L’omelia del Patriarca a Mestre per la festa del patrono S. Michele: “Sincerità, lealtà e veracità riguardano la convivenza civile e il bene comune. E anche la politica”

“Sincerità, lealtà, veracità sono virtù che si riferiscono sia alla sfera privata, sia pubblica; riguardano quindi la convivenza civile e contribuiscono a costruire il bene comune. Hanno perciò a che fare con la politica; un cittadino, infatti, ha diritto di sapere se chi lo rappresenta e lo governa è persona sincera e leale, sia quando promette, sia quando fa il bilancio della sua gestione. Il bene comune, poi, supera il bene individuale – anche se non prescinde mai dalla persona – ed anzi, sempre, lo include. Il bene comune è, perciò, un bene arduo. Un bene difficile”: ha iniziato così la sua omelia (testo integrale in calce) il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia durante la messa solenne celebrata la sera di giovedì 29 settembre nel Duomo di Mestre, davanti alle autorità e ai fedeli riuniti per la festa del patrono della città san Michele Arcangelo, patrono anche della Polizia di Stato.

“La marcata disaffezione del cittadino dalla politica – ha continuato –  si spiega in parte, e non da oggi, con la scarsa credibilità di una politica che è percepita come litigiosa, “mediatica” e, alla fine, inconcludente; così il cittadino si percepisce non come il termine dell’azione politica ma come “funzionale” ai giochi della politica. È difficile “riconoscersi” in una politica fatta spesso di annunci mediatici, di twitter al vetriolo, di messaggi postati su Facebook, perennemente impegnata a demonizzare l’avversario politico e, alla fine, incapace di produrre atti concreti e mantenere almeno alcune delle promesse fatte. E poi chi sceglie di cavalcare i media non avverte come un problema il fatto di contraddire oggi quanto, ieri, aveva dichiarato con enfasi ma, così, si finisce per perdere anche quel poco di fiducia e credibilità che il cittadino conservava. Il Vangelo chiede, invece, ponderazione. Nel discorso della montagna, Gesù domanda uno stile diverso ed esorta ad un atteggiamento che è valido anche oggi: «Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno» (Mt 5,37). Certo, non si può dire sempre tutto ma, sempre, si richiede coerenza, prudenza e trasparenza a livello personale e politico. Nella vita quotidiana, familiare e lavorativa non possiamo fare oggi dei proclami e poi, domani, dimenticarci di averli fatti e andare avanti come se niente fosse… Ebbene, la politica se lo permette! Il nostro cammino deve essere quello di prendere le distanze da questo stile”.

Per mons. Moraglia “la menzogna – che inizia con la reticenza, con la mancanza di chiarezza, con l’ambiguità nel dire – è la prima ferita inferta alla giustizia sociale e il primo modo di destabilizzare una sana convivenza, a tutti i livelli, sia nella Chiesa sia nella società; è, per usare le parole di Papa Francesco, la prima forma di corruzione. Il punto è che non basta dire una parola che sia vera in sé; bisogna che tale parola sia detta anche con rispetto e con carità e, quindi, talvolta, bisogna saper rinunciare a dire tutto, vincere la tentazione di parlare o scrivere subito e ciò riguarda in modo particolare l’uso della rete che, in modo quasi anonimo, può anche distruggere una persona. E senza pagarne le conseguenze. Sì, bisogna resistere alla tentazione di cogliere l’opportunità al volo, magari per precedere gli altri e fare bella figura; tale tempismo, spesso, risponde più a emotività e presunzione che al vero bene dell’altro o degli altri. Ogni parola che voglia essere vera e degna dell’uomo deve provenire da una volontà d’amore che ci dà la misura reale della libertà interiore di chi parla. Se, inoltre, la libertà si pone fuori della verità, allora non è più vera libertà; così pure l’amore, se è privo di verità, cade nella menzogna. Come già detto, lealtà, sincerità e veracità non richiedono che si dica sempre – in ogni circostanza – tutto, perché ad esempio oltre alla calunnia (dire il falso) esiste anche la maldicenza (dire il male), ossia svergognare e mettere in cattiva luce una persona. Il male non va propagato. Far fare brutta figura al prossimo e avvilirlo ulteriormente, di fronte ad un errore o ad un fallimento, non è amore alla verità. Siamo chiamati, in tal modo, a fare un esame di coscienza. Pensiamo al recente caso di quella giovane donna che, finita nella gogna mediatica, è giunta a togliersi la vita. Soffermiamoci, infine, sul mondo dei media. Non si tratta di tacere nulla di quanto deve veicolare l’informazione; ci si deve, però, porre la domanda di come non ledere la dignità delle persone. Cosa, infatti, si potrebbe fare nei confronti di chi, trascorsi molti anni (i tempi della giustizia!), viene riconosciuto innocente dopo che è stato “rovinato” nella fama? Si tratta, ancora, di tutelare quanti sono legati alle persone chiamate in causa, iniziando dai minori”.

Il Patriarca ha, infine, così concluso: “Il patrono san Michele Arcangelo continui a vegliare e a custodire la città di Mestre e tutti coloro che la abitano o la frequentano, anche solo saltuariamente. Sostenga la lotta contro i mali odierni dell’indifferenza, della violenza, della falsità, del sospetto, della frammentazione, del degrado, dell’insicurezza e, spesso, anche della solitudine di fronte alle fragilità dell’esistenza. Accompagni gli sforzi sinceri, leali, veraci e intelligenti di chi – nella vita sociale, politica, economica, culturale ed ecclesiale –  si adopera ogni giorno per costruire una città più bella, accogliente e cordiale verso tutti, più ordinata e più “viva” in ogni suo angolo e quartiere, più attenta ai reali bisogni e alle vere esigenze delle persone e delle famiglie. Questo è ciò che noi chiediamo oggi a san Michele”.