L’omelia del Patriarca a Matera (Congresso Eucaristico Nazionale): “Assaporiamo e facciamo assaporare ad altri il gusto buono di quel pane di vita che solo ci nutre e soddisfa pienamente, il Signore Gesù”

S. Messa nell’ambito del Congresso Eucaristico Nazionale e nella memoria di San Pio da Pietrelcina

(Matera / Chiesa parrocchiale S. Pio X, 23 settembre 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Con gratitudine celebriamo questa S. Messa nel contesto del Congresso Eucaristico Nazionale che ci ha condotti come pellegrini nella splendida città di Matera.

Proveniamo dalle diverse Chiese che sono in Italia, impegnate nel secondo anno del cammino sinodale. Siamo qui, dicevo, come pellegrini e desideriamo vivere questo Congresso Eucaristico Nazionale come pellegrini.

E così, come nella tradizione che affonda le sue radici nell’Antico Testamento, il pellegrinaggio è sempre chiamata alla conversione. Il motto del Congresso Eucaristico – “Torniamo al gusto del pane” – è per noi tale chiamata.

Siamo a Matera, la “città del pane” che – per il suo patrimonio storico e culturale – molto può insegnarci. L’antica sapienza di queste terre, in particolare delle donne lucane, nei riguardi del pane – dalla sua forma alle modalità di lavorazione dell’impasto, dai tempi e luoghi della lievitazione alle parole di preghiera usate per accompagnare le varie fasi – rappresenta una lezione di teologia e di antropologia sul pane e sulla vita dell’uomo, valida ancor oggi e più efficace di tanti discorsi o trattazioni accademiche.

È fondamentale vivere al meglio il nostro pellegrinaggio che – giova ribadirlo – se è realmente tale è sempre un cammino di conversione personale e comunitaria che scaturisce dal porsi di fronte al Mistero, cuore e cardine della vita cristiana: l’Eucaristia.

È l’Eucaristia che fa la Chiesa sul piano del mistero, mentre la Chiesa fa l’Eucaristia sul piano sacramentale, ossia il piano del ministero.

Pane e vino, nell’Eucaristia, sono segni eloquenti del nutrimento e della festa; tutto ciò è vero soprattutto nelle nostre civiltà mediterranee, ben espresse nelle colture della vita e del grano. Senza pane, senza vino, ossia senza nutrimento, non si può vivere; tanto più senza pane e senza vino non si può far festa e unirsi nella gioia. Un salmo lo richiama enumerando le tante opere della Divina Provvidenza per nutrire, sostenere e accompagnare la vita dell’umanità e citando “il vino che rallegra il cuore dell’uomo (…) e il pane che sostenta il cuore dei mortali” (Sal 104,15).

Senza l’Eucaristia, come Chiesa, non possiamo vivere ed esistere. “Sine dominico non possumus”, ci ricordano gli antichi martiri di Abitene, all’inizio del IV secolo; senza questo pane eucaristico, ossia senza questo cibo, senza la celebrazione gioiosa dell’Eucaristia, senza questo dono di Dio (Gesù Cristo vivo e realmente presente), non possiamo sussistere, veniamo meno, ci fermiamo lungo la strada, non giungiamo alla meta. Per noi è come per il profeta Elia in cammino verso l’Horeb, il monte di Dio (cfr. 1Re 17,8-16); il tema è ripreso dall’invito del sacerdote all’inizio dell’offertorio: “Pregate fratelli e sorelle perché il sacrificio della Chiesa, in questa sosta che la rinfranca nel cammino verso la patria del cielo, sia gradito a Dio Padre Onnipotente”.

La prima lettura tratta dal libro del Qoelet (Qo 3,1-11) ci presenta una visione drammatica, ineluttabile, malinconica e problematica del tempo e della vita che passano nella loro inutile ripetitività. Qui si parla del tempo inteso cronologicamente, in cui “tutto ha il suo momento e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo” (v. 1); per il cristiano, però, il tempo è καιρός e il cuore – il senso – del καιρός è Gesù Cristo nell’evento pasquale che nell’Eucaristia è reso presente. Il tempo in Cristo, il καιρός, è tempo di grazia orientato verso la pienezza. Lo ripetiamo ogni volta durante l’Eucaristia, al momento della consacrazione: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta!”.

Nel Vangelo (Lc 9,18-22) Gesù rivolge ai discepoli – e, oggi, a noi – la domanda fondamentale: “Ma voi, chi dite che io sia?” (v. 20). Si tratta di rispondere dicendo chi è Gesù Cristo non solo con la parola o solo con l’annuncio, ma con la testimonianza della vita che per i discepoli del Signore è anche la fedeltà alla celebrazione eucaristica.

Celebrare bene l’Eucaristia – “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta!” – e vivere bene i momenti di silenzio, di dialogo fra l’assemblea e chi presiede, il tempo del canto e dell’ adorazione significa annunciare e testimoniare il Signore, il Crocifisso Risorto come persone e comunità che vivono ogni giorno, nella lode e nell’adorazione, la presenza reale di Cristo nella loro vita e non soltanto in un riferimento ad un Cristo inteso come “grande personaggio storico” e, quindi, inevitabilmente, legato al passato. Gesù Cristo è, invece, Colui che ci accompagna, precede, guida e sostiene nel cammino, come nell’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35).e ribadirlo ci chiama a vivere ciò che abbiamo celebrato nel mistero.

C’è una frase, divenuta celebre, di san Pio da Pietrelcina – di cui oggi celebriamo la memoria – che sintetizza bene il suo amore nei confronti dell’Eucaristia e l’importanza assoluta che le attribuiva: “Il mondo potrebbe stare anche senza il sole, ma non può stare senza la santa Messa”.

E quando talora gli capitò, per la sua precaria salute, di non poter celebrare la Messa e doveva farsi portare la comunione, il suo desiderio di Gesù Eucaristia raggiungeva il culmine e diventava quasi “fisico”: “Ciò che più mi ferisce, Padre mio – scriveva san Pio al suo padre spirituale –, è il pensiero di Gesù sacramentato. Il cuore si sente attratto come da una forza superiore prima di unirsi a Lui la mattina in sacramento. Ho tale fame e sete prima di riceverlo, che poco manca che non muoio di affanno. Ed appunto perché non posso non unirmi a Lui, anche con la febbre addosso sono costretto di andarmi a cibare delle sue carni. E questa fame e sete anziché rimanere appagata, dopo che l’ho ricevuto in sacramento, si accresce sempre di più. Allorché poi sono in possesso di questo sommo bene, allora sì che la piena della dolcezza è proprio grande che poco manca da non dire a Gesù: basta, che non ne posso quasi proprio più. Dimentico quasi di essere nel mondo; la mente ed il cuore non desiderano più nulla e per molto tempo alle volte, anche volontariamente non mi vien fatto di desiderare altre cose”.

San Pio, come ci ha ricordato la preghiera di colletta, con il suo ministero di confessore ha saputo dispensare con abbondanza le “meraviglie” della misericordia di Dio.

Rivolto ad un penitente a proposito del digiuno eucaristico e della necessità anche di una giusta astinenza dai cibi, diceva: “Tu non capisci neppure il significato del digiuno eucaristico. È, questa, una legge, che ha lo scopo preciso di farci considerare Gesù come il nostro vero cibo e la nostra vera bevanda. Quel digiuno prima sta a significare che non dobbiamo desiderare nient’altro che Gesù, e dopo significa che, sazi di Gesù, non dobbiamo sentire il bisogno di nessun altro cibo”.

Non aver altra fame e sete se non di Gesù, allenare così corpo e anima insieme ad avere bisogno dell’Unico Necessario. Anche il digiuno, in questo contesto, diventa un modo per far partecipare la totalità della nostra persona umana al convito eucaristico e alla salvezza che ci è donata.

Proseguiamo questa Eucaristia e prepariamoci a vivere al meglio la parte finale del Congresso Eucaristico Nazionale, sostenuti e rafforzati anche da questo modello di santità, oltreché da tutti gli esempi (famosi o meno) di santità quotidiana, passata attraverso la fedeltà e l’amore per l’Eucaristia, e che hanno caratterizzato e arricchito la vita delle nostre Chiese che sono in Italia, affinché vivendo la celebrazione e adorazione eucaristica interpretino in modo ecclesiale il loro Cammino sinodale.

Preghiamo, infine, insieme alle nostre comunità di provenienza, poiché una volta ritornati alle nostre Chiese diocesane, possiamo assaporare e far assaporare ad altri il “gusto” buono di quel “pane della vita”, “disceso dal cielo”, che solo ci nutre e soddisfa pienamente, ovvero il Signore Gesù.