La processione finale percorre la navata centrale della cattedrale marciana e poi piega a lato verso la Porta Santa che viene attraversata per l’ultima volta. Scorrono i seminaristi, i diaconi, i sacerdoti e, infine, anche il Patriarca Francesco che compie il gesto – simbolico e suggestivo – di accostare e “chiudere”, lentamente ma inesorabilmente, la Porta Santa stessa. Termina così, nel pomeriggio di domenica 13 novembre, la messa di ringraziamento che ha sancito a Venezia la chiusura diocesana dell’Anno giubilare straordinario della Misericordia. “Un segno semplice ma vivo del nostro ritorno a Dio Padre e della ritrovata fraternità tra noi”, aveva detto poco prima il Patriarca nell’omelia (testo integrale qui in calce): “Dopo aver chiesto perdono e aver preso le distanze dai nostri peccati, anche attraverso la giusta riparazione – poiché misericordia e giustizia si richiamano – ci impegniamo ad essere, nella Chiesa e nella comunità civile, uomini e donne di riconciliazione. E proprio questo è il senso dell’invito rivolto a tutti, nessuno escluso”. Una celebrazione, insomma, per dire grazie ma anche per “interrogarci se e in cosa è cambiata la nostra vita e quella delle nostre comunità”.
Mons. Moraglia commenta il Vangelo del giorno in cui Gesù, con linguaggio apocalittico, “prevede un periodo nuovo e difficile, quello della missione della Chiesa; è il tempo della fede, della testimonianza, della persecuzione che conduce alla vittoria”. Testimonianza, persecuzione e vittoria “a caro prezzo” appartengono a “coloro che si donano totalmente non svendendo nulla: sono i martiri, presenti anche oggi in Africa, in Asia, in America, in Europa. Non facciamo finta di non vedere! Questo è il senso dell’esistenza cristiana. E non si pensi a un cristiano eccezionale o eroico; no, è solo il cristiano fedele alle promesse battesimali, fedele a Gesù nella storia, momento dopo momento. La perseveranza e la speranza sono due facce della stessa medaglia”.
Il Patriarca invita a rimettere al centro della vita personale e comunitaria la fede, “la nostra fede battesimale, fatta di promesse e rinunce. Dobbiamo riscoprire il battesimo attraverso una fede coraggiosa che è fondamento di una speranza affidabile e di una carità operosa, accogliente verso tutti. Occorre ritornare a Dio con tutto il cuore, salire sulla santa montagna, togliersi i sandali, prostrarsi – come Mosè – dinanzi al roveto ardente, al Dio-carità e al Dio-verità, al Dio misericordioso e al Dio giusto. Viviamo nella verità e nella carità, mostrando a quanti ci stanno accanto che cos’è la vita di Dio e in Dio. Ogni peccato, prima di avere un profilo specifico e un contenuto proprio, è nella sua radice carenza di verità e di carità”.
“A nessuno – prosegue – è lecito banalizzare il peccato pensando che, intanto, Dio è misericordioso e perdona. Certo, Dio è misericordia e perdona, ma il peccato lacera il cuore di Dio, il cuore dell’uomo e della comunità e chiede conversione e riparazione. È perciò necessario prendere le distanze dal peccato, attraverso la conversione, riparare e guarire la ferita provocata dal peccato. E ciò avviene attraverso il dono della misericordia che chiede d’esser accolto da un cuore che si converte. La rinnovata comunione con Dio deve coincidere con la nostra presa di distanza dal peccato. Questo è il senso delle promesse battesimali: rispondere a Dio ricco di misericordia in verità e sincerità, rinunciando a se stessi e al proprio peccato. Il peccato è tradimento dell’amore e della verità, ossia tradimento di Dio. Occorre temere di più Dio e meno gli uomini. Saremo più liberi. Forse daremo fastidio a qualcuno, ma saremo nella pace”.
Poco prima della chiusura della Porta Santa viene pronunciato “l’atto di affidamento a Gesù, Misericordia del Padre, domandando la grazia di diventare di più uomini, donne e comunità che guardano alla Misericordia di Dio come alla vera speranza del nostro tempo; è un gesto semplice, umile ma significativo che poniamo in comunione con le Chiese sorelle del Nordest, è un modo per continuare a vivere lo spirito dell’Anno della Misericordia”. Un affidamento, specifica il Patriarca nell’omelia, sostenuto dall’intercessione di Maria: “La invochiamo come nostro rifugio e, in quanto peccatori bisognosi della divina Misericordia, la veneriamo Mater Misericordiae e sicura via di tutte le grazie. A Lei chiediamo che sostenga il nostro atto d’affidamento a Gesù perché – se l’Anno giubilare finisce – il suo messaggio continui nelle nostre comunità”.
Hanno partecipato alla messa anche le direttrici delle due carceri veneziane (S. Maria Maggiore / maschile e Giudecca / femminile), accompagnate da alcuni/e detenuti/e. Al momento dell’offertorio è stato consegnato il corrispettivo delle offerte raccolte durante i pellegrinaggi alla Porta Santa della cattedrale svoltisi nell’Anno giubilare per sostenere alcune iniziative che favoriscono le attività di socializzazione e lavoro per i detenuti e le detenute delle due strutture cittadine.
Il contributo diocesano – che, complessivamente, arriverà a quasi 40 mila euro – servirà per trasferire in un locale più ampio e meglio attrezzato il laboratorio di pelletteria utilizzato come ambiente di lavoro nel carcere maschile mentre in quello femminile andrà a finanziare una speciale attività formativa e di socializzazione dedicata al teatro. Le offerte pervenute dai pellegrinaggi in cattedrale coprono, all’incirca, la metà del contributo necessario per il completamento delle due opere; il resto sarà attinto dalla carità del Vescovo e della Diocesi.
Alle due carceri veneziane e a quanti erano presenti alla celebrazione è stato, inoltre, offerto il libro “Le sbarre, esperienza di libertà” curato da don Antonio Biancotto, cappellano del carcere maschile, ed edito da Marcianum Press con il contributo della Scuola Grande di S. Rocco. La prefazione è stata redatta dal Patriarca Moraglia che, all’inizio, scrive: “Le voci e testimonianze dal carcere, qui raccolte in varia forma e con differenti modalità, assumono spesso il valore di un’autentica lezione di vita che giunge, per molti lettori, in maniera inattesa da uno di quei luoghi che narrano, al meglio, una delle più tormentate periferie esistenziali del nostro tempo, anch’esso così tormentato. Queste pagine ci mettono in contatto, insieme, con le miserie umane e con la misericordia di Dio”.