Assemblea diocesana degli sposi: gli interventi del Patriarca
12-10-2003

PATRIARCATO DI VENEZIA
ASSEMBLEA DIOCESANA DEGLI SPOSI
Marghera 12 ottobre 2003

Gli interventi del Patriarca Cardinale Angelo Scola

IL PRIMO INTERVENTO
Anzitutto voglio esprimervi la mia riconoscenza e la mia letizia, la mia gioia per trovarvi qui anche quest’anno così numerosi, perché un’assemblea di questo genere non si improvvisa, essa deriva da una vita in atto, come la giornata di oggi sta testimoniando e come questi primi interventi hanno appena mostrato.
UN CONFRONTO FRA DUE ESPERIENZE
Sarebbe ovviamente pretenzioso da parte mia dare una risposta organica a quanto ho sentito, ma mi preme puntualizzare alcune cose che mi stanno a cuore, e che sono proprio nel cuore di questa vita in atto.
Ascoltandovi, pensavo di intervenire in una maniera diversa da quella dello scorso anno, non per i contenuti, magari, ma per il punto di vista dal quale prendere le mosse in questo lavoro con voi oggi. È opportuno spiegare in che cosa consiste per me questa differenza, anche per facilitare la comprensione di quello che riuscirò a recuperare della vostra esperienza.
L’anno scorso ero proprio agli inizi della mia presenza a Venezia e perciò non avevo non dico una conoscenza ‘ perché questa non ce l’ho neanche ora ‘ ma ancor meno che un’idea di cosa fosse la vita ecclesiale nella nostra realtà. Quest’anno è un po’ diverso: mi sono fatto una mia idea, ho una valutazione. Vorrei allora collocare le mie osservazioni all’interno di questo cammino di cui mi sento sempre più parte, connotato dalla mia persona, con tutti i limiti e anche le doti, (perché qualcuna ce n’è) e dalla mia missione di patriarca.
L’anno scorso il mio è stato un intervento più ‘rapsodico’, come quando ad un organista viene lanciato un tema e lui lo prende e lo riprende, lo gira e lo rigira, secondo la sua capacità. Siccome il tema del matrimonio e della famiglia mi interessa da tanti decenni e ho lavorato molto attorno ad esso, l’anno scorso ho fatto una mia rapsodia.
Quest’anno invece voglio dire qualcosa a partire dalla mia persona, dalla mia vocazione cristiana e dalla mia missione di patriarca. Vorrei essere il più possibile capito, non partendo dal mio ruolo, bensì dalla mia vocazione e dalla mia missione che mettono in gioco il mio ‘io’, esigono la testimonianza, mentre il ruolo può anche non implicare questo.
Intendo pertanto confrontarmi con la vostra esperienza e chiedervi di fare altrettanto.
UN’AFFERMAZIONE IMPORTANTE E PREZIOSA
Se ho avvertito bene ciò che stava dietro alla preoccupazione sottolineata da Claudio, il punto di partenza su cui mi pare abbiate riflettuto anche stamattina, è l’affermazione che l’amore è cosa molto buona e, specificatamente, l’amore tra uomo e donna è l’espressione più immediata, più normale, naturale, dell’amore. In questo senso, lui arrivava a dire che comunque si manifesti, questo è già una cosa positiva.
Perché e a quali condizioni questa affermazione è molto importante e molto preziosa?
Perché introduce la risposta alla domanda di Laura su che cosa differenzia l’amore tra uomo/donna dei cristiani, ma a condizione che si stia parlando dell’amore, non delle sue contraffazioni, non di ciò che si contrabbanda come amore: sui ‘fondamentali’ (prendendo a prestito un termine dal vocabolario calcistico) dell’amore oggi esiste grande confusione.
L’amore tra l’uomo e la donna è ciò su cui la Chiesa si china quando parla agli sposi, è una delle due dimensioni decisive dell’esperienza elementare dell’uomo, dove per elementare si intende universale e necessaria, propria di tutti gli uomini. Per quanto siano fortissime le differenza tra gli uomini, di cultura, di razza, di civiltà, di storia, di ceto, c’è una esperienza elementare di base che sta al fondo di tutte le differenze e che crea l’unità di ciò che normalmente chiamiamo la natura dell’uomo.
Ebbene, l’amore tra l’uomo e la donna è una delle dimensioni fondamentali dell’esistenza e Gesù è venuto (come voi avete detto) per mostrarci la via a meglio vivere questa dimensione, a meglio raggiungere la verità e la vita (‘Io sono la via, la verità e la vita’) e farci comprendere la pienezza, la verità di questa esperienza che ci troviamo addosso, in forza di questo dialogo tra il Creatore e la creatura che avete voluto mettere a tema oggi.

IL VOLTO MISSIONARIO DELLA PARROCCHIA
Quando la Comunità cristiana si china sugli sposi, quindi, non fa altro che prendersi cura dell’uomo e della donna, non fa una cosa in più, non va alla ricerca di strategie per conquistare all’organismo Chiesa gli sposi, ma interagisce con l’esperienza elementare dell’uomo.
Già questo supera di schianto una serie di elementi su cui, anche tra noi cristiani, tante volte c’è confusione. Se l’esperienza affettiva uomo/donna è una dimensione costitutiva dell’esperienza di ogni uomo, e se la Chiesa, su mandato di Gesù, si china su questa esperienza perché ama l’uomo, allora non ci sono più né lontani né vicini, perché ogni uomo ha a che fare, ogni giorno, con l’esperienza affettiva.
La missione del cristiano, l’evangelizzazione, la testimonianza in questo campo, non è un compito che va ad aggiungersi a qualche cosa di pre-costituito, ma è il contenuto della vita dei cristiani, che sono uomini caratterizzati dall’incontro con Gesù, e che vivono gli affetti come ogni altro uomo e ogni altra donna, solo che li vivono segnati da questo incontro.
Ora devo porre un primo Nota Bene, attraverso il quale rispondo a Laura e lo potete trovare bene illustrato nei punti 2 e 6 dell’istruzione del Patriarca uscita in occasione dell’inizio dell’anno pastorale, che è stata consegnata ai sacerdoti prima e ai ‘Gruppi di Ascolto’ poi.
Lì si parla del volto missionario della parrocchia e qui recupero le bellissime esperienze di Jole, di Grazia e di Paolo, il quale esprime anche un’esigenza.
La prima missione, il primo compito della parrocchia è partire dall’esperienza elementare della gente.
Parrocchia significa letteralmente ‘case vicine’ dal greco (paroikein, abitare vicino) e infatti, nella storia della Chiesa, dopo il IV secolo la parrocchia è stata la chiesa in mezzo alle case vicine. La parrocchia, a partire dal Battesimo, dalla Comunione e dalla Cresima, come hanno detto molto bene Myriam prima e anche Paolo poi, investe la dimensione naturale del rapporto uomo-donna e più estesamente la dimensione degli affetti, a partire dal centro affettivo stabile, che è Cristo Gesù, sul quale si fondano questi affetti.
Infatti il rapporto che S. Paolo formula nella lettera agli Efesini tra Cristo e Chiesa e marito e moglie significa che Gesù ha posto nella natura profonda del cristianesimo, l’allargamento della parentela della carne e del sangue alla parentela nello spirito, la possibilità di trasferire l’amore dal puro livello della corrispondenza, al livello della ‘charitas’, cioè della gratuità, del dono totale di sé. Per cui non ci si ferma all’inclinazione, alla corrispondenza, alla simpatia, ma ci si gioca tutto, sulla scia di colui che, pur essendo Dio, pur essendo l’amore perfetto, non ha ritenuto un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma si è fatto amore crocifisso per insegnarci l’amore.
LA TRASFIGURAZIONE DEGLI AFFETTI
Il volto missionario della parrocchia si rivela quindi nella trasfigurazione degli affetti, dell’amore tra l’uomo e la donna che si apre alla vita: papà, mamma e bambino, radicandoli nel centro affettivo più potente, che è Gesù Cristo.
In questo senso sono salvate tutte e due le esigenze, quella manifestata da Claudio e l’esigenza manifestata da Laura e cioè: dovunque nasce l’amore è già in atto il dono di Dio. L’incontro con Cristo Gesù, che la Comunità cristiana rende esplicito, è la possibilità di vivere in pienezza questo dono, perché, come è stato detto da Maria Giovanna di S.M. Elisabetta, se non ci fosse questo ancoraggio, la nostra capacità di amore lo esporrebbe troppo all’inconsistenza a causa della nostra fragilità; cioè lo tradirebbe, in modo particolare non sarebbe capace di mantenere all’amore tutta la sua promessa. E ciò è dimostrato dal fatto che il 50% delle famiglie è in difficoltà.
Ma qual è la promessa dell’amore, qual è quella cosa per cui l’amore vale la pena? Quando uno si innamora, si gioca con l’altro, avendo dentro una promessa grande: la promessa del per sempre. È quello che è affascinante: amare ed essere amati definitivamente nonostante la fragilità, i limiti, la incapacità, il tradimento. Ed è lì, è su questo per sempre che io constato che con le mie sole forze non ce la faccio.
Il sacramento è il luogo in cui la promessa del per sempre diventa una via percorribile, nella Chiesa, che neppure il tradimento riesce ad infrangere, se io mi dispongo al perdono.
Dietro questa realtà si collocano tutti i discorsi relativi alle esigenze di un coordinamento, alla valorizzazione di tutta la vostra azione nei gruppi famigliari nelle parrocchie, del passaggio dalla pastorale della famiglia come oggetto agli sposi come soggetto, perché se questo è il primo compito della parrocchia ‘ come ho detto a tutti i sacerdoti ‘ chi è più adeguato degli sposi ad essere soggetto di accompagnamento di trasfigurazione degli affetti? Nessuno!
È necessario quindi che ci aiutiamo, e va in questo senso il prezioso contributo che è uscito dalla prima messe di questi interventi che voi avete fatto, ed è in questo senso che parlo a partire dalla mia vocazione, dalla mia missione di Patriarca.
PARTIRE DAGLI SPOSI COME SOGGETTO DI PASTORALE
Come voi testimoniate, abbiamo fatto dei passi eccellenti con la pastorale famigliare nel nostro patriarcato, ora ne dobbiamo fare un altro: dobbiamo aiutare tutti i sacerdoti, tutti i responsabili, di avere il coraggio di partire dagli sposi come soggetto, perché la parrocchia deve modularsi molto di più a partire da questa prima elementare dimensione dell’esperienza umana: nel compito, nella missione di trasfigurare gli affetti.
Laddove c’è l’amore, bisogna testimoniare come vivere di Cristo. Nel modo stesso di vivere l’amore coniugale nella famiglia fedele e stabile, si compie la promessa contenuta nell’amore, cioè si realizza il ‘per sempre’, si apre alla vita e la genera, edifica la Chiesa, costruisce la Società. Tutto questo comporta una serie di implicazioni.
Carpenedo ha parlato del catechismo dei bambini e ciò mette in campo una categoria estremamente importante, i bambini, appunto. Ma chi si occupa dei bambini dal giorno del Battesimo fino a quando entrano in una Scuola Materna? Chi si occupa di questa trasfigurazione degli affetti dei bambini ancorando a Cristo il loro amore, la prima elementare esperienza di amore, col papà, la mamma e i fratelli? Quanti sono i bambini che entrano nella scuola materna avendo già sentito parlare di Gesù, ammesso che abbiano la fortuna di entrare in una scuola materna che non disdegna il riferimento cristiano? Eppure sappiamo oggi dalle scienze umane più avvedute quanto sia decisiva l’età tra gli zero e i tre anni. Si dice che tra gli zero e i sei anni si struttura il 60% dell’IO che uno si porta con sé fino a quando campa, anche se campa fino a 102 anni.
Questo, per esempio, è un campo sterminato di missione che ci vede sostanzialmente assenti, perché prima ce lo garantiva la famiglia, la quale svolgeva questo compito quasi spontaneamente; ma oggi, chi?
Uno dei più bei ricordi della mia vita è la mia mamma che, mettendoci a letto la sera, quando avevamo un anno e mezzo, due, ci prendeva la manina e faceva il segno della Croce.
Nella parrocchia c’è la nonna o un gruppo di donne avanti negli anni, anziane, non vecchie, che non saranno capaci di animare un ‘Gruppo di Ascolto’, ma che magari possono andare a visitare delle giovani famiglie dando una mano alla mamma badando un po’ al bambino, portando un minimo di sollievo, oltre a un piccolo segno per iniziarlo alla bellezza, al fascino di Gesù. Facciamo spazio alla creatività.
Ecco allora, in questa prima serie di risposte e a partire dalla mia vocazione, dalla mia missione, in che senso ho inteso situare la vostra esperienza e la vostra grande vitalità dentro i suggerimenti di cammino che dobbiamo fare,.
Voi state attuando il primo e più determinante livello missionario della comunità cristiana di base, la parrocchia. Il primo, perché dalla configurazione dell’io assicurata e permanentemente rigenerata dagli affetti, dipende la capacità di edificazione, di costruzione del soggetto, che è la seconda dimensione costitutiva di ogni uomo che è a questo mondo, e questo è decisivo.
ASSUMERE LA ‘CASA’ NELLA ‘DIMORA’
Con una espressione sintetica, nell’istruzione dell’inizio anno cui ho fatto già riferimento, ho detto che questo compito di trasfigurazione degli affetti, consiste nell’assumere la casa – le case vicine – nella dimora che è la parrocchia. La parrocchia è la dimora, è il luogo degli affetti pieni, oggettivati; è il luogo in cui lo stesso amore coniugale sacrosanto, è strappato al rischio del logoramento ed è collocato nell’ambito oggettivo che lo rigenera attraverso la struttura sacramentale, approfondita dalla parola di Dio, vissuta nella comunione, nell’elaborazione di un giudizio cristiano sulla vita, nella condivisione dei bisogni, nell’apertura alla dimensione universale della Chiesa.
CONTINUA…(nel file allegato: Assemblea sposi 12-10-03.doc)