Il Patriarca: “Natale, Dio entra nella storia per salvarla. Triste chi vede un pericolo in quel Bambino. Chi meglio di Lui racconta il dramma del nostro tempo?”

“Il Natale manifesta in modo semplice e forte il realismo cristiano; è Dio che entra nella storia per salvarla”: è il cuore della riflessione che il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia ha offerto a quanti hanno partecipato alla messa solenne del giorno di Natale celebrata nella basilica cattedrale di S. Marco. Il Natale – ha detto nell’omelia (testo integrale nell’allegato qui sotto in calce) – è espressione umile e potente della Divina Misericordia. Il Bambino adagiato sulla paglia è la Misericordia di Dio rivelata ad ogni uomo, ad ogni tempo, ad ogni cultura e questa è la scelta dirompente di Dio: aprirsi a tutti e non escludere nessuno attraverso un Bambino bisognoso di tutto, che  domanda solo d’esser accolto. Chi, allora, meglio di questo Bambino racconta il dramma dell’umanità del nostro tempo? Chi meglio di Lui può esprimere l’accoglienza della vita minacciata di morte in ogni sua fase: il profugo, il nascituro, il malato terminale, colui che è prigioniero delle ideologie, colui che dubita, colui che pecca. Le opere di misericordia corporali e spirituali sono il Natale vissuto”.  

Per il Patriarca “è triste che a Natale, dinanzi all’invito di Dio all’accoglienza e all’ospitalità, qualcuno – e tra questi c’è anche chi si dice cristiano – possa vedere nel Bambino di Betlemme un pericolo, una prevaricazione e, quindi, ad esempio si dichiari contro il presepio; anche così si alzano i muri, offendendo la sensibilità di molti. È difficile comprendere come non si capisca il messaggio d’accoglienza, fraternità e apertura che viene proprio dal Bambino e dal presepio. Altri, invece, si pongono contro il presepio in nome di una laicità che non si fonda sulla vera e piena libertà dell’uomo che, ovviamente, riguarda anche la sfera religiosa; siamo qui di fronte, quindi, ad un’idea di laicità che è – a ben vedere – una forma di laicismo secondo cui la religione deve essere chiusa all’interno della coscienza o del privato. La storia si ripete in maniera monotona e, non di rado, talune vecchie idee sono presentate come “novità”. Quanti vecchi discorsi coperti di polvere vengono presentati come modernità!  C’è, infine, chi scorge nel presepio l’espressione di una festa sacrale del mondo e che deve, perciò, trasformarsi nella più “politicamente corretta” festa delle luci o festa d’inverno o di babbo gelo…”. 

Risulta quindi “difficile scorgere nel presepio e poi, per estensione, nel crocifisso simboli d’intolleranza o prevaricazione religiosa, culturale, etnica che ostacolano l’accoglienza e l’integrazione. Al contrario, se si riflette in modo obiettivo e non ideologico, si vede come è proprio grazie al presepio e al crocifisso – a ciò che esprimono – che in Occidente, e in modo particolare in Italia, è cresciuta una società capace d’accoglienza, di inclusione e di laicità vera. Ma l’Europa oggi, innanzi alla questione dei migranti si mostra insensibile; ben altra attenzione mostra alle questioni economiche e finanziarie. Qui l’Italia appare sempre più isolata e questo dà vero dispiacere  ma anche un senso di grande fierezza. L’accoglienza e la disponibilità non sono mai frutto del caso; proprio in questi frangenti l’Italia esprime, nonostante il secolarismo diffuso, una cultura che s’ispira con forza al Vangelo e, quindi, rende vive quelle opere di misericordia spirituali e corporali che più volte Papa Francesco ha richiamato nel corso dell’Anno della Misericordia. La cultura dell’accoglienza è davvero viva nella nostra gente anche perché, nella sua storia, il nostro stesso popolo ha conosciuto le strade faticose della migrazione. Se poi non si tengono nella giusta considerazione la cultura, la storia di un popolo e le caratteristiche di un territorio, facciamo un’operazione irrazionale e anti-storica”. 

Il Natale si coniuga allora con “la Misericordia di Dio” che “è la condivisione che Dio fa di sé con l’umanità, è Lui che ha tempo per noi e costruisce con noi progetti camminando al nostro fianco, passo dopo passo, giorno dopo giorno. Questo è il realismo del Natale e del cristiano che si attua nella storia. Così la spiritualità del Natale ci domanda d’esser fedeli al Maestro e, quindi, di “farsi carne”; oggi tale spiritualità è attuale e sempre più ci viene richiesta da una cultura che è in crescente difficoltà nel riconoscere l’uomo e accoglierlo. Questo farsi carne, sull’esempio di Dio che si fa uomo, ci porta ad essere nel mondo pur non essendo del mondo e ad amarlo col giudizio di Cristo che è la Misericordia stessa, ossia il perdono e la conversione. La novità cristiana è stare nel mondo amandolo non perché si è amati o se ne tragga qualche vantaggio, ma perché l’amore che ci genera, a sua volta, genera amore; le opere di misericordia spirituali e corporali danno concretezza al Natale sia nei rapporti personali sia in quelli sociali e chiedono di costruire relazioni umane a partire dal Verbo che si fa carne. Il Natale non può accendersi e spegnersi con le luci di una notte, ma chiede d’esser testimoniato lungo l’intero anno facendo nostro l’interesse che Dio ha per l’umanità”. 

Dopo aver invitato a “riscoprire la preghiera nella prospettiva realista del Natale” il Patriarca ha, infine, concluso: “Anche quest’anno il Natale ci interpella sul modo in cui lo viviamo. Sì, anche il nostro Natale potrebbe esser un Natale post-cristiano; è facile, infatti, mandare in soffitta – tra le cose superate – anche Gesù, oltre al presepe e al crocifisso. Tanta festa per il Natale ma l’escluso sarebbe proprio Lui, Gesù… Natale, invece, è Gesù con noi destinatari della Sua salvezza! Il Vangelo che s’esprime, concretamente, nelle opere di misericordia spirituali e corporali non si improvvisa. Il Natale ci rende più umani e accende in noi la speranza, che non è un indeterminato desiderio di futuro ma è l’attesa certa di un compimento “già” iniziato seppur “non ancora” compiuto”.