«Tutti camminiamo, nella carità e verità del Vangelo, verso il Signore Gesù. Tutti camminiamo, insieme, incontro al Risorto! E se qualcuno fatica… andiamogli incontro, prendiamogli la mano e lasciamo che la sua mano prenda la nostra»: ha concluso così la sua riflessione il Patriarca Francesco nell’omelia della Messa di indizione della Visita pastorale celebrata nel pomeriggio di domenica 15 ottobre 2017 nella chiesa parrocchiale del Sacro Cuore di Mestre, insieme ai sacerdoti e a tanti rappresentanti delle diverse comunità e aggregazioni ecclesiali della Diocesi di Venezia (in calce è allegato il testo integrale dell’omelia).
Mons. Moraglia, riprendendo l’immagine della corsa di Pietro e Giovanni al sepolcro (alla mattina della risurrezione di Gesù) e richiamando poi un tratto dell’esperienza di sant’Agostino nel momento in cui entrò in contatto con la Chiesa di Milano, ha così affermato: «Pietro e Giovanni diventano segni evidenti di una Chiesa che procede “sinodalmente” verso il Signore Gesù. Una Chiesa che crede, ama e si esprime attraverso piccole comunità che, con i suoi membri, procede in spirito di comunione e tenendo fisso lo sguardo sul Risorto. Carissime e carissimi, ciascuno e ciascuna di Voi – insieme con le Vostre comunità – sappia associarsi a questa splendida corsa – fatta di fede e di amore e… di comunione – per guardare con gioiosa speranza a Lui, il Signore. Nel momento in cui viene indetta la Visita pastorale vi propongo una testimonianza di sant’Agostino che sempre mi ha affascinato e interrogato; è una testimonianza che affido alla vostra carità, sapendo di poter contare sulla vostra preghiera affinché la Visita pastorale aiuti a fare delle nostre comunità – per usare proprio l’espressione di Agostino – una Chiesa “piena”. Leggiamo nell’ottavo libro delle Confessioni che sant’Agostino si imbatteva in una Chiesa “piena”, “aperta” e “libera” che, in questo suo modo d’essere, offriva agli uomini e alle donne che ne facevano parte – ai giovani e agli anziani che la costituivano – percorsi propri. E all’interno dell’unica comunione ecclesiale e dell’unica fede custodita con amore, ognuno si muoveva secondo il suo dono. È questa l’esperienza che Agostino – ancora pagano – fa giungendo a Milano. Ai suoi occhi si presenta una Chiesa “piena”, “aperta” e “libera” perché fondata su una forte comunione di cui – in un’epoca di profonde divisioni ecclesiali – il Vescovo Ambrogio era il comune garante, il comune padre della fede. In lui si esprimeva la certezza della successione apostolica: il Vescovo rappresentante della sua unità, resa visibile in modo particolare nella celebrazione dell’unica Eucaristia. Domandiamo, per intercessione della Madonna della Salute e la preghiera dell’evangelista Marco, che la Sacra Visita – per la nostra Chiesa di Venezia – diventi cammino verso questa “pienezza”, “apertura” e “libertà”. Sotto la guida del Signore Gesù incamminiamoci verso tale “pienezza”, “apertura” e “libertà” in modo che ognuno possa mettere a servizio degli altri i suoi doni e così, da tale scambio, nasca una Chiesa – Vescovo, presbiteri, diaconi consacrati e laici – capace di annunciare la bellezza, la ricchezza e la forza del Vangelo che salva».
Aprendo ufficialmente la sua prima Visita pastorale, il Patriarca Francesco ha voluto affidare, in particolare, una consegna: «Fare in modo che le collaborazioni pastorali, le parrocchie non più chiuse in se stesse e i vicariati, secondo il metodo del cenacolo che è espressione della Chiesa-comunione fondata sul battesimo, diventino soggetti evangelizzati ed evangelizzanti. E, secondo la logica del piccolo seme di senapa, crescano e diventino arbusti capaci di accogliere e dare ristoro a quanti sono oppressi, affaticati e feriti dalla vita, offrendo loro Gesù, la Sua parola, la Sua misericordia. Si tratta di passare da una Chiesa di prestazioni o servizi offerti – secondo alcuni addirittura retribuiti – ad una Chiesa di relazioni umane e sacramentali ove la collaborazione diventa corresponsabilità e comunione. Prendere su di sé tale mandato arricchisce e fa che le nostre comunità diventino terreno buono dove il seme caduto produce anche il centuplo; tutto ciò è richiesto e reso possibile dal battesimo. La Visita è, certamente, un importante punto d’arrivo ma, soprattutto, è punto di partenza; non è e non vuole essere qualcosa calato dall’alto, piuttosto è e sarà il frutto di un cammino sinodale, ossia fatto insieme agli altri, lungo la medesima via. È un mandato che dice fiducia, che incoraggia e contiene indicazioni, con qualche inevitabile correzione. E tutto in spirito di comunione ecclesiale col Vescovo. È importante, allora, vivere la comunione fraterna fondandola sul Signore, radicandosi nella carità e verità del Vangelo». E ha raccomandato di raccogliere i ripetuti inviti di Papa Francesco «ad essere comunità missionarie superando ogni forma di ripiegamento. Ci chiede di essere testimonianze gioiose, comunità in uscita che abitano le periferie non solo economiche (opere di misericordia corporali) ma anche morali (spirituali), impegnate dove manca la luce del Risorto”.
Quali specifiche priorità vi sono, allora, per il cammino della Chiesa veneziana e per la Visita pastorale da oggi in atto? «Priorità della Visita pastorale è vivere la sacramentalità della Chiesa, ossia riscoprire il rapporto con Gesù, unico Salvatore; in tal modo le collaborazioni pastorali e le parrocchie – servendosi del metodo del cenacolo – esprimono la loro profonda realtà ecclesiale. Non si tratta, quindi, di assegnare ruoli o incarichi ma di riscoprire e vivere il sacramento del battesimo; la Chiesa non è un’azienda o una fondazione, ma il grande sacramento universale di salvezza, ossia il segno salvifico di Cristo. Bisogna entrare nell’esistenza battesimale, che è vita in Cristo. Per le nostre comunità il progetto è: vivere il battesimo con gioia, con semplicità e con amore, vigilando perché tale gioia, semplicità e amore non si trasformino in “imparaticci” umani scivolando dalla gioia, semplicità e amore del Vangelo alla gioia, alla semplicità e all’amore del mondo. Nella pastorale ordinaria l’annuncio della Parola deve ricentrarsi sulla persona di Gesù. Questo vale per l’omelia domenicale, per il primo annuncio ai lontani, per la catechesi dell’iniziazione cristiana ma, anche, per la catechesi agli adulti, tutte realtà che oggi vanno ripensate nel nostro contesto sia a livello personale sia comunitario e, qui, ritorna l’importanza dei cenacoli; la Visita pastorale chiedo che segni per le nostre comunità questo cammino. Dobbiamo aiutarci reciprocamente: Vescovo, preti, diaconi, consacrati/e, fedeli sposati e laici. L’annuncio cristiano non è di tipo intellettuale e neanche psicologico e socio-politico: il Vangelo coincide, piuttosto, con Gesù e la sua Parola. L’evangelizzazione non può pensarsi, solo o prima di tutto, come questione linguistica e culturale, sarebbe una grave ingenuità o distorsione della questione della salvezza. Certo, la fede non è una lista di precetti. Dobbiamo, però, evitare che si riduca ad annuncio generico o reticente. Anche noi, come il profeta, dobbiamo superare il timore che può prendere ogni evangelizzatore e chiediamoci se, nel nostro servizio ecclesiale, siamo reticenti o addirittura silenziosi quando dovremmo avere, invece, il coraggio di testimoniare – con le parole e con la vita – Gesù. Oggi preparare e amministrare i sacramenti – battesimo, prima comunione, confermazione, matrimonio, unzione dei malati, riconciliazione e aggiungo anche la celebrazione dei funerali -, molto più che per il passato, diventa un vero e proprio gesto missionario. Attualmente, nella vita cristiana e liturgica, non si deve dare nulla per scontato; i sacramenti dell’iniziazione sono diventati vere opportunità per incontrare genitori, nonni, zii, familiari, amici e, in essi, molti “lontani”. Ci vuole più amabilità e pazienza di una volta. Più la fede della gente è fragile e traballante, più si lascia guidare da criteri umani. E così da parte di un parroco, di un diacono o di una catechista si richiede prima di tutto di saper accogliere e ascoltare con spirito fraterno, senza nascondere le bellezze e esigenze del Vangelo».
Durante la solenne concelebrazione eucaristica è stata utilizzata e recitata, inoltre, per la prima volta la speciale preghiera che il Patriarca ha composto per accompagnare questa Visita pastorale. Eccola: «Signore Gesù, mentre viviamo la grazia della Visita pastorale, donaci d’esser simili a tua Madre, la prima discepola. Come a Lei, anche a noi concedi di ripetere, sotto l’azione dello Spirito Santo, il nostro sì nella gioia della fede: solo così potremo portarti agli uomini e alle donne del nostro tempo. La Visita pastorale sia per tutti, pastori e fedeli, un tempo di conversione. Nelle nostre comunità, ogni cosa nasca dalla preghiera e si attui nella fedeltà alla verità del Vangelo; l’Eucaristia, celebrata e adorata, sempre più ci costituisca tua Chiesa. Signore Gesù, donaci un cuore capace di vedere il nostro prossimo con i tuoi occhi, Tu che sei il Figlio del Dio della Misericordia, della Giustizia e della Pace. Non permettere che rimaniamo sordi alla Tua voce, Tu che sei l’eterna Misericordia del Padre».