S. Messa nella solennità del patrono San Marco Evangelista
(Venezia, Basilica Patriarcale di San Marco – 25 aprile 2021)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Stimate autorità, cari confratelli nel sacerdozio, fratelli e sorelle,
saluto tutti cordialmente in questa mattina del 25 aprile che, oltre ad essere la giornata in cui la Chiesa cattolica celebra la festa dell’evangelista Marco, è anche la giornata in cui come cittadini ricordiamo la conclusione della seconda guerra mondiale e l’inizio di una ripartenza che non fu facile, ma che finalmente tornava a guardare l’uomo e non le ideologie.
Era stato proprio l’accordo tra le due ideologie del XX secolo che, sei anni prima, aveva posto le premesse immediate alla conflagrazione del conflitto.
Quest’anno abbiamo la gioia di tornare a celebrare la festa del patrono, l’evangelista Marco, “in presenza”, con la partecipazione, almeno, di un certo numero di fedeli.
I gondolieri, anche oggi, ripeteranno il tradizionale omaggio del bocolo al santo patrono. Il gesto quest’anno assume un significato particolare, in quanto dice la sofferenza e la volontà di ripartenza dell’intera città e diventa segno di solidarietà, di aiuto e di auspicio.
Le parole di Gesù Risorto con cui ha termine il Vangelo marciano e che abbiamo appena ascoltato, oggi, risuonano per ogni battezzato come impegno e missione: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato” (Mc 16,15-16).
È questa la “consegna” che Marco affida ai cristiani di tutti i tempi, insieme alla certezza della presenza viva ed operosa, in mezzo a noi, del Risorto, che mai verrà meno (cfr. Mc 16,20).
Portare a tutti la buona notizia e la vita nuova che nasce dal battesimo è perciò l’augurio che – nella festa dell’evangelista Marco – rivolgo a tutti e, in particolare, ai rappresentanti delle confessioni cristiane che ci onorano oggi con la loro gradita presenza.
Avere come patrono san Marco, per la città di Venezia e per le genti venete, è un onore e una responsabilità. Marco fu, infatti, discepolo ed evangelista – fu lui a inaugurare questo genere letterario – e infine concluse la sua vita col martirio; antiche fonti riferiscono, in circostanze brutali, ad Alessandria d’Egitto; dopo essere stato legato, fu trascinato per la città in un percorso scosceso; alcuni “resti” sono incastonati, come reliquie, sotto l’altare di questa basilica a lui intitolata.
Marco ci conduce direttamente a Gesù, il Signore risorto, non solo in quanto autore del Vangelo che ne porta il nome, ma soprattutto perché ha dato la vita per Lui.
Marco fu una figura importante della Chiesa primitiva, a stretto contatto con gli apostoli Pietro e Paolo; col primo avrà un rapporto privilegiato – ne sarà segretario -, col secondo il legame sarà inizialmente problematico per diventare poi di vicinanza, sostegno, aiuto.
Marco è tradizionalmente identificato col ragazzo avvolto nel lenzuolo che fugge al momento dell’arresto di Gesù al Getsemani (Mc 14,50-52). Gli Atti degli Apostoli lo chiamano Giovanni Marco. La sua famiglia doveva essere benestante, nota nella primitiva comunità cristiana di Gerusalemme; offriva, infatti, la propria casa per le riunioni dei primi discepoli. Si narra, tra l’altro, che Pietro – dopo la liberazione prodigiosa dal carcere – “si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni, detto Marco, dove molti erano riuniti e pregavano” (At 12,12).
Sempre gli Atti raccontano che Marco accompagna, come “aiuto”, Paolo e Barnaba nel loro viaggio apostolico (cfr. At 12,25 e 13,5). Ma ad un certo punto, a Perge (in Panfìlia), abbandona la missione per ritornare a Gerusalemme a motivo di un contrasto (cfr. At 13,13). Più avanti si comprende che il dissidio non dovette essere una cosa lieve se, quando Paolo e Barnaba preparano un nuovo viaggio missionario, non riescono a trovare l’intesa proprio sulla partecipazione di Marco e arrivano, addirittura a dividersi.
Leggiamo infatti: ”Bàrnaba voleva prendere con loro anche Giovanni, detto Marco, ma Paolo riteneva che non si dovesse prendere uno che si era allontanato da loro, in Panfìlia, e non aveva voluto partecipare alla loro opera. Il dissenso fu tale che si separarono l’uno dall’altro. Bàrnaba, prendendo con sé Marco, s’imbarcò per Cipro. Paolo invece scelse Sila e partì, affidato dai fratelli alla grazia del Signore” (At 15, 37-40).
La vicenda di Marco manifesta le incomprensioni che possono generarsi nel rapporto ecclesiale fra evangelizzatori proprio nell’annuncio del Vangelo. E questa situazione, che si manifesta già nel primo secolo, non è detto non si riproponga anche oggi a duemila anni di distanza, ed è un monito per i discepoli del Signore.
Nello stesso tempo la vicenda ci indica la possibilità di trovare la riconciliazione e la comunione, caratteristiche di una vera comunità ecclesiale nata a partire dalla fede in Gesù risorto e che pone Lui, Gesù – non i particolarismi o protagonismi di qualcuno – al centro di tutto.
E, così, Marco recupererà il rapporto e la collaborazione con Paolo (cfr. Col 4,10 – 2Tm 4,11 – Fm 24), mentre per Pietro sarà, come abbiamo ascoltato dalla Seconda Lettura, dalla prima Lettera di Pietro, il “figlio mio” (1Pt 5,13).
Il Vangelo redatto da Marco è non solo il primo ad essere fissato per iscritto (poco prima del 70 d.C.) – il che fa del nostro patrono l’iniziatore del genere letterario “Vangelo” – ma porta in sé caratteristiche specifiche e singolari che sempre più ci colpiscono: è, infatti, un testo di indiscutibile immediatezza e vivacità, composto di poche parole (è il Vangelo più breve). Tanti atti, tanti gesti, con dialoghi serrati e diretti, mentre emergono in maniera nitida la drammaticità degli eventi.
Se vogliamo sapere come sono andati gli eventi di Gesù di Nazareth è soprattutto al Vangelo di Marco che dobbiamo principalmente ricorrere, insieme a quello di Giovanni (scritto, peraltro, alla fine del I secolo); questi, seppur in modo differente e in un certo senso, sono i Vangeli dei “testimoni oculari”, delle persone più vicine a Gesù.
Giovanni, perché (con Andrea) è cronologicamente il primo ad incontrare Gesù; Marco, perché raccoglie la predicazione e i ricordi di Pietro, scelto da Gesù come la “roccia” su cui è fondata la Chiesa.
Al centro del Vangelo di Marco troviamo un episodio paradigmatico (Mc 8,27-31) – la cosiddetta “confessione di Pietro” – che fa da cerniera, vero e proprio collegamento tra la prima parte (gli otto capitoli iniziali), di introduzione e preparazione, e la seconda (fino al capitolo sedicesimo) in cui tutto culmina negli eventi della passione, morte e risurrezione di Gesù.
Sì, proprio a Cesarèa di Filippo, lungo la strada, Gesù si rivolge ai suoi discepoli e li interroga: “La gente, chi dice che io sia? (…) Ma voi, chi dite che io sia?”. Dopo varie risposte, Pietro proclama: “Tu sei il Cristo”. L’episodio poi, come sappiamo, finisce con Gesù che “ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno”.
Tutto, nel Vangelo di Marco, ci riconduce sempre a Gesù Cristo da confessare, annunciare e comprendere, così come può essere compreso dagli uomini: è Lui la buona novella, è Lui l’unico Salvatore, non ce ne sono altri. Ma, nello stesso tempo, in questo cammino di fede c’è anche una progressione, uno sviluppo: ecco perché Gesù dice, in un primo momento: “Non ditelo a nessuno”. C’è una crescita che il discepolo deve compiere, percorrendo la stessa strada di Gesù, per conoscerlo e incontrarlo davvero e poterlo annunciare e professare con verità e consapevolezza, senza che vi sia alcun fraintendimento o la pretesa di “impossessarsi” di Gesù e del Vangelo, che è la sua stessa Persona.
La fatica e le difficoltà, ma anche la bellezza di essere discepoli del Signore, l’esigenza di sempre maggiore fedeltà ed autenticità, l’offerta della vita per Gesù, il Crocifisso Risorto: è quanto ci trasmette Marco, è il tesoro, è la “consegna” che ci affida. Non ha scritto solo il Vangelo, infatti, ma ha dato la vita per questo Gesù, ha capito chi era. Ecco perché Gesù diceva: “Adesso non ditelo… Non siete ancora pronti”.
L’evangelista, nostro patrono, dice a noi – uomini e donne del XXI secolo, in particolare di questo territorio veneziano e veneto – che Gesù non è un personaggio del passato né una figura mitica, ma è il Vivente, l’unico Signore. Marco ci ricorda che le promesse di Dio non vengono meno, anche se non rispettano i tempi degli uomini, anche se non seguono le logiche degli uomini, ma le promesse di Dio si realizzano proprio nel Risorto (cfr. At 13,32-33); ci richiama, infine, al fatto che il Vangelo non è prima di tutto un libro che si legge ma è lo stesso Gesù Cristo vivo che va testimoniato sempre e in ogni ambito, senza timori, senza incertezze, con umiltà e con gioia.
Tutto ciò comporta per la Chiesa conseguenze che la rendono “altra”, anche in modo radicale rispetto all’ambiente umano che ama, e proprio perché la Chiesa ama vuole donare la sua ricchezza, che è fatta di quattro lettere: Gesù! La Chiesa non ha altre ricchezze se non Gesù, che è il Risorto, il Vangelo.
Il Vangelo è una fonte perenne di vita nuova che supera le ideologie e le convinzioni personali come anche ogni tipo di rassegnazione. Sa andare oltre il pessimismo e il fatalismo degli uomini come oltre ogni facile ottimismo che, in modo erroneo, si affida ad una illusoria bontà naturale, confondendo la libertà con l’esternazione delle proprie fragilità o egoismi. E tutto ciò coinvolge ognuno di noi, a partire dal battesimo che ci immerge nel mistero pasquale, nella vita del Crocifisso risorto e ci rende capaci di continua e reale rigenerazione (cfr. Paolo VI, Lettera enciclica Ecclesiam suam, nn. 61-62).
Del tutto pertinenti, quindi, risultano le parole di Tertulliano: “Cristo ha affermato d’essere la verità, non la consuetudine” (La Velazione delle vergini 1,1). Consuetudine vuol dire “moda”, vuol dire “il politicamente corretto”, vuol dire cedere al fatto che “ormai tutti fanno così”.
San Marco ha vissuto per primo tutto ciò, fino alla testimonianza somma di un martirio prolungato e crudele come avviene, oggi, per molti cristiani nel nostro tempo: si stima, infatti, che in tutto il mondo siano intorno a 200 milioni i cristiani di ogni confessione, non solo cattolici, perseguitati e in molte (troppe) parti – dall’Africa all’Asia – le condizioni di sicurezza e libertà religiosa tendono tragicamente a peggiorare tanto che, ancora oggi, come nei primi tempi, vi sono luoghi in cui i discepoli del Signore sanno di andare la domenica a Messa rischiando di non tornare a casa. Eppure danno questa testimonianza.
La fede di questi nostri fratelli e sorelle che condividono con noi il battesimo, che confessano la loro appartenenza a Cristo, fino al martirio, testimonia la forza e l’energia che la “buona notizia” – di cui san Marco si è fatto primo annunciatore – possiede. E dovrebbe scuotere le nostre tiepidezze e pigrizie nel voler “dire”, anche noi oggi, quelle quattro lettere, forse qualche volta scomode: Gesù.
“Cristo è il «Vangelo eterno» (Ap 14,6), ed è «lo stesso ieri e oggi e per sempre» (Eb 13,8), ma la sua ricchezza e la sua bellezza sono inesauribili – ci ha ricordato Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium -. Egli è sempre giovane e fonte costante di novità. […] Gesù Cristo può anche rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina” (Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium n. 11).
San Marco, patrono di Venezia e protettore delle genti venete, interceda per noi e ci doni coraggio, prontezza e generosità per metterci alla scuola del Vangelo di Gesù – il Risorto, il Vivente – affinché “impariamo anche noi a seguire fedelmente il Cristo Signore” (dalla Colletta della Messa).
Buona festa di San Marco a tutti!