Di seguito e in allegato ecco l’omelia pronunciata dal Patriarca Francesco Moraglia nella S. Messa per l’apertura diocesana del Cammino sinodale celebrata domenica 17 ottobre 2021 nella basilica di S. Marco, per invocare il dono dello Spirito Santo sul percorso in atto, insieme ai rappresentanti dei sacerdoti e dei diaconi, dei religiosi e delle religiose, dei fedeli laici della Diocesi (presenti anche i rappresentanti delle altre confessioni cristiane e i rappresentanti di alcuni dei Comuni afferenti al Patriarcato).
S. Messa per l’apertura diocesana del Cammino sinodale
(Venezia / Basilica Cattedrale di San Marco, 17 ottobre 2021)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Stimate autorità, cari amici rappresentanti delle altre confessioni cristiane, carissimi presbiteri, diaconi, religiosi, religiose, accoliti, lettori, catechisti, operatori della carità, fedeli laici,
questa convocazione eucaristica, nella chiesa cattedrale che è chiesa madre della Diocesi, ci rimanda al giorno di Pentecoste e alla comunità primitiva riunita nel Cenacolo con Maria in attesa dello Spirito, il dono promesso da Gesù (cfr. At 1,12-14).
Anche noi siamo qui riuniti per invocare il dono dello Spirito Santo, autentico protagonista del Cammino sinodale che oggi si apre nella nostra Chiesa e in tutte le Chiese che sono in Italia.
Come ha sottolineato bene Papa Francesco, aprendo il XVI Sinodo della Chiesa universale, “lo Spirito ci guiderà e ci darà la grazia di andare avanti insieme, di ascoltarci reciprocamente e di avviare un discernimento nel nostro tempo, diventando solidali con le fatiche e i desideri dell’umanità… Il Sinodo non è un parlamento, il Sinodo non è un’indagine sulle opinioni; il Sinodo è un momento ecclesiale, e il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo. Se non c’è lo Spirito, non ci sarà Sinodo” (Papa Francesco, Discorso nel momento di riflessione per l’inizio del percorso sinodale, 9 ottobre 2021).
Carissimi, sarà proprio lo Spirito Santo a guidare l’ascolto e il discernimento “spirituale” ed “ecclesiale”, una “narrazione” a partire dal “vissuto” quotidiano che riguarda le comunità e la società. Tutto ciò desideriamo farlo come discepoli e discepole di Gesù guardando a Lui, l’unico Maestro e Signore; questo è il Cammino sinodale che oggi iniziamo insieme.
L’ascolto “sinodale”, di chi cammina insieme, non può prendere la forma del dibattito fine a se stesso, dove tutti vogliono parlare ed essere ascoltati ma sono poco inclini ad ascoltare. Proprio per questo chiedo che gli incontri sinodali inizino sempre con un tempo dedicato alla preghiera – ascolto della Parola di Dio e adorazione eucaristica -, un tempo che sia parte costitutiva del dialogo e dell’ascolto fraterno. Il rischio, già rilevato dal Papa, è quello di “scadere” in una sorta di confronto parlamentare, un’indagine sulle opinioni, un talk show televisivo in salsa ecclesiastica.
Soffermiamoci ora sull’odierna liturgia della Parola, riprendendo le indicazioni del Santo Padre: “La Parola ci apre al discernimento e lo illumina. Essa orienta il Sinodo perché non sia una “convention” ecclesiale, un convegno di studi o un congresso politico (…) ma un evento di grazia, un processo di guarigione condotto dallo Spirito” (Papa Francesco, Omelia nella Messa per l’apertura del Sinodo sulla sinodalità, 10 ottobre 2021).
La strada è una “icona” che appare spesso nei vangeli. I protagonisti sono di volta in volta gli apostoli, i discepoli, la folla. La direzione è sempre Gerusalemme “non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme” (Lc 13,33) – e mentre Gesù cammina viene interpellato; la strada è luogo d’ascolto, di dialogo, di conversione. Questo vale anche per noi oggi: interpelliamo Gesù, lasciamo che ci interpelli, ascolti i nostri discorsi e li purifichi.
Nel Vangelo di domenica scorsa – lo ricordiamo – Gesù accoglie con simpatia il giovane che gli va incontro: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (Mc 10,17). Così si esprime il giovane ricco e allora, Gesù, fissatolo, gli domanda di liberarsi del proprio “io”: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” (Mc 10,21).
Nel Vangelo odierno, invece, i protagonisti sono due apostoli, i figli di Zebedeo, che chiedono a Gesù d’essere ascoltati. Come l’episodio del giovane ricco anche questo rivela l’animo di chi parla: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra” (Mc 10,37).
La domanda dice come si possa essere vicini a Gesù (apostoli) ma non in sintonia col suo pensiero. E la reazione indignata degli altri mostra che tutti ragionano allo stesso modo; gli altri vedono in Giacomo e Giovanni due “concorrenti”.
Così, anche ai figli di Zebedeo, come al giovane ricco, Gesù svela i Suoi “segreti”: il progetto di salvezza del Padre, il suo essere Figlio di Dio, obbediente fino alla croce e, nello stesso tempo, il Suo essere “Figlio dell’uomo” che “non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).
Gesù è Colui che compie le parole del profeta Isaia (prima lettura): “…il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità” (Is 53,11).
Gesù sale a Gerusalemme contestando la logica del mondo e, innanzitutto, la ricerca dei “primi posti”. La sapienza di Dio – seconda lettura (1Cor 2,1-13) – non è la sapienza degli uomini; è la sapienza scomoda ma splendida della croce, l’ora di Gesù.
Tornando al Vangelo, Gesù “ascolta” i suoi e li “interpella”: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?” (Mc 10,38). La risposta è immediata: “Lo possiamo” (Mc 10.39). Ma i racconti della passione li smentiranno drasticamente e ci diranno come Giacomo e Giovanni non si rendevano ancora conto di cosa comportasse essere discepoli e apostoli del Signore.
Queste sono le stesse parole che Gesù rivolge a noi sul nostro modo d’esser Chiesa. “In questi giorni – sono ancora le parole di papa Francesco – Gesù ci chiama, come fece con l’uomo ricco del Vangelo, a svuotarci, a liberarci di ciò che è mondano, e anche delle nostre chiusure e dei nostri modelli pastorali ripetitivi; a interrogarci su cosa ci vuole dire Dio in questo tempo e verso quale direzione vuole condurci” (Papa Francesco, Omelia nella Messa per l’apertura del Sinodo sulla sinodalità, 10 ottobre 2021).
Non possiamo poiché siamo discepoli del Signore – e spesso, invece, lo facciamo – pensare e vivere come il mondo vorrebbe; la Chiesa non è un progetto umano che si disfa e rifà a piacere. Dinanzi a noi c’è il Signore Gesù che ci indica se stesso, ascoltiamolo e lasciamoci interpellare da Lui.
Il Santo Padre, nell’aprire il percorso sinodale, ne ha indicato i rischi – formalismo, intellettualismo e immobilismo – ma anche le opportunità. ”Viviamo – sono sempre parole di Francesco – questa occasione come un tempo di grazia che, nella gioia del Vangelo, ci permetta di cogliere almeno tre opportunità. La prima è quella di incamminarci non occasionalmente ma strutturalmente verso una Chiesa sinodale: un luogo aperto, dove tutti si sentano a casa e possano partecipare. Il Sinodo ci offre poi l’opportunità di diventare Chiesa dell’ascolto: prenderci una pausa dai nostri ritmi, di arrestare le nostre ansie pastorali per fermarci ad ascoltare. Ascoltare lo Spirito nell’adorazione e nella preghiera… Infine, abbiamo l’opportunità di diventare una Chiesa della vicinanza. Torniamo sempre allo stile di Dio: lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Dio sempre ha operato così” (Papa Francesco, Discorso nel momento di riflessione per l’inizio del percorso sinodale, 9 ottobre 2021).
Cari amici, il Vangelo di oggi ci ricorda il rischio in cui si può incorrere nel Cammino sinodale: ricercare i primi posti vuol dire dominare gli altri imponendo la propria visione con tatticismi e strategie, così da sopravanzarli e come avviene negli ambienti mondani della comunicazione, della cultura, della politica, dell’economia, della finanza; ognuno di questi soggetti si dà gloria reciprocamente.
Il percorso sinodale, invece, vuole essere un cammino aperto per chi è disposto ad assumerne il metodo più volte richiamato dal Papa. Bisogna però imparare ad ascoltarsi, con carità e verità, secondo la logica di Dio.
Il primo posto, nella Chiesa, è quello di Gesù Crocifisso che si pone come la “via” (cfr. Gv 14,6). Ora, la “via” può essere intesa sia in quanto Gesù è la “via” che conduce alla “verità” sia in quanto è la stessa “verità” che, come “via”, conduce alla meta. Al discepolo, quindi, il “compimento” è già dato mentre è ancora per strada lungo il cammino.
Bisogna ascoltare di più Gesù, riscoprendo la forza della preghiera di adorazione, del silenzio e dell’ascolto dei fratelli. Solamente così, con questo sguardo “diverso” che viene dal Signore, potremo rendere più viva la Chiesa, rendendola semplicemente “più” Chiesa poiché – come ricorda Yves Congar – “non bisogna fare un’altra Chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa” (Yves Congar, Vera e falsa riforma nella Chiesa, Milano 1994, 193). Ovvero, una Chiesa più aderente al disegno originario di Gesù.
Si tratta di essere “più” Chiesa, ossia essere più aperti alla perenne novità del Vangelo e ai segni dei tempi, ben consapevoli che non sono la pastorale e la teologia a rinnovare la Chiesa e a salvare il mondo ma la santità che è, semplicemente, il riverbero di Cristo in noi. Ecco perché la nostra Chiesa, in questi giorni, gioisce in modo particolare e il motivo è che un suo antico pastore, il Patriarca Albino Luciani (poi Papa Giovanni Paolo I), sarà presto ufficialmente inscritto nell’elenco dei beati della Chiesa, un libro che non patisce la consunzione del tempo.
Solo il Vangelo rende liberi e, quindi, per i discepoli inscrivere Gesù nella propria vita significa svincolarsi da progetti, linguaggi e stili di vita che appartengono o al “politicamente corretto” (che ha un suo catechismo e dei dogmi impliciti ed espliciti) o al “si è sempre fatto così”. Il Papa – lo ribadiamo – ha affermato la necessità di “liberarci di ciò che è mondano, e anche delle nostre chiusure e dei nostri modelli pastorali ripetitivi” (Papa Francesco, Omelia nella Messa per l’apertura del Sinodo sulla sinodalità, 10 ottobre 2021).
Apriamo a livello diocesano questa prima fase del Sinodo universale e del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia impegnandoci nell’ascolto e nella conversione spirituale e pastorale e – dove fosse il caso – correggendo gli stili di vita e ripensando le attività ecclesiali e quanto non è in sintonia con ciò che lo Spirito suggerisce.
I Vangeli della Pasqua ci ricordano che, il giorno dopo il sabato, Gesù percorre la strada con due discepoli che stanno recandosi ad Emmaus e, camminando lungo la via con loro, li conduce alla scoperta della verità su di Lui, sulla salvezza e sui discepoli. E tutto ciò avviene attraverso le Sacre Scritture e l’Eucaristia (cfr. Lc 24,13-35).
In quei due uomini vi fu una vera conversione del cuore e qualcosa del genere era già accaduto al pozzo di Sicar; là Gesù aveva incontrato una donna di Samaria che, in un lungo e coinvolgente momento di dialogo e ascolto, era poi diventata messaggera del Vangelo (cfr. Gv 4, 5-42).
Nell’Antico Testamento il profeta Giona viene inviato da Dio a predicare la conversione alla città di Ninive ma, in realtà, è proprio Giona che ha bisogno di conversione. Infatti, mentre la città si converte e fa penitenza, Giona rimane sospeso e arroccato nelle sue convinzioni e ai suoi pregiudizi.
Il libro si chiude con una domanda che evidenzia una situazione non ancora definita: Giona è arrabbiato con Dio e dispiaciuto della conversione dei Niniviti; è prigioniero della sua visione incapace di accogliere chi si converte perché non appartiene a Israele ma a una città pagana.
Giona è sì l’inviato di Dio, ma è anche il primo che deve convertirsi. Ed è quanto viene chiesto a ciascuno di noi e alle nostre comunità: porsi in ascolto di Gesù e tra di noi per essere capaci, attraverso la nostra personale conversione, di una rinnovata missionarietà. Il Sinodo della Chiesa universale ha proprio questo tema: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”.
Solo la santità permette di inscrivere il Signore Gesù nella nostra vita e di allargare l’orizzonte del nostro cuore; è solo attraverso l’ascolto, la narrazione e la conversione – ricordiamo bene questo trinomio – che possiamo cogliere la grazia che il Cammino sinodale offre a ciascuno di noi e a tutte le Chiese che sono in Italia.
Siamo chiamati a diventare “più” Chiesa e ad assumere i “sentimenti” di Gesù, come già ci spronava il Santo Padre nel discorso tenuto nel 2015 al V Convegno della Chiesa Italiana a Firenze.
Lo faremo rinnovando con autentica fede “lo sguardo su Cristo, sul suo cuore trafitto, e a vivere la sacramentalità della Chiesa che – come insegna il Concilio Vaticano II – non vive di luce propria ma riflette quella del suo Signore. Sia nostro impegno assumere sempre più i sentimenti di Gesù, giungere con gioia al cuore della nostra vocazione ecclesiale ed essere, quindi, all’altezza della nostra missione” (Francesco Moraglia, Lettera pastorale “Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù”, Marcianum Press 2016, pag. 6).
Aiuti tutti noi – vescovo, presbiteri, diaconi, religiosi, religiose, accoliti, lettori, catechisti, operatori della carità, fedeli laici – in questo cammino Maria, la Madre di Gesù, che con i discepoli attende nel Cenacolo il dono dello Spirito Santo (cfr. At 1,14). Buon Cammino sinodale a tutti!