L’intervento del Patriarca all’apertura del ponte votivo del Redentore: “Guardiamo con fiducia, coraggio e umiltà al futuro che non poco dipende dalle nostre scelte”

Apertura del ponte votivo del Santissimo Redentore (Venezia, 14 luglio 2023)

Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

Stimate autorità civili e militari, cari concittadini e visitatori della nostra città,

l’inaugurazione del ponte votivo appartiene alla storia di Venezia e ne salda il passato al presente, nel ricordo della liberazione dalla peste del 1575-77.

Venezia è la citta dei ponti (436, che uniscono 121 isole) ma è anche la città “ponte” che, da sempre, unisce Oriente e Occidente; è la città crocevia fra culture, religioni, popoli e uomini.

Un ponte è proiezione in avanti del presente, verso un “oltre”, un futuro che attende e che, per quanto dipende dagli uomini, va preparato. Sì, il futuro si costruisce oggi, nel presente, già in mezzo a noi.

Noi non viviamo un tempo di cambiamenti ma un tempo di cambiamento. Lo attestano, con chiarezza, gli eventi che viviamo. I più evidenti: i molteplici e contraddittori aspetti della globalizzazione, le tecnoscienze, l’intelligenza artificiale, il mondo meta, il post-umano e il trans-umano. Eventi tutti gravidi di conseguenze impensabili fino ad un recentissimo passato.

Non dimentichiamo, poi, quella che ci era stata presentata come un’operazione “speciale”: la drammatica e sanguinosa guerra in Ucraina che, alla fine, insieme a tanti morti e distruzione, ci consegnerà uno scenario geopolitico radicalmente diverso da quello del secolo scorso e dell’inizio dell’attuale.

A tutto ciò aggiungiamo la sfida, non facile, della riconversione e della sostenibilità energetica ed ambientale che cambierà i nostri stili di vita.

Sono questioni che non ci toccano da lontano, perché entrano pesantemente nelle nostre vite e le cambieranno. Venezia, città fragilissima ed unica, sarà segnata più di ogni altra da tali cambiamenti.

Il ponte – ritorniamo a tale immagine – ci ammonisce che il futuro, come ogni futuro, è proiezione di ciò che già è presente nell’oggi. Tale futuro, che è in grembo al nostro presente, non ci può non interessare. Noi, oggi, viviamo nel grande “laboratorio” del futuro e Dio non voglia che sia un futuro di disumanità.

Ecco perché dinanzi a questo ponte, rinnovando il voto al Redentore fatto dai nostri padri quasi 450 anni fa, innalziamo una preghiera pensando al futuro affascinante, ma ricco d’incognite, che ci sta dinanzi.

E il futuro della modernità o della post-modernità o della tarda modernità – come viene variamente chiamata – sarà un futuro a misura d’uomo e, quindi, un futuro di speranza, di sviluppo e di pace solo se sapremo porre al centro l’uomo, rispettandone l’intangibilità della vita dal concepimento al suo spegnersi naturale – l’accoglienza inizia da qui –  e solo se saremo capaci di fondarci su un’etica (privata e pubblica) in cui l’uomo non sia mai egemone arbitro di sé, dei suoi simili, dell’ambiente, delle biodiversità.

Davanti a questo ponte guardiamo con fiducia, con coraggio e con umiltà al futuro che non poco dipende dalle scelte del nostro presente.

Per i credenti, poi, secondo lo spirito autentico di questa festa, il vero uomo e la vera umanità sono inscritti nella persona di Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, il Salvatore.

Lasciatemi ricordare in quest’occasione il piccolo Mattia, il suo papà Marco e la sua nonna Mariagrazia, morti nel tragico incidente di S. Stefano di Cadore e i cui funerali sono stati celebrati stamattina. Oggi stesso ho voluto scrivere una lettera alle loro famiglie, pensando soprattutto al dolore infinito di mamma Elena e nonno Lucio.

Al Santissimo Redentore affidiamo anche queste famiglie e questi morti. A Lui ci affidiamo tutti noi, perché è Lui la nostra unica speranza e salvezza.