Convegno"Etica: l'attualita' delle origini". Intervento del Patriarca Angelo Scola
CAMERA DI COMMERCIO DI VENEZIA, 22 marzo 2004
22-03-2004

FEDERAZIONE PROVINCIALE COLDIRETTI VENEZIA

CONVEGNO
ETICA: L’ATTUALITÀ DELLE ORIGINI

LA COMUNITÀ DEGLI UOMINI E L’AGRICOLTURA.
LA CURA ED IL LAVORO DELLA TERRA NELL’INSEGNAMENTO SOCIALE DELLA CHIESA

CAMERA DI COMMERCIO DI VENEZIA
Venezia, 22 marzo 2004

Angelo Card. Scola
Patriarca di Venezia

1. La ‘radice nobile’ lavoro

Il rapporto con la terra attraverso il suo rispetto e la sua coltivazione è parte costitutiva dell’esperienza umana integrale. A nessuno verrebbe in mente anche solo di poterne prescindere. Tuttavia la coscienza dell’importanza decisiva di questo rapporto ‘ come purtroppo avviene con molti altri aspetti decisivi dell’esperienza umana elementare ‘ normalmente non viene a galla in tutta la sua pienezza se non in chi, come voi, è legato direttamente al mondo agricolo.
In cosa consiste la decisività della terra per l’uomo e la famiglia umana? Per rispondere a questa domanda è sufficiente rifarsi a due dati essenziali.
Anzitutto si deve riconoscere che il legame tra ogni uomo ed il popolo cui egli inevitabilmente appartiene passa attraverso la terra. Si trova qui la radice ultima dell’attaccamento alla patria, che è comunità umana, perché è concretamente ‘geografia’ e quindi geopolitica. Molto su questo avremmo da imparare da chi ha vissuto in prima persona ‘ e nella nostra regione non sono pochi ‘ il dramma dell’emigrazione.
Il secondo dato emerge da quella che è un’evidenza assodata per tutti: ‘lavorare la terra’ costituisce la forma paradigmatica di ogni altra forma di ‘lavoro’. Anzi, a mio giudizio, proprio qui si può rinvenire la radice nobile del lavoro. Non per nulla la stessa parola cultura viene da coltura, fa quindi ultimamente riferimento al coltivare la terra. L’agricoltura – indipendentemente dalla straordinaria ed affascinante, ma anche problematica, complessità da cui oggi è connotata in forza del connubio scienze-tecnologie (biologia) – mette in campo quelli che potremmo definire come ‘fattori primi’ costitutivi dell’esperienza di ogni forma di lavoro. È questo che la rende, in un certo senso, paradigmatica.
Questi fattori emergono con particolare evidenza nella storia delle terre venete. Mi limito qui a citarne due. La solidità della famiglia fondata sul matrimonio stabile, pubblico, fedele che, a dire dei sociologi più avveduti, ha costituito e dovrebbe continuare a costituire un rilevante capitale sociale del nostro territorio. In secondo luogo il robusto spessore etico del lavoro agricolo fatto di tenacia, di frugalità e di parsimonia. Questi elementi, eminentemente legati al lavoro della terra, per secoli hanno costituito le risorse più preziose del nostro popolo veneto. Su di essi il cosiddetto modello veneto di sviluppo ha potuto far leva alla fine degli anni sessanta – gli anni della grande trasformazione – raggiungendo un grado di evoluzione tale da portare il Nord Est ai vertici dell’economia, non solo delle regioni italiane, ma dell’intera Europa. E questa invidiabile posizione sembra essere mantenuta ancora oggi, nella generale e delicata situazione di stallo ‘ speriamo non di recessione ‘ in cui versa tutto l’Occidente industrializzato.
Mi preme dire subito che, in qualunque quadro socio-economico (anche il più ‘futuribile’) l’uomo si trovi ad operare, comunque sia evoluta e debba evolvere l’agricoltura all’interno dell’attuale modello di sviluppo, rinunciare al capitale sociale della famiglia e dell’alto senso etico del lavoro causerebbe, senza ombra di dubbio, un’implosione di tale modello. Non per nulla ‘ in occasione della Festa del Redentore ‘ abbiamo parlato della necessità di far evolvere il modello di sviluppo in modello di civiltà.
In proposito Giovanni Paolo, II all’inizio dell’enciclica Laborem Exercens, scrive: «Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l’uomo dal resto delle creature, la cui attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro; solo l’uomo ne è capace e solo l’uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua esistenza sulla terra. Così il lavoro porta su di sé un particolare segno dell’uomo e dell’umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone [in primis la famiglia]; e questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura».
Da quando Leone XIII affrontò per la prima volta in modo organico ‘ con l’enciclica Rerum novarum ‘ la cosiddetta ‘questione sociale’, il Magistero della Chiesa non ha mai cessato di offrire al popolo cristiano e agli uomini di buona volontà il suo insegnamento sociale. Col tempo si è andato così formando un ricchissimo patrimonio magisteriale che va dai solenni documenti conciliari ‘ si pensi alla Costituzione Pastorale Gaudium et spes -, alle encicliche pontificie – praticamente tutti i papi dopo Leone XIII hanno offerto insegnamenti a tematica sociale -, al magistero episcopale, fino agli innumerevoli testi prodotti da commissioni, consigli o gruppi di studio allo scopo di entrare nel concreto delle questioni dibattute. Forse si potrebbe, addirittura, affermare che, almeno nell’ultimo secolo e mezzo, in nessun altro campo come in quello sociale si sia impegnata la riflessione cristiana in modo così ampio ed articolato. Al punto che chi cerca di aprirsi un varco nel folto bosco dei pronunciamenti potrebbe trovarsi in difficoltà. Per questo è decisivo nella vostra organizzazione l’apporto dei Consulenti ecclesiastici ed un organico e stabile lavoro di formazione di antropologia cristiana come chiave di lettura dell’insegnamento sociale della Chiesa.

2. Il lavoro e la cura della terra

Certo non possiamo essere ingenui. Oggi il lavoro, e in particolare il lavoro agricolo, si trova ad affrontare sfide urgenti e complesse. Basti citare, come esempio, la questione dei cosiddetti organismi geneticamente modificati.
Ma, prima di farvi brevemente cenno, vorrei tentare di illuminare il contenuto della nostra riflessione a partire dalla fede della Chiesa e dall’esperienza cristiana.
Il titolo proposto per questo intervento ‘ La comunità degli uomini e l’agricoltura. La cura ed il lavoro della terra nell’insegnamento sociale della Chiesa ‘ rispecchia sinteticamente il contenuto di quanto il libro della Genesi ci riferisce sulla volontà del Creatore in merito al rapporto uomo-creato (terra).
Occorre anzitutto sottolineare un dato essenziale all’antropologia genesiaca, ben individuato dal titolo della nostra relazione. Mi riferisco alla necessità di pensare il rapporto tra l’uomo e la terra a partire dall’essenziale dimensione comunitaria dell’esistenza umana. Adamo, infatti, interlocutore del Creatore è il capostipite dell’umanità, non semplicemente un individuo. Pertanto parlare di La comunità degli uomini e l’agricoltura significa riconoscere che il rapporto individuo-comunità, una polarità insuperabile, è costitutivo di un adeguato discorso sull’uomo e, quindi, sul suo lavoro e sul suo nesso con la terra. A questo proposito mi pare che anche la sensibilità contemporanea sia in totale sintonia con il dato biblico. Le più avvedute antropologie hanno largamente superato l’individualismo esasperato che, di fatto, aveva caratterizzato l’evolversi della modernità. Ed anche la forte reazione all’ideologia collettivistica non è giunta, normalmente, a mettere in discussione la dimensione sociale e comunitaria dell’umana esperienza. Non è questa la sede per valutare se il superamento dell’individualismo, proposto dalla più recente riflessione antropologica, interessi anche la cultura egemonica dell’Occidente opulento (col termine ‘cultura’ qui mi riferisco alla modalità concreta con cui gli uomini e le donne del nostro tempo affrontano la loro vita, i loro affetti e il loro lavoro: come dice Giovanni Paolo II «la cultura è un modo specifico dell”esistere’ e dell”essere’ dell’uomo» ) e i rapporti tra popoli o nazioni (non sarebbe infatti esagerato parlare in talune occasioni di ‘individualismo nazionalista’).
In secondo luogo occorre soffermarsi sulle chiavi di lettura offerte dal libro della Genesi per comprendere il rapporto della comunità degli uomini con la terra. Sappiamo che nella versione del primo racconto della creazione ‘ denominato dagli studiosi poema dei sette giorni (cfr Gn 1) ‘ la parola di Dio sul tema che ci occupa ha proprio la forma di un comando dato all’uomo: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra» (Gn 1,28). Non poco è stato scritto, anche in senso fortemente critico, a proposito del cosiddetto ‘antropocentrismo biblico’. È nota la critica all’orientamento antropocentrico della cultura occidentale da parte del pensiero ecologista: «la tradizione biblica avrebbe generato l’opposizione tra uomo e natura per il solo fatto di affermare la precedenza dell’uomo sul creato. Inoltre la tradizione ebraico-cristiana avrebbe operato un originario ‘disincanto del mondo’ (Max Weber) enfatizzando la divinità di Dio e la sua trascendenza e secolarizzando l’universo, ridotto a semplice terra di conquista, abbandonata alla cupidigia dell’uomo. Il monoteismo ebraico-cristiano sarebbe stato funzionale agli interessi umani nei confronti della natura, servendo da garante teologico dell’esasperato antropocentrismo della concezione biblica» .
Non possiamo ora entrare nel dettaglio della risposta a tale critica . Ad evitare una lettura unilaterale in chiave antropocentrista del passaggio genesiaco in questione è sufficiente il riferimento al ‘secondo racconto’ della creazione (cfr Gn 2,41-3,24: gli esegeti direbbero che questa terminologia è imprecisa), in cui l’insegnamento biblico sul rapporto dell’uomo con la terra viene così formulato: «il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gn 2, 15). Come nel primo caso, anche qui si deve riconoscere che i protagonisti del rapporto uomo-terra non sono semplicemente due ‘ la comunità degli uomini e la terra ‘ ma tre. Tanto nella ‘versione del comando’ che in questa seconda descrizione dell’azione divina nei confronti delle sue creature, il Creatore non cede il suo protagonismo. Anzi il testo biblico mi sembra rimarcare il fatto che è Lui, se così si può dire, la sorgente del rapporto tra l’uomo e la terra, Colui che li mette in relazione. In questa prospettiva qualsiasi pretesa antropocentrista viene radicalmente ridimensionata.
Si può osservare inoltre che la formulazione «perché lo coltivasse e lo custodisse» mette in campo i due binari fondamentali su cui corre il rapporto tra la comunità degli uomini e la terra: il lavoro e la cura della terra. Ecco emergere un’altra volta i due termini evidenziati dal nostro titolo.
Ciò che mi preme, però, mettere in evidenza in questa sede è la prospettiva unitaria con cui procede il testo biblico. Coltivare e custodire la terra non sono attività separate, successive e tanto meno alternative! Costituiscono due dimensioni intrinsecamente connesse dell’unico rapporto tra la comunità degli uomini e la terra così come il Creatore l’ha voluto. In questo senso possiamo ricordare le parole di Giovanni Paolo II al Giubileo del Mondo Agricolo: «operate in modo da resistere alle tentazioni di una produttività e di un guadagno che vadano a discapito del rispetto della natura. Da Dio la terra è stata affidata all’uomo ‘perché la coltivasse e la custodisse’ (cfr. Gn 2, 15). Quando si dimentica questo principio, facendosi tiranni e non custodi della natura, questa prima o poi si ribellerà» .
Quindi il primo principio fondante che l’insegnamento sociale della Chiesa ci offre per affrontare il tema che ci occupa dice l’inseparabilità delle due dimensioni ‘ lavoro e cura ‘ implicate nel rapporto comunità degli uomini ‘ terra. Il lavoro agricolo, secondo la prospettiva cristiana, è intrinsecamente ecologico.
A partire da questa inseparabilità dovranno essere affrontati gli altri principi fondanti riguardanti il lavoro umano e la cura della terra. Circa il lavoro possiamo citare il primato della dimensione soggettiva sulla dimensione oggettiva del lavoro o il primato del lavoro sul capitale. Circa la cura della terra si deve osservare che oggi, in merito alla questione ecologica, si stanno imponendo con grande rapidità i temi legati alla cosiddetta ‘etica ambientale’ e allo sviluppo sostenibile. Non poche e di notevole qualità sono le occasioni di riflessione che la stessa Coldiretti sta promuovendo in proposito.

3. Né imperativi tecnologici, né utopismi

Per concludere vorrei soltanto offrire un breve spunto di riflessione per documentare come questi principi fondanti possano concretamente tradursi in criteri di giudizio che aiutino i cristiani ad affrontare con responsabilità diretta e personale le sfide contemporanee.
A questo proposito mi sembra utile citare in questa sede la distinzione proposta, qualche anno fa in occasione della pubblicazione delle Istruzioni a proposito della Teologia della Liberazione, dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Nell’Istruzione Libertatis conscientia la Congregazione proponeva di distinguere nel corpo dell’insegnamento sociale della Chiesa tra principi fondanti, criteri di giudizio e direttive di azione . È evidente che, mentre i primi sono basilari – e come tali permanenti – i terzi riguardano le concrete situazioni in cui si viene a trovare il popolo cristiano. I secondi, i criteri di giudizio, costituiscono, per così dire, una sorta di mediazione tra i principi fondanti e le direttive di azione.
Proviamo, quindi, a individuare un possibile criterio di giudizio a partire dai principi fondanti che abbiamo citato.
Mi sembra più utile farlo a partire da un esempio concreto, anche se, per forza di cose, dovrò essere generico.
Mi riferisco alla attualissima questione, causa di accese polemiche, dei cosiddetti organismi geneticamente modificati. Sono consapevole che si tratta di un tema ampiamente indagato, anche direttamente da parte Vostra, e su cui il dibattito è ben lungi dall’essere esaurito. Lo stesso Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace della Santa Sede, per esempio, ha promosso lo scorso 10 e 11 novembre la celebrazione di un seminario interdisciplinare dal titolo ‘OGM: minaccia o speranza?’
Cosa significa partire dal principio fondante dell’inseparabilità delle due dimensioni ‘ lavoro e cura ‘ proprie del rapporto tra la comunità degli uomini e la terra nel caso degli OGM? Mi sembra di poter dire che questo principio fondante diventa criterio di giudizio almeno in un duplice senso:
– da una parte scardina in radice il cosiddetto imperativo tecnologico, imposto negli ultimi decenni dall’alleanza fra scienze (in particolare la biologia) e tecnologie, secondo cui tutto ciò che si può fare, si deve fare. Infatti, se la cura è parte integrante del rapporto tra l’uomo e la terra, la tutela dell’ambiente presente e futuro imporrà necessariamente limiti e regole alle biotecnologie;
– dall’altra riconosce che sarà il lavoro ‘ e in esso occorre includere l’attività umana destinata a provvedere gli alimenti per le grandi masse di uomini che ancora oggi muoiono di fame, nonché la ricerca scientifica ‘ ad impedire la deriva utopistica che minaccia talune realtà ecologiste ai nostri giorni. L’utopia non è l’ideale che è sempre concretamente radicato nella realtà, ma è una pura teoria (utopia significa non-luogo) che alcune avanguardie pretendono di imporre alla realtà.
Ovviamente questi due criteri di giudizio dovranno tradursi in direttive di azione. In altri termini: dovranno fare spazio ad un ampio dibattito morale, sociale, culturale, politico ed economico che porti a quel compromesso nobile (cum-promitto) che ha a cuore il bene comune. Attraverso questa pratica virtuosa gli attori in campo cedono la loro opinione ad un arbitro garante del bene comune – in democrazia esso è, in ultima analisi, il popolo ‘ perché le diverse opinioni si compongano nella soluzione più attenta alla vita buona di tutti. La soluzione adottata dovrà saper salvare sempre i principi necessari ed irrinunciabili, dovrà lasciar coesistere una pluralità di scelte nell’opinabile, in ogni caso sarà attenta a ricercare sulla base dei criteri-cardine della solidarietà e della sussidiarietà il massimo consenso. E non solo quello della nostra regione e del nostro paese, ma anche dell’ordine internazionale.
Da tale dibattito i soggetti cristiani direttamente impegnati nel mondo agricolo non potranno assolutamente essere assenti.

4. La vera novità

L’armonico sviluppo del Nord-Est chiede quindi civiltà. Domanda soggetti sociali capaci di proporre a tutti luoghi di appartenenza comunitaria in cui affetti, lavoro e riposo siano tenuti in equilibrio. Saper lavorare con cura la terra favorisce la nascita di simili soggetti. L’uomo, che non è mai un’isola, a partire dal lavoro è spinto a creare forme associative sempre più rispondenti alle sue esigenze. Voi ne siete la dimostrazione. La vostra presenza e la vostra azione restano decisive per la costruzione di questa civiltà nelle nostre terre, garanzia di effettiva crescita per tutti. C’è però una condizione che il Patriarca ha il dovere di richiamarvi con forza. Ogni sviluppo esige il coraggio della novità, ma la novità non è la ricerca dell’inedito. È l’innesto dell’antico nel presente. E l’antico per noi veneti ‘ ed in modo speciale per gli uomini della Coldiretti ‘ è la vissuta appartenenza alla comunità cristiana che i nostri padri ci hanno trasmesso lungo le generazioni.