La predicazione del Patriarca all’incontro ecumenico in San Marco: “Dalla stella dei Magi l’invito ad alzare lo sguardo e a riscoprire il senso di Dio e dell’uomo”

Preghiera ecumenica – Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

(Venezia / Basilica cattedrale di S. Marco, 21 gennaio 2022)

Predicazione del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

  

Fratelli e sorelle in Cristo,

quest’anno è la stella che guida i Magi a Betlemme per onorare il Bambino – come narra il Vangelo di Matteo (cfr. Mt 2,2) – a guidarci nella preghiera ecumenica.

La stella dice il Mistero di Dio che suscita “stupore” e “timore”; Dio, infatti, è “l’Altro” rispetto all’uomo e la stella è il modo in cui Dio parla all’uomo affinché l’uomo non si fermi alle cose materiali ma vada oltre.

La stella esorta ad alzare gli occhi, a guardare verso l’alto. L’uomo non può camminare avendo di mira soltanto un futuro che deve inventarsi giorno dopo giorno. E il dramma dell’uomo che oggi ama definirsi “adulto” o “emancipato” è proprio questo: ogni giorno deve sostituirsi a quel Dio che s’illude d’aver abolito, creando un’infinità di idoli – veri “padroni” della sua vita – e, prima ancora, della sua anima.

La finanza, l’economia, la tecnica, i media eletti a criterio e fine, fanno smarrire la questione del “senso”; così si genera un’infinità d’idoli fino a pensare di costruire un trans-umano o un post-umano.

La stella rinvia a Dio e richiama Dio, invitando l’uomo a liberarsi da ogni forma di idoli.

Ascoltiamo, di seguito, tre voci che – nel IV/V secolo, nel XVI e nel XX secolo – si sono interpellate sul senso di Dio e dell’uomo. E accostiamo i loro pensieri e le loro riflessioni alla stella e alla vicenda dei Magi.

La prima voce è quella di Agostino di Ippona che, nelle Confessioni, scrive: <<… scesi nel mio animo assieme a te… vidi, sopra gli occhi stessi e sopra il mio spirito, la luce immutabile, non quella comune e visibile da ogni corpo mortale… era un’altra cosa, ben diversa da tutte le nostre luci… chi conosce la verità conosce quella luce, e chi la conosce, conosce l’eternità. L’amore la conosce>> (Sant’Agostino, Le confessioni, lib.7,10,16, I classici della tradizione cristiana, Edizioni San Paolo, 2002, p.147).

La seconda è quella di Lutero che, nel Grande Catechismo, a proposito de “I Comandamenti” annota: <<”Avere un Dio” non significa altro che confidare e credere in lui con tutto il cuore…Se la fede e la fiducia sono ben riposte, allora anche il tuo Dio è quello vero; viceversa, dove la fiducia è sbagliata e mal riposta, lì non è il vero Dio. Infatti le due cose, fede e Dio, vanno insieme… Ciò da cui – dico – il tuo cuore dipende e a cui si affida, quello è, propriamente, il tuo Dio>> (M. Lutero, Il Piccolo Catechismo. Il grande catechismo, Claudiana 1998, pag. 123).

La terza voce è quella di Nikolaj Berdjaev che, in un articolo degli inizi degli anni Trenta del secolo scorso – La condizione spirituale del mondo contemporaneo -, annota: <<…l’uomo non può essere ateo in modo rigoroso e definitivo. Nel momento in cui abbandona la fede in Dio cade nell’idolatria. Possiamo osservare come si creano e si adorano idoli in tutti i campi: nella scienza, nell’arte, nella vita dello Stato, della nazione, della società. Così, ad esempio, il comunismo è una forma estrema di idolatria sociale…>> (N. Berdjaev, Pensieri controcorrente, Edizioni La Casa di Matriona 2007, pag. 47).

Si tratta, insomma, di alzare lo sguardo e di riscoprire il senso di Dio, evitando di rimanere impigliati negli idoli del potere, della ricchezza, della notorietà, del sesso. Idoli che non vanno mai da soli e che il re Erode incarna tutti alla perfezione; infatti – nonostante le Scritture e le profezie – Erode non riesce più a comprendere perché oramai per lui ricchezza, potere, dominio e fama sono il suo Dio, anzi, i suoi idoli.

La morte di Dio – annunciata a squarciagola oltre un secolo fa da Nietzsche – si è rilevata, in realtà, la morte dell’uomo. Al venire meno di Dio nella coscienza dell’uomo – è questa l’unica morte di Dio possibile – si dà l’affermarsi degli idoli.

Pensiamo alla schiavitù d’Israele in Egitto: anche quando Israele si trova già sulla strada del ritorno – verso la terra promessa – la libertà è responsabilità, è dono di sé, e il popolo sente tutto il peso della libertà.

Sì, non è facile essere liberi e la nostalgia dei favori che “regalava” (ma a che prezzo!) la schiavitù del Faraone si avverte proprio quando si cammina in responsabilità, col dono di sé, ed in autonomia. Le cipolle, i porri, la carne che erano sulle tavole d’Egitto (cfr. Esodo cap. 11), ora, nel deserto, dove acqua e cibo scarseggiano, sono solo un ricordo. Sì, la libertà ha un prezzo, rimane una conquista, è un modo di intendere la vita.

Scrutare la volta celeste, innalzare lo sguardo come i Magi, ci “obbliga” ad andare oltre noi stessi e oltre i nostri idoli che usurpano sempre il posto di Dio. I Magi, seguendo la luce misteriosa, giungono ad onorare il bambino a Betlemme. La stella è segno del Dio che salva e Gesù è questa stella. È questa salvezza.

Nella Genesi, al momento della creazione, si menzionano la “luce maggiore” il sole, la “luce minore” la luna, e poi le stelle per “illuminare” e “governare” la terra e dividere il giorno dalla notte (cfr. Gen 1,16-16). Semplici creature al servizio dell’unico, vero e solo Dio.

Nella vita dell’uomo poi –  pensiamo al libro di Neemia – le giornate sono regolate dal brillìo delle stelle e così i costruttori delle mura lavoravano “dal sorgere dell’alba allo spuntare delle stelle” (Ne 4,15).

La Creazione, opera di Dio, e il lavoro, opera dell’uomo, si richiamano a vicenda; sono uno il prosieguo dell’altra.

Certo, la vera stella è Gesù; Lui è la vera sorgente luminosa del mattino. Il libro dell’Apocalisse, il libro “aperto” – che tratta del futuro, fino al giorno del ritorno del Signore -, ci mostra il Figlio dell’Uomo che tiene nella mano destra le sette stelle misteriose degli angeli delle sette Chiese (cfr. Ap 1+,16-2,1). Poco dopo è scritto che, a chi custodisce l’opera di Dio, sarà data la “stella del mattino” (cfr. Ap 2,26-28). E Gesù stesso è la “stella radiosa del mattino” (Ap 22,16).

Ma nell’Antico Testamento troviamo, ancora, un altro riferimento interessante.  Il re di Moab domanda al profeta Balaam di maledire il popolo d’Israele che sta per invadere il suo Regno. Dio interviene e pone sulle labbra di Balaam la benedizione: “Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele…” (Nm 24,17).

Questa profezia parla di un futuro non vicino, anzi, lontano, che si compirà in un tempo non precisato ma certo, quando Dio manderà suo Figlio “nato da donna” (cfr. Gal 4,4). Sì, la stella di Betlemme compie proprio questa antica profezia.

La stella, quindi, evoca attesa, speranza e orienta la notte. Per il cristiano la speranza è l’amore di Dio visibile, in Gesù, vincitore della morte.

In questo tempo di pandemia, con le sue sofferenze, con le sue morti, con le sue domande, è necessario porre al centro della nostra vita e di quella delle nostre Chiese, la fede, la speranza e la carità per poter scorgere di più e meglio i semi della risurrezione nel nostro faticoso presente, quei semi che “relativizzano” il momento presente col suo carico di bene e di male. La speranza, per il cristiano, è la realtà che ha il suo fondamento in Cristo risorto, vera stella del mattino.

Siamo parti del mondo della tecnica, della finanza, della comunicazione, grazie al quale ci illudiamo di risolvere tutto, di trovare ogni risposta; in realtà si riescono solo a conseguire risultati, certamente apprezzabili. Riconosciamo volentieri il giusto valore alla scienza e alla tecnica, ma dobbiamo guardarci dal cadere in una visione funzionalista e meccanicista preclusa alla questione prettamente umana del senso.

Vivere basandoci solo su schemi operativi, modelli sperimentali e strumenti tecnici, produce l’uomo ad una sola dimensione e, così, si lasciano inevase le domande più umane ed umanizzanti e che riguardano la speranza, il senso, la possibilità e il valore del bene e il male e si rinuncia a scrutare il vero Mistero della vita. Riducendo tutto a enigma indecifrabile.

La stella – ossia il Mistero che si svela – aiuta l’uomo a non fermarsi alla dimensione efficientista del vivere ma ad aprirsi a ciò che va oltre e che, se alziamo lo sguardo, si manifesta prima o poi nella vita degli uomini.

Papa Francesco, commentando l’episodio evangelico che è al centro della Settimana ecumenica, afferma: “I Magi hanno incominciato la strada guardando una stella e trovarono Gesù. Hanno camminato tanto… Questo è il consiglio di oggi, forte: guarda la stella e cammina. La Vergine Maria, serva del Signore, ci insegni a riscoprire il bisogno vitale dell’umiltà e il gusto vivo dell’adorazione. Ci insegni a guardare la stella e a camminare” (Papa Francesco, Angelus del 6 gennaio 2022).