A S. Marco la Messa di suffragio per Benedetto XVI. Il Patriarca Francesco ne ricorda “la mitezza e la forza, la fede intelligente, esistenziale e teologale insieme”

Venezia, 3 gennaio 2023 

 

Questo pomeriggio, alle ore 15.30, il Patriarca Francesco Moraglia ha presieduto la Santa Messa presso la basilica di San Marco Evangelista a Venezia in suffragio del Papa emerito Benedetto XVI. Di seguito ecco il testo dell’omelia da lui pronunciata in tale occasione.

 

 

S. Messa in suffragio del Papa emerito Benedetto XVI

(Venezia / Basilica Cattedrale di S. Marco Evangelista, 3 gennaio 2023)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

oggi siamo riuniti come Chiesa che è in Venezia per pregare in suffragio del Papa emerito Benedetto XVI, figura luminosa nella sua mitezza, umiltà e forza.

Siamo nel contesto dell’Eucaristia che è, per eccellenza, l’atto di lode, ringraziamento e adorazione a Dio per l’opera che, in Gesù Cristo, attraverso lo Spirito Santo, ha compiuto e continua a compiere nella storia della Chiesa e del mondo. Ed oggi questo atto di culto diventa il gesto di gratitudine e riconoscenza per il prezioso e autorevole servizio reso da Joseph Ratzinger nella sua lunga vita di uomo, teologo, sacerdote, vescovo e papa.

Il Vangelo di oggi, ancora, come siamo, immersi nel tempo del Natale, ci presenta la figura di Giovanni Battista il quale vede Gesù e lo indica ai suoi: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29). Poi, aggiunge: “E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio” (Gv 1,34).

“Vedere” e indicare Gesù, fare posto a Lui come unico e vero Salvatore, è stato il filo rosso che ha accompagnato la vita di Benedetto XVI. E, forse, proprio questo ha tanto colpito il popolo santo di Dio che, in queste ore, sta facendo la fila per rendere omaggio alla sua salma sorprendendo molti per il numero delle persone e la partecipazione spirituale.

Ma quali sono stati gli elementi che hanno caratterizzato la vita e il ministero di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI? Il primo elemento che emerge è questo: ha saputo tenere insieme nel magistero, nell’azione pastorale e negli studi teologici ciò che appartiene all’essenza della fede e alla vita cristiana. Ha, insomma, sempre valorizzato due virtù che è difficili far coabitare nella stessa persona e che pochi incarnano: la mitezza, che può cadere nella fragilità, e la fortezza, che, invece, può tramutarsi in imperio. In lui, invece, mitezza e forza si sono unite, quasi fuse, attraverso l’intelligenza e l’autorevolezza della sua persona.

È stato, quindi, fedele all’invito della prima lettera di san Pietro, ossia esser “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (1Pt 3,15-16).

E, ancora, ha saputo agire con quella libertà che dovrebbe essere di ogni cristiano e alludo al gesto con cui ha concluso il suo pontificato: la rinuncia al mandato petrino e la scelta di ritirarsi, come un semplice monaco, nel cuore della Chiesa a pregare per la Chiesa.

Il motto che accompagnava il suo stemma di arcivescovo e cardinale era “Cooperatores Veritatis” (“Cooperatori della Verità”); a questa “linea” Joseph Ratzinger è sempre stato fedele.

Quale è, dunque, l’eredità spirituale che il Papa emerito lascia alla Chiesa? Ci ha lasciato un esempio limpido e chiaro di fede “testimoniata” là dove, di volta in volta, era chiamato ad esercitare il ministero sacerdotale ai diversi livelli, fino ad arrivare a quello più alto, di vescovo di Roma e pontefice della Chiesa universale.

Benedetto XVI ha saputo esprimere una fede “intelligente”, capace di condurre a pienezza la nuova umanità che nasce e fiorisce nel sacramento del battesimo, ovvero la vita in Cristo risorto che attraversa tutte le dimensioni dell’umano riconoscendo e potenziando logos, nomos, pathos ed ethos, ossia ragione, legge, affetti, etica, mai disattendendo il retto rapporto tra giustizia e carità così ben delineato nella parte dell’enciclica “Deus caritas est” dedicata alla dottrina sociale.

Legittimamente, e con fondate basi, illustri esponenti della Chiesa (e non solo) ne hanno parlato come di un autentico e autorevole “dottore della Chiesa”, riconoscendo il grande valore dell’apporto culturale e teologico che Joseph Ratzinger ha saputo fornire sin da quando, giovanissimo teologo, era assistente e prezioso consigliere dei Padri che parteciparono al Concilio Vaticano II, dapprima come consulente del cardinale Joseph Frings, arcivescovo di Colonia, e in seguito – nominato da Papa Giovanni XXIII – nel novero dei periti conciliari.

La sua riflessione si è caratterizzata come un “applicarsi” alla modernità senza mai “adattarsi” ad essa, valorizzando sempre il binomio fede-ragione; una fede amica della ragione e una ragione aperta alla fede, che si “purificano” a vicenda, così da operare concordemente nel rispetto delle proprie specificità (e qui il richiamo va ancora a “Deus caritas est”).

Ratzinger pensava e viveva la fede cristiana come una realtà che, nello stesso tempo, era “esistenziale” e “teologale”, che mai separava l’anima dal corpo e l’intelligenza dalla prassi e che era, per quanto possibile, l’adeguata risposta alla logica del Dio logos e agape. Sì, del Dio conosciuto come ragione e amore.

Il contributo al dialogo con la modernità in un’epoca, come la nostra, segnata dal “pensiero debole” è stato fondamentale e, soprattutto, senza reticenze, timori, complessi d’inferiorità e portato avanti con determinazione e coraggio, sapendo anche – quando era il caso – prendere chiaramente le distanze dalla dittatura del relativismo e del politicamente corretto.

Mi è stato chiesto, in questi giorni, che cosa suggerisce il magistero (e la figura) di Benedetto XVI ai fedeli del nostro Patriarcato. Rispondo auspicando che la Chiesa che è in Venezia torni a meditare, con empatia, le preziose riflessioni che Benedetto XVI le offrì in occasione della visita pastorale del 2011 di cui molti conservano tuttora un bel ricordo.

Gli spunti che ci ha lasciato sono molti ed ora mi limito a richiamare solo un caloroso passaggio che fece proprio qui, in questa basilica di San Marco, davanti ai rappresentanti della Chiesa diocesana: “Amata Chiesa che sei in Venezia… vai oltre! Supera e aiuta l’uomo di oggi a superare gli ostacoli dell’individualismo, del relativismo; non lasciarti mai trarre verso il basso dalle mancanze che possono segnare le comunità cristiane. Sforzati di vedere da vicino la persona di Cristo… non abbiate paura di andare controcorrente per incontrare Gesù, di puntare verso l’alto per incrociare il suo sguardo”. E ai fedeli laici, in particolare, disse: “Sappiate dire sì a Cristo che vi chiama ad essere suoi discepoli, ad essere santi… La santità non vuol dire fare cose straordinarie, ma seguire ogni giorno la volontà di Dio, vivere veramente bene la propria vocazione, con l’aiuto della preghiera, della Parola di Dio, dei Sacramenti e con lo sforzo quotidiano della coerenza. Sì, ci vogliono fedeli laici affascinati dall’ideale della “santità”, per costruire una società degna dell’uomo, una civiltà dell’amore” (Benedetto XVI, Discorso all’Assemblea di chiusura della Visita pastorale, Venezia / Basilica di S. Marco 8 maggio 2011).

Vi invito a soffermarvi sul magnifico testamento spirituale che Joseph Ratzinger – Benedetto XVI ha lasciato. Lo aveva redatto (e mai più cambiato) il 29 agosto del 2006; è il giorno in cui la liturgia della Chiesa fa memoria del martirio di san Giovanni Battista, il precursore del Signore, colui che Gesù definisce il più grande tra i nati di donna (cfr. Mt 11,11) e che per amore della verità e per averla testimoniata e difesa, senza compromessi e timori, pagò con la vita avendo “urtato” gli interessi dei poteri forti del tempo che, allora, rispondevano  al nome di Erode e di chi era organico al suo sistema di potere, alludo ad Erodiade e alla figlia di lei Salomè.

In questo testamento spirituale colpisce l’intenso legame con la sua terra d’origine, il ricordo riconoscente e grato a Dio e alla sua famiglia, come pure il suo sentirsi, in qualche modo, romano e italiano, visto che da tantissimi anni l’Italia era la sua “seconda patria”. E c’è poi – e desidero sottolinearla – quell’accorata esortazione rivolta a tutta la Chiesa: “Rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere!”. È una parola detta per noi e spero sia un percorso per tutti; è la firma che pone sull’intera sua vita, ad un tempo mite e forte. Ascoltiamo, allora, la lettura del suo testamento spirituale:

 

29 agosto 2006

Il mio testamento spirituale

Se in quest’ora tarda della mia vita guardo indietro ai decenni che ho percorso, per prima cosa vedo quante ragioni abbia per ringraziare. Ringrazio prima di ogni altro Dio stesso, il dispensatore di ogni buon dono, che mi ha donato la vita e mi ha guidato attraverso vari momenti di confusione; rialzandomi sempre ogni volta che incominciavo a scivolare e donandomi sempre di nuovo la luce del suo volto. Retrospettivamente vedo e capisco che anche i tratti bui e faticosi di questo cammino sono stati per la mia salvezza e che proprio in essi Egli mi ha guidato bene.

Ringrazio i miei genitori, che mi hanno donato la vita in un tempo difficile e che, a costo di grandi sacrifici, con il loro amore mi hanno preparato una magnifica dimora che, come chiara luce, illumina tutti i miei giorni fino a oggi. La lucida fede di mio padre ha insegnato a noi figli a credere, e come segnavia è stata sempre salda in mezzo a tutte le mie acquisizioni scientifiche; la profonda devozione e la grande bontà di mia madre rappresentano un’eredità per la quale non potrò mai ringraziare abbastanza. Mia sorella mi ha assistito per decenni disinteressatamente e con affettuosa premura; mio fratello, con la lucidità dei suoi giudizi, la sua vigorosa risolutezza e la serenità del cuore, mi ha sempre spianato il cammino; senza questo suo continuo precedermi e accompagnarmi non avrei potuto trovare la via giusta.

Di cuore ringrazio Dio per i tanti amici, uomini e donne, che Egli mi ha sempre posto a fianco; per i collaboratori in tutte le tappe del mio cammino; per i maestri e gli allievi che Egli mi ha dato. Tutti li affido grato alla Sua bontà. E voglio ringraziare il Signore per la mia bella patria nelle Prealpi bavaresi, nella quale sempre ho visto trasparire lo splendore del Creatore stesso. Ringrazio la gente della mia patria perché in loro ho potuto sempre di nuovo sperimentare la bellezza della fede. Prego affinché la nostra terra resti una terra di fede e vi prego, cari compatrioti: non lasciatevi distogliere dalla fede. E finalmente ringrazio Dio per tutto il bello che ho potuto sperimentare in tutte le tappe del mio cammino, specialmente però a Roma e in Italia che è diventata la mia seconda patria.

A tutti quelli a cui abbia in qualche modo fatto torto, chiedo di cuore perdono.

Quello che prima ho detto ai miei compatrioti, lo dico ora a tutti quelli che nella Chiesa sono stati affidati al mio servizio: rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere! Spesso sembra che la scienza – le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro – siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica. Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza; così come, d’altronde, è nel dialogo con le scienze naturali che anche la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità. Sono ormai sessant’anni che accompagno il cammino della Teologia, in particolare delle Scienze bibliche, e con il susseguirsi delle diverse generazioni ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista. Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede. Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita – e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo.

Infine, chiedo umilmente: pregate per me, così che il Signore, nonostante tutti i miei peccati e insufficienze, mi accolga nelle dimore eterne. A tutti quelli che mi sono affidati, giorno per giorno va di cuore la mia preghiera.

Benedictus PP XVI

 

Lo affidiamo con fiducia e con affetto all’abbraccio del Padre, certi che dopo aver celebrato, con profondità e intensità, la divina liturgia della Chiesa in questa terra, ora la potrà vivere, in pienezza, nella gioia del cielo.