“L’incontro con Dio nei nostri incontri con le persone e i malcapitati della nostra epoca”: l’omelia del Patriarca alla preghiera ecumenica nel Duomo di Mestre

Preghiera ecumenica – Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

(Mestre / Duomo di S. Lorenzo, 25 gennaio 2024)

Predicazione del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

 

Fratelli e sorelle in Cristo, che partecipate a questo incontro di preghiera nel Duomo di Mestre, la pace del Signore sia con voi.

Come sappiamo, con questo appuntamento si conclude la Settimana Ecumenica di quest’anno; è un dono grande di Dio che dobbiamo fare nostro in modo del tutto particolare perché, realmente, viviamo un tempo a rischio di escalation per quanto riguarda la pace e l’unità. La preghiera non è scelta consolatoria e di circostanza ma, piuttosto, forza che unisce il mondo a Dio.

Un particolare saluto rivolgo all’Archimandrita Bessarione, Vicario Generale dell’Arcidiocesi ortodossa d’Italia e Rettore della Chiesa Cattedrale di San Giorgio dei Greci in Venezia, per la riflessione che ci ha appena offerto, e al dott. Alberto Bragaglia, della Chiesa Valdese Metodista di Venezia, attuale vicepresidente del Consiglio locale delle Chiese Cristiane di Venezia, nonché a tutti i rappresentanti delle confessioni cristiane oggi presenti.

“Ama il Signore Dio tuo… e ama il prossimo tuo come te stesso” (Lc 10,27); tale esortazione, che diventa preghiera e precetto, più volte – in questi giorni di preghiera per l’unità della Chiesa – ci ha convocati in diversi punti della città.

È il centro del dialogo di Gesù col dottore della legge che Luca propone nel suo Vangelo (cfr. anche Mt 22,34-40 e Mc 12,28-34) poco prima del racconto di una delle parabole più suggestive di Gesù: la parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37).

Di primo acchito potremmo parlare della figura del buon samaritano e di questa parabola come della manifestazione dell’amore senza frontiere, aperto, universale; è la richiesta di un amore senza limiti che Gesù presenta ad un uomo che faceva parte dell’antica alleanza. Tale amore senza limiti risulta difficile da intendersi e da praticarsi in ogni epoca, compresa la nostra, in cui molti sono impegnati invece ad alzare barriere divisorie.

Tutto nasce dalla domanda di chi intende “provocare”; si tratta – come detto – di un dottore della legge che, nel dialogo con Gesù, mostra prontezza, intelligenza e preparazione.

Sì, la domanda denota l’intenzione di “mettere alla prova” Gesù il quale, a sua volta, risponde con una domanda a cui l’uomo (il dottore della legge) reagisce prontamente, tanto che riceve l’approvazione dello stesso Gesù: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai” (Lc 10,28). Ma, con insistenza, il dottore della legge rilancia e domanda: “E chi è mio prossimo?” (Lc 10,29).

Di fronte ad alcune domande Gesù, nel Vangelo, talvolta, preferisce non rispondere direttamente; al contrario, chiama in causa la persona.

Ai primi discepoli che gli domandavano dove abitasse, Gesù risponde  invitandoli a seguirlo: “Venite e vedrete” (Gv 1,39). Oppure, di fronte all’uomo che gli chiede di intervenire presso suo fratello perché dividesse l’eredità con lui, risponde con la parabola dell’uomo avido che, nel momento in cui ha raggiunto il massimo del benessere e della potenza, si rende conto che, invece, è giunto il tempo in cui gli verrà chiesta ragione della sua vita (cfr. Lc 12,13-21).

Ma torniamo alla parabola del buon samaritano. Non possiamo qui fermarci ad una spiegazione che si limiti al significato morale che, pure, emerge dal testo poiché la Parola di Dio offre sempre anche un’indicazione per il concreto cammino di vita dei discepoli. La Sacra Scrittura ha sempre anche un significato “allegorico”, ossia il racconto di un determinato evento o fatto (come è anche la narrazione di una parabola in un contesto particolare) lascia trasparire un percorso di fede che inquadra quel testo nel complesso della rivelazione biblica.

Importante è riuscire a cogliere correttamente questo senso “allegorico” che ci riporta alla storia della salvezza; in tal caso noi siamo pronti a dialogare, a partire da precise corrispondenze, con il contenuto della parabola e l’intera storia della salvezza.

“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…” (Lc 10,30) e, subito, quest’immagine ce ne richiama un’altra: l’uomo cacciato dal Paradiso terrestre che entra e “scende” in una storia abitata dal male e dal peccato; l’uomo incappa così, subito, nel peccato e nel male inoltrandosi nelle diverse vicende umane e, per questo, ha bisogno di aiuto.

Il buon samaritano è, così, immagine del Signore Gesù, il Verbo di Dio fatto carne, il Salvatore di tutti gli uomini; è, allora, chi si piega sulle sofferenze di un’umanità fragile, ferita ed anzi, per restare al testo, quasi moribonda, proprio come l’uomo della parabola assalito dai briganti e che rimane a terra “mezzo morto”.

Il buon samaritano è colui che accudisce quest’umanità ferita e poi la consegna alla figura dell’albergatore che – possiamo dire – qui è l’immagine della Chiesa. Il buon samaritano ritornerà e riconoscerà tutto ciò che spetta a chi – l’albergatore, ossia la Chiesa – intanto si è preso cura del malcapitato.

Dio, nel Figlio, si china – come il buon samaritano – sull’umanità che è ferita non solo dai briganti che hanno fatto violenza su di lui ma anche dall’atteggiamento del sacerdote e del levita i quali, o per durezza di cuore o per attaccamento alla legge (che imponeva loro di non contaminarsi con i cadaveri), trovandosi innanzi una persona morta o quasi, preferiscono girare al largo. Il testo greco usa proprio questa parola άντιπαρελθεν (antiparelthen) che significa: “girare al largo” / “passare dall’altra parte”.

La parabola del buon samaritano racchiude, in tal modo, la nostra storia e, in particolare, la nostra storia attuale. Non possiamo, infatti, dimenticare le molteplici situazioni di guerra. Alcune esistevano già da tempo, ma forse ci hanno visto distratti perché, più lontane da noi, ci toccavano meno; da due anni, invece, lo scoppio della guerra e il suo perdurare in Ucraina e, più recentemente, nella stessa terra di Gesù ci fanno toccare con mano che violenza e sopraffazione sono una legge che continua ad influenzare i comportamenti e le relazioni tra uomini e popoli.

Le violenze sono di vario tipo e, prima di esplodere in guerra militarmente combattuta, si manifestano sul piano politico, economico, culturale o anche su idealità che si tramutano facilmente in ideologie. L’altro, ad esempio, è considerato il “nemico”, prima ancora di affrontarlo in una guerra combattuta realmente.

La parabola del buon samaritano ci presenta da una parte l’immagine del malcapitato rimasto “mezzo morto” a causa dei briganti e, dall’altra, i distinguo e le prese di distanza che emergono dagli atteggiamenti del levita e del sacerdote e che rappresentano i comportamenti di chi non interviene, non vuole intervenire o preferisce non intervenire chinandosi sulla sofferenza altrui, sui dolori di tanti malcapitati, dei popoli della fame e del sottosviluppo, dei popoli “oggetto” di guerra e che, di fatto, sono considerati di serie B dall’assise internazionale.

Chiediamo allora che questa parabola, nel contesto della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, possa aiutarci a ricordare che l’incontro con Dio, dopo Gesù e in Gesù, può avvenire attraverso i nostri incontri con le persone, ovvero con i “malcapitati” della nostra epoca, specialmente con i più poveri e sofferenti.

Teniamo, alla fine, nel debito conto che abitare nella casa di Dio e ricercare il volto di Dio vuol dire scoprire che quel Padre ha anche altri figli che sono, come noi, suoi figli. E, inoltre, riscontrare l’impegno e la fatica del chinarsi sugli altri dice la fedeltà di una persona, di una comunità e di un popolo a quello che è il suo legame vero – e non ideologico – con il Signore.