“Guidare e servire, con la stola e il grembiule della lavanda dei piedi”: la riflessione del Patriarca Francesco all’ordinazione sacerdotale di don Augusto e don Daniele

“Il sacerdozio ordinato è dato alla persona non per sé, ma per il bene della Chiesa universale (che si realizza nella Chiesa particolare) e dell’intera umanità. Carissimi don Augusto e don Daniele, siete chiamati a guidare l’intero popolo di Dio, al quale sarete mandati, servendolo. Sì, vi viene richiesto di guidare il popolo servendo o, se preferite, di servirlo guidandolo. Il prete è servo, non è un signore; non è padrone di nulla e di nessuno.  Guidare e servire stanno insieme; ecco perché, insieme alla stola, il prete deve sempre portare con sé il grembiule della lavanda dei piedi che non è solo un indumento liturgico che s’indossa il Giovedì santo ma ogni giorno. Gesù ci chiede di ragionare non secondo la logica del mondo, affermando che tale modo di pensare è incompatibile – ossia non sta insieme – con la logica del Vangelo. Secondo la logica del mondo o si serve o si guida. Qui, invece, le due cose stanno insieme e questo ci avvisa che il prete non può essere rinchiuso in logiche e criteri mondani”: è uno dei passaggi fondamentali dell’omelia che il Patriarca Francesco Moraglia ha pronunciato la mattina di sabato 27 giugno nella basilica veneziana della Madonna della Salute che – eccezionalmente e per consentire un afflusso ed una presenza in chiesa di sacerdoti e fedeli in linea con le disposizioni in vigore a seguito dell’attuale pandemia – ha ospitato l’ordinazione sacerdotale di don Augusto Prinsen e don Daniele Cagnati, provenienti dal Seminario Patriarcale di Venezia.

“Il dialogo col mondo è essenziale – ha proseguito il Patriarca, è parte dello stesso annuncio cristiano; deve essere però vero dialogo, come già insegnava il Papa san Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam Suam. Carissimi Augusto e Daniele, sempre più sappiate discernere il dialogo, che è sempre testimonianza ed annunzio, rispetto a ciò che alla fine è, invece e solamente, un parlare fine a se stesso. Si tratta infatti, per la Chiesa, d’essere fedele al mandato ricevuto, essere in grado di poter “dire” e poter “dare” Colui che, per la Chiesa, è il Salvatore, la gioia, la verità e l’amore, Colui che solo è in grado di dare senso alla vita di ogni uomo. Noi, nel dialogo, dobbiamo annunciare Gesù e poi saranno gli altri ad accoglierlo o no. E fa parte del dialogo anche pregare per le persone con cui si dialoga. Un dialogo, che voglia essere serio ed onesto, mira a far in modo che gli interlocutori comprendano gli uni le posizioni degli altri, trovino un’intesa o spieghino con amabilità le proprie diverse posizioni per giungere – quando possibile – ad una verità condivisa che potrà essere ripresa, rimodulata e ripensata secondo una più grande fedeltà al Vangelo e sempre più approfondita per andare insieme verso una verità – che è più grande di me e del mio interlocutore – al momento magari non ancora raggiunta ma, presto, conseguibile”. E ancora: “Cosa vuol dire, allora, vivere la novità del Vangelo? Cosa vuol dire essere guide sagge? Raccogliere l’invito alla conversione, intesa non solo come qualcosa che riguarda la vita morale ma anche quella intellettuale e spirituale. Per il discepolo non è vero, non è reale, non è possibile solo quello che appare tale, ma anche quello che lo è per la rivelazione cristiana e che si mostra tale nella Parola di Dio.  È necessario dire a noi, e a quanti a noi si rivolgono. che la conversione non è qualcosa di automatico ma cresce, si arricchisce e approfondisce con la vita, le sue prove, le sue sfide, le sue gioie”.

Il Patriarca Francesco ha, infine, così concluso la sua riflessione (il testo integrale è allegato in calce) rivolta in modo speciale a don Augusto e don Daniele: “Innalziamo insieme il nostro ringraziamento ed anche la nostra supplica alla divina Misericordia: per l’intercessione di Maria – modello di vita evangelica ed apostolica,  dalle cui mani passa ogni grazia – nel cuore di questi nostri cari sacerdoti novelli e di tutti gli altri, che portano il peso di una fatica apostolica che si prolunga negli anni, siano custoditi i grandi doni del Signore: la pace, il fervore, la dolcezza, la fraternità sacerdotale, l’ardente carità pastorale, la comunione ecclesiale, il servizio quotidiano ai poveri. Perché con la buona dottrina, offerta con carità, sia dato nutrimento al popolo di Dio; con la buona testimonianza di una vita umile, povera e disinteressata siano elargiti sostegno e conforto; con la celebrazione credente dei divini Misteri cresca il vero tempio di Dio, che non è l’edificio (che pure dobbiamo tenere in ordine e con decoro) che è la santa Chiesa: le anime, le persone, soprattutto i più fragili e i più poveri, i bambini, gli adolescenti, gli anziani… E non dimenticate nella vostra metaforica valigia la “stola” e il “grembiule” della lavanda dei piedi!”.