Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione della festa di S. Sebastiano, patrono della Polizia Municipale (Basilica S. Marco / Venezia, 22 gennaio 2016)
22-01-2016

S. Messa in occasione della festa di S. Sebastiano, patrono della Polizia Municipale

(Basilica S. Marco / Venezia, 22 gennaio 2016)

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

 

 

Guardiamo alla figura luminosa del vostro patrono san Sebastiano perché è un riferimento importante. È un martire: cosa vuol dire? Una persona che andava al di là delle abitudini, dei costumi, del “tutti fanno così”.

Abbiamo bisogno, in quest’Anno giubilare, di ricentrare il nostro sguardo sull’essenziale. E Gesù è l’essenziale, perché ci ricorda una cosa che noi uomini troppe volte dimentichiamo: che siamo stati salvati e che, quindi, la misericordia è un riconoscere a nostra volta quello che abbiamo ricevuto.

Ecco la luminosa figura di Sebastiano: nasce a Narbonne, in Francia, ma poi arriva a Milano. Siamo sullo scorcio del terzo secolo e sono anni difficili per i cristiani. Vige un principio giuridico, che si era affermato sotto l’impero di Nerone: “Non licet esse vos” (“Non potete esistere”)! Questo era lo statuto sociale e giuridico dei cristiani nei primi secoli. Essere cristiano voleva dire, allora, non essere sicuro di arrivare alla sera.

Noi oggi viviamo un po’ superficialmente il battesimo: quando portate i vostri bambini al fonte battesimale – ci sono tra voi dei papà, delle mamme, dei nonni, degli zii, delle zie… – in quel momento si stipula un contratto sotto forma di promessa (“prometto… rinuncio…”). I cristiani dei primi secoli – ed anche Sebastiano – vivevano prima di tutto questa relazione con Gesù.

Sebastiano era un cittadino obbediente, un funzionario obbediente; da Milano raggiunge Roma ed era anche amico dell’imperatore Diocleziano che ad un certo punto lo mette a comandare una sua coorte. Però Sebastiano – oltre che essere un fedele suddito, un funzionario obbediente, rispettoso dei poteri dello Stato – era anche un cristiano e l’imperatore non poteva dire ad un uomo, ad una donna, se credere o non credere in Dio…

Sebastiano, allora, distingue l’ambito laico – l’obbedienza a Cesare – dall’ambito della coscienza personale – la fede – e così compie gli atti che gli vengono richiesti ma difende la libertà di coscienza sua e degli altri. Accudisce i cristiani, li incoraggia, li visita, li sostiene, li aiuta nel momento della prigionia e del martirio e questo viene alle orecchie di Cesare – Diocleziano – che lo chiama: “Io ti avevo dato fiducia!”. Ma Sebastiano gli dice: “Io sono un uomo fedele, suddito. Sono un funzionario obbediente ma il Vangelo mi ricorda: date a Dio quello che è di Dio, date a Cesare quello che è di Cesare”. È proprio il Vangelo di oggi.

Ricordo anche la prima lettura di oggi: “…pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3, 15). E va fatto con dolcezza, con rispetto, con retta coscienza, senza tradire la propria fede. Qui c’è Sebastiano, c’è la libertà dell’uomo, c’è la dignità dell’uomo, c’è la laicità dello Stato: dare a Dio quello che è di Dio, dare a Cesare quello che è di Cesare. Bisogna essere buoni cittadini, dunque, soprattutto se siamo chiamati a svolgere funzioni importanti per il bene comune.

Portare una divisa è andare oltre se stessi. Portare una divisa è andare oltre le proprie simpatie o antipatie personali. Portare una divisa vuol dire cambiare il modo di guardare le cose: non in riferimento a me ma in riferimento agli altri, al bene comune. E allora ecco la misericordia che non è una scorciatoia per non percorrere la strada della giustizia ma è la strada per incontrare una giustizia che sia vera e tenga conto delle fragilità e delle debolezze umane.

Quante volte mi son sentito dire dai miei parroci: “Abbiamo la fortuna di avere un buon comandante della polizia locale… Abbiamo la fortuna d’avere un buon maresciallo, la legge ce l’ha nella testa e nel cuore, ma si vede che è anche un uomo, che è un padre, che ha dei genitori anziani…”. In questa prospettiva nulla si toglie al diritto ma si dà un’anima alla città e alle relazioni umane, anche là dove le relazioni umane sono più difficili perché c’è più miseria e perché molte volte la povertà del portafoglio dice una povertà intellettuale e spirituale che ha portato anche alla povertà economica (mentre altre volte succede il contrario).

Essere cittadini, essere servitori dello Stato, nel termine più nobile di questo termine, essere riferimento per gli altri, conoscere la legge, applicare la legge, essere sotto la divisa uomini e donne capaci di guardare con sguardo umano e cristiano chi ci sta di fronte.

Sebastiano ha saputo fare questo e lo ha saputo fare fino in fondo, anche quando di fronte al sanguinario Diocleziano nel 304, quando aveva 41 anni, ha saputo distinguere così bene l’obbedienza alla polis – alla città, a Cesare, allo Stato – e la libertà di coscienza.

Siete chiamati ad avere una grande ricchezza spirituale. Quest’Anno giubilare vi aiuti allora a crescere in questa ricchezza perché così anche la vostra professionalità, il vostro lavoro, il vostro dovere quotidiano diventerà una benedizione per il quartiere dove operate, per il paese dove vivete, per il territorio di cui avete responsabilità.

Noi preghiamo per voi, perché sappiamo che siete particolarmente esposti e siete chiamati a prendere decisioni certe volte in tempi brevi. Chiediamo al Signore che vi dia quella prontezza, quell’immediatezza, quel coraggio e quell’equilibrio che aiutano il bene comune e soprattutto le persone più fragili.

Abbiamo bisogno di voi, e, se siete più vicini a Dio, sarete anche capaci di essere vicini a noi uomini. Grazie per quello che fate.