Patriarca Moraglia sui dissesti di alcuni istituti bancari del Veneto: «Queste banche hanno tradito la loro vocazione, la fiducia di territorio e clienti»

«Queste banche hanno tradito la loro vocazione, la fiducia di territorio e clienti, e si sono ammantate di una deformante dimensione internazionale»: risponde così il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia nell’intervista, curata da Andrea Tornielli e pubblicata sulla Stampa di venerdì 3 giugno 2016, sui gravi dissesti di alcuni istituti bancari veneti.

«Penso con tristezza – afferma il Patriarca – a quanti sono stati gravemente danneggiati, dopo una vita di lavoro, sacrifici, rinunce e di risparmi che avevano consegnato agli istituti bancari non con intendimenti speculativi ma a fini di investimento e per continuare, se possibile, a garantirsi reddito, lavoro, benessere e sicurezza di vita per la propria famiglia, i propri figli, o per la propria impresa. Così quella che, per loro, era una certezza e che potevano, a buon diritto, definire la “mia banca”, poiché davvero espressione di un clima popolare, in un contesto di società condivisa, è improvvisamente venuto meno. Osservo che questo è un altro vulnus che ferisce la nostra società. E mina un rapporto importante di fiducia che lega al mondo del credito. Queste banche, con modi e responsabilità differenti, e da verificare nelle specifiche attribuzioni personali e sociali, hanno in un certo senso tradito la loro vocazione per inserirsi e, alla fine cadere, in una logica diversa e opposta rispetto all’ origine. Storicamente gli istituti oggi interessati sono sempre stati banche del territorio, banche locali che non erano solo lo sportello più vicino per compiere determinate operazioni, ma luoghi di aggregazione sociale come lo sono il Comune, e o altri centri dove ci si incontra, si scambiano parole e idee, si discute di ciò che avviene. Ad un certo punto dall’essere a servizio del territorio e della persona sono passate ad un’ altra logica, ammantata da una deformante dimensione “internazionale” e “globalizzata”. Non più un lavorare per qualcuno o per il territorio ma per se stesse. E così è andato dissolto un grande valore economico, un rapporto e un fattore unico di fiducia, credibilità e sicurezza. Sarebbe bene, in Veneto e non solo, riprendere gli insegnamenti di Giuseppe Toniolo, ora beato, sull’elemento etico quale fattore intrinseco dell’economia e in questo caso del credito».

Dopo aver rilevato che il Patriarcato di Venezia non è direttamente coinvolto dalla vicenda («C’è solo una quota di investimenti contenuti in un’ eredità acquisita di recente e perciò già preesistenti»), mons. Moraglia osserva: «Cautela e prudenza sono più che mai necessarie. Ma bisogna chiamare in causa la coscienza di tutti, in particolare di chi opera in questi settori, e distinguere bene intensità di colpe e responsabilità. C’è chi opera con intenti speculativi, possiede le informazioni e competenze necessarie, ha magari anche grandi risorse e sa, quindi, i rischi che corre imboccando certe strade e tali soggetti possono anche sopperire a perdite – che mettono già in conto – ma ci sono anche piccoli risparmiatori o imprenditori, persone e famiglie che si sono affidate con fiducia a chi rappresentava un punto di riferimento. Bisogna agire sempre con consapevolezza e coscienza. Trovarsi da una parte o dall’ altra dello sportello, in posti intermedi o anche di vertice, richiede senso di responsabilità e trasparenza. È, forse, questo il messaggio che le dolorose vicende di oggi ci trasmettono insieme all’ auspicio che si possa presto ricostituire quel rapporto di fiducia e vicinanza che costituiva un valore e una peculiarità del sistema del Nordest e che si spera non sia stato perduto del tutto».

Sul rapporto che la Chiesa deve avere con il denaro e sull’azione delle comunità ecclesiali trivenete a supporto delle persone e delle famiglie travolte da questa crisi, infine, il Patriarca sostiene: «Innanzitutto il denaro è e deve rimanere un “mezzo”. Non può mai prendere il sopravvento e trasbordare nel campo del “fine” con conseguenze aberranti. Finché è “mezzo”, allora, rimane uno degli strumenti che la Chiesa deve saper utilizzare con sobrietà e prudenza per perseguire i suoi scopi pastorali e caritativi, per realizzare qualcosa di socialmente rilevante e sempre sulla linea della coerenza evangelica. Una cosa è sicura: oggi la Chiesa deve riflettere a fondo e in modo limpido sulle attività pastorali più consone e necessarie, soprattutto in questo momento storico, valutando e selezionando quali sono le sue funzioni, attività connaturali con il suo “fine” e, quindi, da mantenere e sostenere. E, di conseguenza, ciò che può o deve essere lasciato. Le Chiese del Triveneto non sono insensibili alle diverse forme di sofferenza o disagio né di fronte a questa vicenda che si aggiunge all’emergenza dei profughi e dei migranti e, naturalmente, a situazioni di povertà locali già preesistenti e da non sottovalutare. Non abbiamo – com’ è ovvio – le forze per intervenire in modo strutturale e tecnico di fronte ai problemi bancari e creditizi o per risolvere il “crac” che si è generato ma, certamente, posso affermare che non faremo mancare la nostra vicinanza a chi è stato provato dall’ attuale situazione. I singoli vescovi e le singole Chiese, nei limiti delle loro possibilità e nel quadro dell’assistenza già offerta in situazioni di grave disagio economico, si muoveranno senz’altro e, in certi casi, si stanno già adoperando per sostenere concretamente alcune famiglie e persone colpite da tali dissesti».