Nel cimitero di Fortogna la Messa del Patriarca per il 60esimo del Vajont: “Un monito anche oggi a non giocare con la vita e la natura in nome del profitto”

Nel pomeriggio di lunedì 9 ottobre 2023, presso il cimitero monumentale di Fortogna (Longarone, Belluno), il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia ha presieduto la Santa Messa di suffragio per le vittime della terribile vicenda del Vajont, nel 60mo anniversario della tragedia; la Messa è stata concelebrata con il vescovo di Belluno-Feltre Renato Marangoni e con la partecipazione delle autorità civili e militari.

“Questo luogo -ha detto il Patriarca – ci ricorda una tragedia nazionale in cui morirono duemila persone perché altre persone non seppero o non vollero calcolare il rischio di una determinata situazione e scelsero di non fermarsi, accettando un rischio che, alla fine, risultò fatale. Si volle osare, andando oltre; si preferì il risultato da conseguire alle vite umane verso le quali si avevano specifiche responsabilità. L’Onu, nel 2008, ha definito la tragedia del Vajont un esempio di “disastro evitabile”. L’evento non era imprevedibile, la montagna si fece sentire e diede i suoi segnali affinché la tragedia potesse essere evitata. Dei duemila morti circa cinquecento furono bambini, ragazzi e giovani di età inferiore ai quindici anni; un’intera generazione fu cancellata ed intere famiglie furono distrutte”.

Per il Patriarca “celebrare questo triste anniversario è qualcosa di dovuto ai morti e ai sopravvissuti perché tragedie come il Vajont non solo non possono essere dimenticate ma neanche, col passare del tempo, devono attutirsi nella memoria collettiva. Si tratta di condannare la scelta di rischiare in nome o del profitto o di una impresa da guinness dei primati, svincolando un progetto dall’etica che comporta dapprima il senso del limite e poi il rispetto delle persone e della vita umana. Non bisogna mai sottovalutare la natura e i suoi equilibri! Bisogna chiedere agli uomini di scienza e ai tecnici di avere il coraggio di non osare oltre il limite, insomma, di sapersi fermare e di imparare a misurare i rischi quando c’è in gioco la vita umana. È necessario oggi dare ancora maggiore priorità all’etica perché – più di sessant’anni fa – scienza e tecnica consegnano all’uomo un potere infinitamente più grande di distruzione e morte su vasta scala.  La tragedia del Vajont sia anche oggi un monito a non giocare con gli equilibri della natura o sottovalutandoli o, comunque, ritenendoli – come si fece allora – gestibili dall’intelligenza umana; i fatti dicono che non è così che avviene. La domanda che non possiamo eludere è: fino a che punto l’uomo può “osare”, fino a che punto è lecito sfidare il limite? L’agire dell’uomo di fronte alla natura deve mettere al primo posto la sacralità della vita umana; bisogna essere capaci di fermarsi e, anche, di fare un passo indietro”.

Ha, quindi, così concluso: “Il bene delle singole persone e il bene comune devono orientare le scelte di chi agisce, soprattutto in ambito pubblico. Una domanda deve interpellarci sempre: cosa siamo disposti a sacrificare per tutelare e promuovere l’uomo e il creato? La vera grandezza dell’uomo consiste non nello scrivere il proprio nome nel libro del Guinness dei primati o nel produrre un reddito sempre più grande, ma nel dare risposte che siano eticamente fondate. Anche così si diventa “buoni samaritani” nel nostro tempo, che è il tempo della scienza e della tecnica, e nei nostri territori, perché solo così si rispetta e si ama il prossimo. Infine, la grandezza dell’uomo sta nel sapersi fermare riconoscendo i propri limiti con umiltà e sapienza”.