Il Patriarca: “La Messa del Crisma esprime la bellezza e la pluriformità del sacerdozio di Cristo, manifesta il mistero della Chiesa con tutte le sue vocazioni”

S. Messa del Crisma

(Venezia / Basilica Cattedrale di San Marco, 14 aprile 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Un cordiale saluto a voi cari confratelli nel sacerdozio, ai diaconi, ai battezzati, alle battezzate, a tutti coloro che partecipano a questa liturgia del Crisma, importante nell’anno liturgico e per il Cammino sinodale che, con gioia, stiamo compiendo insieme alle Chiese che sono in Italia.

È una celebrazione che manifesta il mistero della Chiesa, è un’ “epifania” del popolo di Dio che è costituito organicamente non dagli uomini ma dallo Spirito, a partire da Gesù Cristo e attraverso differenti vocazioni e ministeri, doni e carismi. Quella odierna è così una celebrazione pienamente ecclesiale e che non riguarda solo un gruppo – i preti – ma coglie i preti a servizio della Chiesa, dei battezzati, del sacerdozio comune. E la rinnovazione pubblica delle promesse sacerdotali che i nostri presbiteri faranno dice proprio un’assunzione di responsabilità di fronte alla Chiesa e al mondo.

Grazie a quanti hanno condiviso la prima tappa di questo cammino con uno stile fraterno, sereno e amicale, parlando con carità e franchezza; Dio, poi, conosce il cuore degli uomini. A noi vivere tale cammino con quel sensus fidei che dice il nostro essere Chiesa, come anche il desiderio di costruire con pazienza legami personali ed ecclesiali (le due cose vanno insieme) partendo da Lui, il Signore Gesù, non per affermare se stessi ma – come si esprime il libro dell’Apocalisse – nell’ascolto di ciò che lo Spirito Santo dice, oggi, alle Chiese (cfr. Ap 1,10-11).

Quest’anno – con grande dolore – celebriamo la Messa crismale mentre nel cuore dell’Europa, non tanto lontano da noi, infuria una guerra sempre più violenta, crudele e insensata della quale non sappiamo con esattezza gli esiti che, però, intuiamo devastanti; è una guerra in cui, alla fine, tutti risulteranno perdenti e i cui segni rimarranno per generazioni. Tacciano le armi e si torni a parlare!

La liturgia della Messa del Crisma, già di per sé significativa, risulta ancor più valorizzata dal Cammino sinodale. Siamo, quindi, chiamati a parteciparvi secondo le vocazioni personali ed ecclesiali di ciascuno. Ringrazio, inoltre, le catechiste e i ragazzi dell’iniziazione cristiana che hanno risposto all’invito e partecipano a questa celebrazione.

La Messa del Crisma esprime la bellezza e la pluriformità del sacerdozio di Cristo, come si evince dal prefazio che fra poco pregheremo: “Con l’unzione dello Spirito Santo hai costituito il tuo Figlio unigenito mediatore della nuova ed eterna alleanza, e con disegno mirabile hai voluto che il suo unico sacerdozio fosse perpetuato nella Chiesa”.

L’“unico sacerdozio” di Cristo comprende così quello battesimale e quello ministeriale. E, circa il sacerdozio ministeriale, ancora la preghiera del prefazio s’esprime così: “mediante l’imposizione delle mani, [Gesù] rende partecipi del suo ministero di salvezza, perché rinnovino nel suo nome il sacrificio redentore… Servi premurosi del tuo popolo, lo nutrano con la Parola e lo santifichino con i sacramenti…” (dal Prefazio).

Con animo riconoscente viviamo quella comunione che non riguarda solo i presbiteri e il presbiterio – e, quindi, il sacramento dell’ordine – ma tutta la Chiesa, a partire dal sacramento del battesimo che ci unisce in vera e reale fraternità.

Ed è proprio il rito della benedizione degli Olii che ci ricorda come nella Chiesa esistano differenti vocazioni e missioni (non solo quella del prete) e solo riconoscendole, rispettandole e valorizzandole si è realmente Chiesa, ossia la sposa fedele di Cristo.

Oggi vengono benedetti gli Oli con i quali, durante l’anno, saranno amministrati i sacramenti del battesimo, della confermazione, dell’ordine e dell’unzione degli infermi. Un sacramento, quest’ultimo, da riscoprire e vivere come offerta di sé al Padre; l’anzianità è quella stagione che, con l’allungarsi della vita, chiede d’essere vissuta con serenità, saggezza e gioia, consapevoli che, comunque, il tempo passa, non si è sempre giovani e la vita stessa ci chiede di pensare, già da ora, all’eternità; c’è da recuperare l’escatologia, un capitolo della vita cristiana che noi abbiamo quasi dismesso perché, certe volte, la nostra proposta di fede è molto “psicologica” e “sociologica”.

Oggi la Chiesa – l’intero popolo di Dio – è convocata all’altare del Signore. Il pensiero che segue proviene da un documento della Commissione Teologica Internazionale sulla sinodalità che invito a leggere e in cui si sottolinea “la comune dignità e missione di tutti i battezzati, nell’esercizio della multiforme e ordinata ricchezza dei loro carismi, delle loro vocazioni, dei loro ministeri. Il concetto di comunione esprime in questo contesto la sostanza profonda del mistero e della missione della Chiesa, che ha nella sinassi eucaristica la sua fonte e il suo culmine” (Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n.6).

La sinodalità è lo stile di ogni comunità ecclesiale a partire dalla pluriformità, non dal pluralismo (che è più un termine sociologico e politico). Pluriformità dice molteplicità a partire da un’unità data all’origine e da tutti riconosciuta e condivisa. La pluriformità, quindi, esprime creatività, varietà e molteplicità ma suppone quell’unità originaria che è lo stesso Cristo Gesù, Rivelazione piena di Dio, costituito “mediatore della nuova ed eterna alleanza” e del suo “unico sacerdozio” che costituisce la Chiesa, il suo corpo vivente.

Il Concilio Vaticano II, faro della nostra vita ecclesiale, all’inizio della costituzione dogmatica sulla Chiesa, attesta che “la Chiesa è, in Cristo…, il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 1). Noi incontriamo il Signore Gesù nel suo corpo, la Chiesa! Noi siamo la Sua Chiesa che appartiene a Lui. Siamo tutti servi inutili; Lui è l’Unico Necessario, Lui è la vita, noi siamo i tralci.

“Sinodalità” rimanda sia al sacerdozio comune dei battezzati (fondamento di ogni successiva realtà ecclesiale) sia al sacerdozio ministeriale (presbiteri e vescovo); una menzione a parte va fatta, nel sacramento dell’ordine, per il diaconato.

Gesù Cristo è “lo stesso, ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8) e ciò significa che nella Chiesa vi è un livello preciso che riguarda la realtà immutabile e un altro in cui si entra in dialogo con la storia, le differenti culture. E gli adeguamenti si danno perché la realtà immutabile rimanga tale, come Gesù ha voluto, nella vicinanza e nella mutevolezza della storia. È qui che si esercita e verifica la realtà e la verità del sensus fidei.

I battezzati e i presbiteri sono chiamati a vivere la specificità della propria vocazione e missione. E se facciamo – come spero – un esame di coscienza facciamolo sempre a partire dalla nostra vocazione. Non è un tormentarsi ma, piuttosto, è chiedere al Signore: aiutami a capire chi sono, nella mia giornata, nel mio ministero, nella mia famiglia, sul posto di lavoro.

La Chiesa vive nella storia come un corpo vivo; nello stesso tempo, il pensiero e la volontà di Cristo (il Vangelo) vanno a conservarsi tali come Lui le ha intese.

Sacramento del battesimo e dell’ordine – ossia sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale – sono realtà che, insieme ad altre (consacrazione, matrimonio), costituiscono la sinfonia ecclesiale in cui le diversità dei suoni vengono originate dalla mente e dal cuore di Gesù, che è il Divino Compositore. La Chiesa, prima d’essere nostra (e guai se non la sentissimo nostra!), è Sua; è, infatti, Lui che ha dato se stesso per lei.

La Chiesa, così, esprime molteplici carismi a partire da Gesù, l’unico ed eterno sacerdote che, nella sua persona, è la pienezza della Parola di Dio, la sua ultima e definitiva rivelazione.

Il Concilio Vaticano II, nella costituzione dogmatica Dei verbum, dopo aver delineato la divina rivelazione (cfr. Dei Verbum nn. 2-6), parla della sua trasmissione, ad opera della Chiesa, affermando lo stretto rapporto che intercorre tra Scrittura e Tradizione che si richiamano a vicenda.

Dice il Concilio: “…la sacra Scrittura è parola di Dio in quanto consegnata per iscritto per ispirazione dello Spirito divino; quanto alla sacra Tradizione, essa trasmette integralmente la parola di Dio – affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli – ai loro successori, affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum, n. 9).

Ancora la Commissione Teologica Internazionale sulla sinodalità si esprime così: “Una Chiesa sinodale è una Chiesa partecipativa e corresponsabile. Nell’esercizio della sinodalità essa è chiamata ad articolare la partecipazione di tutti, secondo la vocazione di ciascuno, con l’autorità conferita da Cristo al Collegio dei Vescovi con a capo il Papa. La partecipazione si fonda sul fatto che tutti i fedeli sono abilitati e chiamati a mettere a servizio gli uni degli altri i rispettivi doni ricevuti dallo Spirito Santo. L’autorità dei Pastori è un dono specifico dello Spirito di Cristo Capo per l’edificazione dell’intero Corpo” (Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n. 67).

Ne consegue che una narrazione della Chiesa, oggi, non può prescindere da come Gesù l’ha pensata e l’ha voluta e, quindi, significa porsi in ascolto di ciò che Lui, il Signore, ha voluto consegnare agli Apostoli – e anche a noi – costituendo, Egli stesso, fin dall’inizio, una comunità che doveva avere la capacità di adattarsi alla storia, rimanendo però fedele a Lui e in cui si manifesta, una volta per sempre, il dono di Dio, ossia il Vangelo.

Dobbiamo camminare nella nostra storia ed avere una vera empatia, non dobbiamo escludere nessuno, dobbiamo amare ogni persona, a cominciare da quelli di casa e dai propri confratelli. Amare tutti, non giudicare nessuno, rimanere fedeli al Vangelo: questo è l’impegno di una Chiesa sinodale che vuole essere realmente tale. Gesù risorto è la nostra forza e ci accompagna sempre; scacciamo perciò da noi la sindrome dei discepoli di Emmaus, ripiegati su se stessi.

Continuiamo il nostro Cammino sinodale, contando su chi con noi s’impegna con umiltà e con coraggio, dicendo in verità (non solo con le labbra): siamo servi inutili, sono un servo inutile.

Rivolgo un saluto cordiale ai confratelli che oggi non hanno potuto essere presenti per vari motivi. Mi unisco a quanto già detto dal Vicario generale nel ringraziare quanti, in Diocesi, si stanno adoperando per accogliere con uno sguardo umano chi è stato privato di tutto, da un giorno all’altro, e mi riferisco ai profughi, alle profughe e ai bambini che arrivano dall’Ucraina.

Infine un ricordo particolare, in questa Messa del Crisma, va a don Filippo Malachin, l’ultimo ordinato come presbitero della Chiesa che è in Venezia. E ricordiamo con nostalgia don Carlo Massari, don Giovanni Favaretto, don Silvano Brusamento e don Mario Meggiolaro che invece, per la prima volta, si uniscono dal cielo alla nostra Messa del Crisma.

Il Cammino sinodale ci aiuti ad essere come il Signore vuole. E sin d’ora buona Pasqua alle vostre comunità e a ciascuno di Voi!