragione: «L’esperienza, che è un frutto incomunicabile della sofferenza e della memoria, e attraverso la quale si compie la formazione dell’uomo, non può essere insegnata in nessuna scuola e in nessun corso»[3].

 

La categoria di esperienza – assunta nella sua integralità, una volta sgombrato il campo da ogni riduzione psicologico-soggettivistica del termine – è il cardine della proposta educativa. L’esperienza integrale può garantire il processo educativo perché garantisce lo sviluppo di tutte le dimensioni di un individuo fino alla loro realizzazione e nello stesso tempo l’affermazione di tutte le possibilità di connessione attiva di quelle dimensioni con tutta la realtà[4]. Realtà in tutte le sue dimensioni, intesa quindi come esistente umano, esistente storico, esistente vitale, esistente cosmico. Dimensioni cariche di implicazioni tra le quali la principale è Dio.

 

Una simile concezione dell’educazione comporta un giudizio positivo sulla realtà. Il reale, al di là delle tensioni drammatiche che lo attraversano, al di là della sua stessa contingenza, è un bene. L’educazione, per dirla con la celeberrima definizione di Jungmann, è introduzione alla realtà totale («eine Einführung in die Gesamtwirklichkeit») proprio perché la realtà totale corrisponde – ‘corrispondenza’ è la parola che traduce la cum-venientia dei medioevali – al cuore (alle esigenze costitutive) dell’uomo. E corrisponde perché è per il bene dell’uomo. Quindi è un positivo.