Papa Pio X: peregrinatio corporis (Venezia, 18-22 ottobre 2023)

Nel 120° anniversario dell’elezione a papa del Patriarca Giuseppe Sarto, le Diocesi di Treviso, Padova e Venezia desiderano onorare tale ricorrenza riscoprendo il dono di santità che San Pio X è per la Chiesa attraverso una peregrinatio nei principali luoghi della formazione e dell’esercizio del ministero presbiterale ed episcopale.

Nel tempo del cammino sinodale il pellegrinaggio del corpo di San Pio X intende contribuire a promuove un clima di preghiera e comunione per la crescita spirituale del Popolo di Dio nel Patriarcato di Venezia.

18-20 ottobre: tutti gli appuntamenti

BASILICA "S. MARIA DELLA SALUTE" - VENEZIA

Venerdì 20 ottobre ore 18:00 | Santa Messa solenne presieduta dal Patriarca

PRENOTA IL TUO PELLEGRINAGGIO

21-22 ottobre: tutti gli appuntamenti

PARROCCHIA "S. PIO X" - MARGHERA

Domenica 22 ottobre ore 17:00 | Santa Messa solenne presieduta dal Patriarca

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“O vivo o morto tornerò a Venezia”: queste parole, pronunciate nel luglio 1903 dal Patriarca Giuseppe Sarto alla sua partenza da Venezia per il conclave che lo avrebbe eletto Papa con il nome di Pio X, ritrovano oggi la loro viva attualità. 

Dopo il primo pellegrinaggio, avvenuto nel 1959 e tuttora ben presente nella memoria dei veneziani, le spoglie di san Pio X – Patriarca di Venezia dal 1893 al 1903, Papa dal 1903 al 1914 e proclamato santo nel 1954 – saranno, infatti, nuovamente accolte e presenti nel territorio del Patriarcato dal 18 al 22 ottobre 2023 in occasione dei 120 anni dall’elezione di Giuseppe Sarto al soglio pontificio.

Il corteo acqueo in Canal Grande con le remiere per l’arrivo dell’urna di Pio X nel 1959


INDULGENZA PLENARIA

La Santa Sede ha concesso l'indulgenza plenaria ai fedeli che parteciperanno alle celebrazioni della peregrinatio corporis di San Pio X durante le soste di Venezia e Marghera.

Il decreto giunto al Patriarcato dalla Penitenzieria Apostolica precisa le modalità in cui si può ottenere l'indulgenza plenaria.

I fedeli che parteciperanno devotamente ad uno dei momenti di preghiera programmati, così come alle celebrazioni eucaristiche, vivranno un profondo distacco dal peccato, si confesseranno delle loro colpe, parteciperanno alla Comunione Eucaristica e pregheranno per le intenzioni del Santo Padre potranno ottenere l'indulgenza plenaria affidandosi all'intercessione di San Pio X.

Questo dono è esteso anche tutti gli infermi e ai malati che pregheranno con spirito di raccoglimento e pietà davanti ad una immagine di Pio X pur rimanendo in casa.

Il Patriarca Francesco ha anche ricevuto la possibilità di impartire la benedizione apostolica con indulgenza plenaria al termine delle Messe principali della peregrinatio, che si celebreranno venerdì 20 ottobre alle 18 presso la Basilica della Salute e domenica 22 ottobre alle 17 presso la parrocchia di San Pio X di Marghera. I fedeli impossibilitati ad essere presenti ad una di queste due celebrazioni per ragionevoli motivi di impedimento ma che saranno raggiunti e resi partecipi attraverso i mezzi di comunicazione sociale potranno parimenti ottenere l'indulgenza plenaria.

Anche coloro che sosteranno per un tempo prolungato in queste in Basilica della Salute o a San Pio X di Marghera durante l'ostensione delle sacre reliquie del Santo Papa veneto, e che pregheranno il Credo, il Padre Nostro, una preghiera per le intenzioni del Papa ed infine si affideranno all'intercessione della Beata Vergine Maria e di San Pio X sarà concessa parimenti l'indulgenza plenaria.

Sarà garantita la presenza di sacerdoti che possano accogliere i penitenti per le confessioni sia nella Basilica di Santa Maria della Salute che a San Pio X di Marghera nei giorni della peregrinatio.

Il decreto della Santa Sede precisa che l'indulgenza può essere ottenuta per se stessi o applicata in suffragio per i defunti del Purgatorio.


LA CARTOLINA FILATELICA CON FRANCOBOLLO COMMEMORATIVO

Il Circolo Filatelico della Riviera del Brenta ha realizzato e predisposto con Poste Italiane una cartolina filatelica che sarà acquistabile presso la portineria del Seminario Patriarcale e presso la parrocchia di San Pio X di Marghera: la cartolina riporta un francobollo delle Poste Italiane dedicato al Santo con timbro del 18 ottobre acquistabile con un piccolo contributo per coprire le spese. Gli orari e le modalità saranno precisati sul sito del Patriarcato di Venezia.

Urna di San Pio X a San Marco nel 1959

Chi è stato Pio X? Perché è santo? Perché lo sentiamo particolarmente “nostro”? Vogliamo provare a tratteggiare un piccolo profilo biografico che sia utile ad accostarsi alla sua testimonianza di fede.

Procediamo anzitutto dando voce ad alcuni brevi giudizi sulla sua vita e il suo operato da parte di alcuni suoi contemporanei o da parte di figure significative della storia della Chiesa.

Iniziamo con un santo molto popolare e conosciuto, particolarmente in Italia, Padre Pio da Pietrelcina il quale si è sbilanciato col dire che: «San Pio X è il più grande fra tutti quelli che si sono seduti sul Trono di Pietro». Altro parere interessante quello del barone tedesco Anton von Pastor, un grande intenditore di storia ecclesiastica, che aveva dedicato tutta la vita allo studio delle vite dei papi (da cui nacque anche una famosa e ricca serie di volumi): «Papa Pio X era uno dei pochi uomini eletti con una personalità irresistibile. Tutti erano commossi dalla sua assoluta semplicità e bontà angelica, ma era qualcosa di più che lo faceva entrare in tutti i cuori; e quel "qualcosa" è meglio definito osservando che tutti quelli che sono stati ammessi alla sua presenza sono usciti con la profonda convinzione di essere stati di fronte a un santo, e più ne sappiamo di lui, più è forte questa convinzione».

Il famoso romanziere francese Paul Bourget scriveva invece: «Pio X è il Genio che ha fatto convergere tutti gli sforzi del suo amore e della sua intelligenza a restaurare con meravigliosa efficacia, quel capolavoro di architettura religiosa, morale e sociale che si chiama Chiesa Cattolica».

Un altro santo italiano, che gli fu particolarmente amico, San Luigi Orione, riporta i pregiudizi contro di lui da parte degli oppositori, che facevano leva sulle umili origini: «Colui che per ispregio fu proverbiato dai nemici della chiesa ... come “pretucolo di campagna” appare ormai uno de' più grandi e santi Papi che lo Spirito Santo ha posto sulla sedia di Pietro».

Riportiamo anche le parole di un papa che da giovane prete nella Curia Romana ebbe a lavorare con lui; divenne molti anni dopo il suo terzo successore, prendendone anche il nome: è Eugenio Pacelli, diventato Pio XII: «Col suo sguardo d’aquila più perspicace e più sicuro che la veduta corta di miopi ragionatori […] illuminato dalla chiarezza della verità eterna, guidato da una coscienza delicata, lucida, di rigida dirittura è un uomo, un pontefice, un santo di tale elevatezza che difficilmente troverà lo storico che sappia abbracciare tutta insieme la sua figura e in pari tempo i suoi molteplici aspetti».

Infine le parole di san Giovanni XXIII, anche lui patriarca di Venezia prima del pontificato (come sarà anche per Giovanni Paolo I): «Perché il popolo invoca questo Santo? Perché lo cerca? Perché lo ama? La risposta è facile. Ci fu in lui congiunzione mirabile di quelle doti che sono proprie e caratteristiche delle singole classi sociali. Limpido come lo sono i figli della campagna. Franco e robusto come gli operai delle nostre officine. Paziente come gli uomini del mare. Misurato come il pastore del gregge. Nobile e austero come i discendenti di illustri famiglie. Affabile  e giusto come un maestro, un magistrato. Buono e generoso come si immaginano e sono i santi».

Già da questi giudizi emerge un piccolo profilo di quel Patriarca che alla stazione di Venezia, quando dovette partire per andare a Roma al Conclave (in cui sarebbe stato eletto quale successore di Leone XIII), aveva promesso: “Vivo o morto, tornerò”. Tornò, ma da santo, una prima volta nel 1959 per volere di papa Giovanni XXIII.

Giuseppe Melchiorre Sarto nacque a Riese, nella diocesi di Treviso, il 2 giugno 1835. Il padre era “cursore” per l'amministrazione austriaca del Lombardo-Veneto, la madre era sarta. La famiglia era povera, ma viveva in una dignitosa tranquillità. Tuttavia non c’erano le risorse per far studirare il promettente Giuseppe, che dava giovanissimo segni di vocazione. Ma il Patriarca di Venezia di allora, il cardinale Jacopo Monico, era originario di Riese e, grazie alla mediazione del parroco, gli ottenne una borsa di studio presso il Seminario vescovile di Padova.

Giuseppe venne ordinato sacerdote nel duomo di Castelfranco Veneto il 18 settembre 1858 da un altro santo, il vescovo di Treviso Giovanni Antonio Farina. Dopo l’ordinazione sacerdotale fu inviato come cappellano nella parrocchia di Tombolo, dove rimase per nove anni; per quasi altri nove ani svolse il ministero di parroco a Salzano. In questa parrocchia della diocesi di Treviso, ma in provincia di Venezia, si dedicò con cura al cura del catechismo cercando modalità semplici e dirette per annunciare il Vangelo senza però deformare i contenuti della fede. In quegli stessi anni si dimostrerà essere eroico nell’affrontare l’epidemia di colera e le molte difficoltà materiali dei fedeli a lui affidati.

Giuseppe Sarto cardinale, Patriarca di Venezia

Il veneziano mons. Zinelli, vescovo di Treviso, lo nominò poi cancelliere vescovile, canonico della cattedrale e, nello stesso tempo, direttore spirituale del Seminario, dove dimostrò di avere sapienza di cuore e profondità nella conoscenza delle Scritture. Nel 1884 venne eletto vescovo della diocesi di Mantova. Negli anni del ministero episcopale mantovano diede vita ad una serie di iniziative che costituiscono una anticipazione del suo pontificato e che realizzerà anche da Patriarca di Venezia: una cura appassionata della vita del Seminario, la riscoperta della vita sacramentale nei cristiani, l’incentivare la prassi dell’Eucarestia quotidiana, la restaurazione del canto liturgico e un rinnovamento dell’iniziazione cristiana. Nel 1888 convocò il Sinodo diocesano. Il 15 giugno 1893 fu chiamato da Leone XIII alla sede patriarcale di Venezia, ma il nuovo Regno di Italia ne ostacolò l’ingresso per 18 mesi in quanto la nomina non fu gradita. Già il 12 giugno 1893 Papa Leone XIII lo aveva creato cardinale: il suo anello cardinalizio è custodito nella Basilica della Salute.

Il 3 agosto 1903 fu eletto alla cattedra di Pietro, assumendo il nome di Pio X (scelse volutamente questo nome in ricordo di quei papi che negli ultimi cento anni di vita della Chiesa avevano molto sofferto: comprese che anche il suo pontificato sarebbe stato un calvario). I primi mesi da Papa volle continuare a reggere la diocesi di Venezia ed anche il Seminario Patriarcale di cui aveva assunto ad interim l’incarico di Rettore. Come suo successore a San Marco scelse, in modo inaspettato e rivoluzionario, un parroco veneziano: Aristide Cavallari, che reggeva la parrocchia di San Pietro di Castello.

Il ministero petrino di San Pio X è stato segnato da sfide e problematiche continue: la lotta per la libertà della Chiesa in Francia contro i soprusi dei governi anticlericali, l’impegno per sostenere l’apostolato laicale e la diffusione dell’Azione Cattolica, la cura per la formazione sacerdotale e lo sforzo per correggere le devianze delle correnti teologiche moderniste sono solo alcuni dei temi che dovette affrontare. Il suo nome è legato però anche al Motu proprio “Tra le sollecitudini” (1903) con il quale volle far riscoprire i tesori della grande musica sacra e riaffermò il principio della partecipazione attiva dei fedeli alle celebrazioni liturgiche. Sarà l’autore di un catechismo che, per quei tempi, costituiva una evoluzione significativa dei metodi didattici ed esponeva in modo più accessibile i contenuti della fede. Difese con passione ed energia la dottrina cattolica ed è stato il Papa che ha incoraggiato la  partecipazione alla Comunione eucaristica anche dei bambini, per non dimenticare l’inizio della stesura del nuovo Codice di Diritto Canonico ed il superamento del divieto ai cattolici all’impegno politico, che dopo la fine dello Stato Pontificio aveva segnato un estraniamento di molti cristiani dal mondo delle istituzioni civili. Non ultimo l’incessante e drammatico impegno diplomatico per scongiurare il primo conflitto mondiale: questo sforzo lo consumò fino al letto di morte, avendo soprattutto negli ultimi mesi di vita un doloroso rammarico per il precipitare degli eventi; ripeteva spesso: “Verrà il guerrone!”.

Morì il 20 agosto 1914.

SAN PIO X, PATRIARCA DI VENEZIA

(tratto da Silvio Tramontin, «Santi e beati vissuti a Venezia», "Biblioteca Agiografica Veneziana 5", Venezia, Studium Cattolico Veneziano, 1971, pp. 169-186)

Quando dopo parecchi mesi dalla sua nomina, appianata la questione dell'exaequatur regio, il card. Giuseppe Sarto, prendeva finalmente possesso della cattedra patriarcale, il 24 novembre 1894, nella sua prima omelia in San Marco così si presentò ai veneziani: "Io, dunque, vi amo: da questo momento vi amo tutti. Vi amo, ma non di un amore terreno, ma di un amore forte e celeste, che mira specialmente a promuovere il bene delle anime vostre. Anche se non vi ho mai veduto, tutti io vi porto già nel mio cuore. Parroci, clero, magistrati, nobili, facoltosi, figli del popolo e poverelli, voi siete la mia famiglia; voi siete il mio cuore ed il mio amore e da voi altro non desidero che corrispondenza di affetto. Io bramo che voi, amandomi, possiate dire con tutta la sincerità dell'anima: 'Il nostro Patriarca è un uomo di rette intenzioni, il quale non vuole mezzi termini, tiene alta la bandiera incontaminata del Vicario di Cristo e non mira ad altro che a sostenere e a difendere la verità e a fare del bene'. Che se un giorno io dovessi venir meno a questo programma che ora qui solennemente vi esprimo, Dio piuttosto mi faccia prima morire". Questo era stato del resto il suo programma anche come cappellano a Tombolo (1858 - 1867), parroco a Salzano (1867 - 1875), direttore spirituale del seminario e cancelliere vescovile a Treviso (1875 - 1884), e infine vescovo di Mantova (1885 - 1894): amare tutti, promuovere il bene delle anime, difendere la verità. E tutti questi ministeri Io avevano preparato al governo del patriarcato.

LA CARITÀ

Poiché poi quelle che aveva pronunciato non restassero soltanto parole, il che del resto non rientrava nelle sue abitudini, iniziò nei giorni immediatamente successivi al suo ingresso le visite agli ospedali, alle carceri, al brefotrofio, al ricovero di mendicità, portandovi non solo il conforto della sua presenza, anche segni tangibili della sua carità. "Il lavoro è gioia, gloria la fatica. Se questa operosità si ammira quando il vescovo pontifica all'altare, quando predica, quando istruisce, quando conferma - aveva detto sempre nella sua prima omelia in San Marco - essa però non appare giammai così sublime come allorché il vescovo scende in mezzo al popolo, si accomuna coi più abbandonati dei suoi figli e porta il suo braccio, la sua mano, la sua parola di pace e di amore in mezzo ai poveri ed ai miseri. I tesori del vescovo furono detti tesori dei poveri - aveva poi aggiunto. Ma poiché ora questi tesori sono esausti ed il vescovo è divenuto impotente a soccorrere le miserie, quale dolore per il suo cuore sapere che vi sono tanti che piangono, tante vedove, tanti orfanelli che si spengono d'inedia! O ricchi, aiutate il vostro patriarca a fare la carità".

Quelle visite furono poi ripetute diverse volte fino ad arrivare ad episodi commoventi, come quando nel settembre del 1900 per ben tre giorni consecutivi volle egli stesso confessare i carcerati o quando, saputo che trenta degenti dell'ospedale militare avevano rifiutato la comunione pasquale, egli stesso vi si recò e parlò con accenti così fervidi che anch'essi alla fine si confessarono e vollero farlo proprio con lui. Le testimonianze dei processi di beatificazione ricordano anche diversi fatti riferentesi alla sua carità e come tra l'altro egli fosse costretto a domandare dei prestiti perché l'assegno della mensa patriarcale, che riscuoteva ogni tre mesi, era finito già tutto nelle mani dei poveri.

La carità doveva permeare tutta la sua vita ed esserne l'anima, ma come vescovo doveva pure pensare ad incrementare la vita religiosa dei suoi diocesani. Concepì a tal fine quello che oggi potremo chiamare un piano pastorale basato essenzialmente su questi punti: formazione ed aggiornamento del clero, dottrina cristiana e predicazione, liturgia, azione cattolica e movimento economico sociale, stampa.

Una delle sue prime preoccupazioni fu infatti il seminario. Dettò di suo pugno un nuovo regolamento disciplinare con cui soppresse tra l'altro il convitto per gli alunni non chiamati alla vita sacerdotale, affinché la formazione dei chierici potesse essere più qualificata, rinnovò quasi completamente il collegio dei professori cercando di inserirvi uomini capaci e dotati, aggiunse nuovi insegnamenti come quelli di scienze economiche-sociali e di archeologia cristiana, istituì una scuola giuridico-canonica con facoltà di conferire i gradi accademici e promosse pure delle conferenze di aggiornamento nelle principali scienze teologiche. Amava poi recarsi spesso in seminario e intrattenersi con i chierici per conoscerli sempre meglio ed accattivarsi nello stesso tempo la loro simpatia. Più di una volta predicò ad essi gli esercizi spirituali. Voleva che anche in tal modo aderissero al loro vescovo e, attraverso esso, al papa.

Per i sacerdoti rinnovò in forme più moderne l'abituale pratica dei casi di morale, istituì il ritiro mensile da lui predicato e intervenne sempre, per dare il buon esempio, al corso diocesano annuale di esercizi spirituali. Con il clero insisteva soprattutto sull'istruzione cristiana, la celebrazione della liturgia e l'organizzazione del movimento cattolico perché attraverso questi mezzi rifluisse nei fedeli quella fede e quella spiritualità che voleva irrobustire in loro.

Più che sulla predicazione insistette sulla dottrina cristiana per i fanciulli e gli adulti. "Si predica troppo e si istruisce troppo poco - scriveva in una lettera al clero neppur due mesi dopo la sua venuta a Venezia. Si mettano da parte quei discorsi fioriti e si predichi al popolo piamente e semplicemente le verità della fede, i precetti della Chiesa, gli insegnamenti del Vangelo, le virtù ed i vizii, perché avviene spesso che le stesse persone colte nelle scienze profane ignorino affatto o male conoscano le verità della fede e sappiano del Catechismo assai meno dei fanciulli più idioti. Si pensi al bene delle anime più che all'impressione che si pretende di fare. Il popolo è assetato di verità: si dica a lui ciò di cui abbisogna per la salvezza della sua anima; e allora, istruito nel suo stesso linguaggio, penetrato e commosso, piangerà i suoi falli e si accosterà ai sacramenti divini".

In conseguenza ai principi esposti cercò che la predicazione, forse anche troppo abbondante allora, fosse una vera e propria istruzione religiosa, dandone egli per primo l'esempio nelle sue prediche e soprattutto badò a che si riorganizzassero le scuole parrocchiali della dottrina cristiana, insistendo in modo particolare sul catechismo domenicale agli adulti. I sacerdoti veneziani seguirono le direttive del loro vescovo e le testimonianze dei processi canonici sono concordi nel constatare un immediato e consolantissimo rifiorire di fede e di costumi veramente cristiani in conseguenza di ciò.

LA LITURGIA

Accanto alla formazione del popolo alla vita cristiana attraverso la catechesi e come espressione di essa, il card. Sarto volle che i preti della sua diocesi dedicassero cure particolari alle celebrazioni liturgiche sia quelle usuali, sia quelle più solenni. E vide nella riforma della musica sacra uno dei mezzi più efficaci per rendere partecipata e goduta la liturgia. Fu il primo tra i vescovi italiani ad occuparsi del problema ed il primo maggio 1895 scrisse in proposito quella lettera, che formerà poi la base del Motu proprio emanato nel 1903, diventato egli pontefice. "La musica sacra - vi si poteva leggere - per la stretta unione che ha con la liturgia e con il testo liturgico deve partecipare in grado sommo delle qualità che sono proprie di esso: santità, bontà dell'arte, universalità. La Chiesa ha costantemente condannato tutto ciò che nella musica è leggero, volgare, triviale, ridicolo; tutto ciò che è profano e teatrale, sia nella forma della composizione, sia nel modo con cui essa viene proposta dagli esecutori (...). Essa ha fatto sempre valere nelle sue musiche le ragioni dell'arte vera, per cui ha meritato sommamente della civiltà (...). Per ultimo la Chiesa ha avuto costante riguardo alla universalità della musica da essa prescritta in forza di quel principio tradizionale che come una è la legge del credere, così sia una la forma della preghiera e, per quanto possibile, la norma del canto". Questi principii volle fossero anzitutto applicati alla cappella marciana, alla cui direzione chiamò don Lorenzo Perosi, al seminario, dove istituì una scuola di canto gregoriano, alle singole parrocchie, spingendo i sacerdoti alla costituzione di una schola cantorum che eseguisse canti gregoriani, buona polifonia, e semplici composizioni per il popolo. Di queste ultime si dilettava egli stesso già da chierico nel seminario di Padova e don Zaggia ne ha pubblicati recentemente alcuni saggi dai manoscritti custoditi nel seminario di Venezia. A chi poi obiettava che il popolo non gustava più quei canti e che c'era il pericolo che disertasse le funzioni liturgiche perché non udiva più le musiche che gli piacevano osservava: "Il solo piacere non è mai stato il retto criterio per giudicare delle cose sacre e il popolo non deve essere secondato nelle cose non buone, ma educato e istruito. Io dirò - concludeva il patriarca - che troppo si abusa di questa parola popolo, il quale si dimostra nel fatto ben più serio e devoto di quel che d'ordinario si crede, gusta le musiche sacre, né lascia di frequentare le chiese dove quelle s'eseguiscono". D'altra parte la riforma della musica sacra avrebbe dovuto non solo rendere più seria la celebrazione liturgica, ma anche farvi partecipare sempre di più il popolo. "Io me le immagino qualche volta - aveva scritto al suo amico vescovo di Padova, il veneziano mons. Callegari - mille voci che cantano in una chiesa di campagna la Messa degli angeli o i Salmi dei vesperi corali e sono rapito, come mi eccitano sempre alla pietà e alla divozione i canti del popolo nel Tantum Ergo, nel Te Deum e nelle litanie e li preferisco alle musiche polifoniche che non siano ben condotte".

L'AZIONE CATTOLICA

Un altro campo in cui il card. Sarto volle impegnare i suoi sacerdoti fu quello dell'azione cattolica. "Io non so concepire - disse nel 1895 ai convenuti per la decima adunanza regionale veneta dell'Opera dei Congressi - un parroco che non abbia costituito ancora nella sua parrocchia il Comitato parrocchiale, non solo perché disobbedisce ai comandi precisi del Santo Padre, ma perché si priva di un valido aiuto, senza del quale non può compiere molte opere del suo ministero o queste restano infruttuose". E continuò incitando i presenti al lavoro: " Una sola parola per raccomandarvi una sola cosa: l'azione. Non molti discorsi, perché le chiacchiere sono da lasciarsi agli uomini della politica: a noi i fatti. I membri dei Comitati parrocchiali devono essere i collaboratori del parroco, coadiuvandolo in tutte le opere dello zelo sacerdotale, nell'insegnare la dottrina cristiana, nel bene dirigere i patronati, nel riportare la pace nelle famiglie, in modo che il Vicario di Cristo possa validamente contare sul popolo nella difesa dei suoi diritti, senza di cui non vi può essere alcun bene, né religioso, né morale. E sopra tutto disciplina, obbedienza, abnegazione. Lavorare ma senza mire temporali, senza interessi privati, senza ambizioni personali, dimostrando una condotta irreprensibile nei nostri doveri verso Dio, verso il prossimo, verso noi stessi". L'Opera dei Congressi, che aveva

allora a Venezia la sua direzione nazionale, godette sempre la sua stima e lo dimostrarono la difesa di Paganuzzi dagli attacchi del Murri nel 1902 e il suo intervento quando la crisi si insinuò nel 1900 nello stesso Comitato diocesano locale.

Comitati parrocchiali e sezioni giovani furono oggetto delle sue cure più assidue, presente sempre con la sua parola incitatrice, il suo appoggio e il suo aiuto ad ogni convegno di uomini o di giovani. Né trascurò di appoggiare il movimento economico sociale. Durante il suo governo pastorale sorsero a Venezia ben 15 casse operaie e alcune interparrochiali, sulle 30 parrocchie della città, diverse società di mutuo soccorso, il Banco Cattolico San Marco, il segretariato del popolo. Appoggiò sempre i più deboli, in modo particolare la scuola dei merletti di Burano (oggi denominata cooperativa Pio X) e nell'agosto del 1901 intervenne personalmente a sedare uno sciopero di 2000 tabacchine ottenendo dai datori di lavoro la concessione di buona parte delle loro rivendicazioni. Resta pure degno di nota in pro-posito il discorso da lui tenuto nel 1896 a Padova al secondo congresso dell'Unione cattolica per gli studi sociali.

Comprese anche la grande importanza della stampa cattolica e perciò sostenne il quotidiano cattolico veneziano La Difesa. Quando le condizioni economiche del giornale erano gravi giunse a dire: "Se altro non avrò da dare, darò il mio anello, darò la mia croce. Me ne basterà una di metallo. Darò anche questa veste rossa: darò fondo a tutto, ma voglio che il giornale viva". E al suo nuovo direttore mons. Ferdinando Apollonio, succeduto al padre Zocchi, che taluno pensava richiamato a Roma per desiderio del patriarca che vedeva compromessa l'alleanza dei cattolici coi moderati dall'intransigenza del gesuita, così scriveva: "Sono intimamente convinto della necessità del giornale cattolico, che, valido coadiutore del sacerdozio, compie nelle famiglie la predicazione evangelica, supplisce per quelli che non possono ascoltarla e con lavoro di continua riparazione si studia di guarire le ferite impresse alla fede e al costume dai fogli sovversivi e corruttori".

VISITA PASTORALE E SINODO DIOCESANO

Per compiere questo suo programma apostolico si servì anche di due validi strumenti tradizionali nella figura del vescovo: la visita pastorale e il sinodo diocesano. La prima la iniziò a pochi mesi dalla sua entrata in diocesi nel maggio del 1895. "Verrò a voi per ricordarvi - così scriveva nella lettera di indizione - che Gesù Cristo, autore e consumatore della fede, quale fu ieri, tale è oggi e il medesimo sarà sempre per tutti secoli (...); per confermare che Dio diede alla rivelazione fatta da lui il suggello d'una perpetua immutabilità, per cui l'ingegno umano non potrà mai togliere od aggiungere a ciò che Cristo ha dettato". "Propagare la sana dottrina e difenderla dagli errori che la combattono; mantenere il buon costume contro la corruzione del vizio; infiammare con le esortazioni e gli ammonimenti i cuori alla religione e alla pace": questi dovevano essere le finalità di quell'atto del suo ministero. E osservava nella stessa lettera: "Quanto bisogno di far rivivere la fede in questo tempo, in cui si vogliono richiamare ad esame i misteri della nostra credenza; si pretende dimostrazione là dove Cristo domanda sottomissione d'intelletto; si revocano in dubbio le profezie più avverate, si negano i miracoli più manifesti; si rigettano i sacramenti; si deridono le pratiche di pietà; si disprezza il magistero della Chiesa". Purtroppo non abbiamo più nell'archivio della curia di Venezia gli atti di quella visita pastorale, ma la stampa cattolica di allora e le testimonianze dei processi canonici ci riferiscono il suo zelo nel compiere un ufficio così importante, la sua cura particolare per la predicazione e la dottrina cristiana, il suo amore ai poveri e agli ammalati delle singole parrocchie.

Tre anni dopo nel 1898 celebrò il sinodo diocesano. Esso riassume tutte le sue preoccupazioni pastorali (formazione e cultura del clero, azione cattolica, dottrina cristiana, stampa), e le codifica anche nei minimi particolari, fedele alla tradizione e aperto alle innovazioni. I discorsi poi rivolti in quella circostanza dal patriarca al clero, redatto nel dotto latino da lui appreso nel seminario patavino, sono un capolavoro di scienza pastorale e di ascesi sacerdotale.

RICORRENZE E CELEBRAZIONI

Nei suoi pochi anni di permanenza a Venezia (1894-1903) il card. Sarto ebbe anche a celebrare alcuni avvenimenti storici che gli diedero occasione di manifestare i suoi sentimenti alla popolazione. Prima in ordine cronologico fu l'ottavo centenario della consacrazione della basilica di san Marco (8 ottobre 1894), ritardato il 25 aprile dell'anno successivo, data la vacanza della sede. In quell'occasione pronunciò una nobilissima omelia in cui affermò tra l'altro: "Venezia fu grande finché ebbe Dio con sé (...). Era nobile fierezza quella che spingeva i magistrati veneti a proclamarsi cristiani non soltanto tra le domestiche pareti, ma anche e sopra tutto in pubblico. Erano tempi quelli nei quali la politica non misurava gli inchini da farsi a Dio. Ma appunto per questo l'autorità era rispettata, e con l'autorità, la patria. La libertà c'era allora, ma non la libertà che è licenza, e però tirannia, perché dove non vi è maestro, tutti sono maestri e una nazione senza maestro è una nazione di schiavi. Povero popolo! A lusingarti ti hanno detto sovrano; ma, fatto sgabello nella polvere ai sobillatori che volevano innalzarsi sopra le tue rovine, ti sei, logicamente, ribellato. Obbedire a Dio, non vuol dire essere servo, perché si obbedisce a Dio che è Padre, e noi suoi figli, e appunto essere figli vuol dire essere liberi (...). Con Dio Venezia sciolse la questione sociale, cosi come aveva sciolta la questione politica con un'organizzazione potente tra capitale e lavoro, perché allora l'eguaglianza, la fratellanza e la libertà esistevano. Regnava allora sovrana la carità, ma non quella che segna il povero con il marchio dell'abbiezione e vorrebbe rinchiuderlo in un domicilio coatto. E c'era giustizia: giustizia per tutti, anche per chi sta in alto. La Scala dei Giganti narra parecchi episodi solenni di questa giustizia che rendeva Venezia così sicura e rispettata in Europa tanto che accorrevano nei suoi porti, come ad un asilo di pace, le navi dei popoli più differenti ed avversi (...). Se Venezia si fosse conservata sempre fedele al suo Dio!". E così concludeva: "Nella stessa sua giustizia Dio fu con Venezia larghissimo di misericordia. È misericordia di Dio se Venezia non è stata ridotta alla condizione di Aquileia e di Torcello, che non sono che un nome. Questa misericordia di Dio starà su Venezia anche per l'avvenire se essa vorrà conservarsi fedele alla sua tradizione e alla sua gloria: la fede".

Certo la visione storica del patriarca non corrispondeva alla realtà e più di un appunto si sarebbe potuto fare ad essa, ma egli intendeva solo esemplificare alcune idee e richiamare alcuni principii. E ci sembra che essi fossero gli stessi che qualche mese dopo portarono alla sconfitta dei radicali e al trionfo dei clerico-moderati nella amministrazione comunale della città. Si è tanto discusso su questo che fu uno dei primi esperimenti di presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana in unione ai moderati e che preparò successive estensioni del principio sul piano nazionale. E si potrà discuterne ancora. Ci basti qui ricordare come la Giunta Grimani che fu il risultato di quella combinazione resse per più di 20 anni la città e ripristinò il catechismo nelle scuole elementari, il crocefisso negli ospedali, le feste votive così care al cuore dei veneziani e promosse il bene di Venezia in varii campi. Ricorderemo ancora come proprio il Sarto qualche mese dopo scriveva ad un parroco mantovano riguardo ad ana-loghe disposizioni della Santa Sede che sembravano deflettere da una tipica precedente intransigenza: "So anch'io che per questo qualcheduno ci dirà senza carattere ed in lega con i moderati, ma noi dobbiamo seguire le istruzioni del Maestro [si trattava di un decreto della Penitenzieria sulle celebrazioni del 20 settembre più largo del solito] e per quanto fossero contrarie alle convinzioni nostre, l'obbligo dei figli è l'obbedienza al Padre Santo". E ci piace concludere ricordando come lo stesso patriarca al Santo Padre che forse pensava un po' prematura la cosa abbia risposto a proposito dei liberali veneziani: "Sono dei liberali che a Pasqua si accostano pubblicamente ai sacramenti e non solo a Pasqua: che la domenica ascoltano la santa messa; che non mancano mai ad una festa votiva della città; che alla processione del Corpus Domini non si vergognano di portare l'asta del baldacchino" (il fatto e le parole sono riferiti da alcuni testimoni nei processi canonici). Certo questi episodi e queste osservazioni non bastano a risolvere la questione, ma possono farci capire e la particolare situazione di Venezia e quante riflessioni sia costata al patriarca la sua decisione e i motivi profondamente religiosi che la determinarono.

Le stesse note e gli stessi motivi li troviamo anche nella solenne celebrazione del congresso eucaristico italiano del 1897 che tra l'altro era stato indetto a Venezia per riparare una profanazione sacrilega delle sacre specie avvenuta agli Scalzi. Ecco come il patriarca li ricordava nel suo discorso: "Se pertanto Napoli, Torino, Milano ed Orvieto l'una dopo l'altra si sono associate in omaggio di adorazione al Santissimo Sacramento, Venezia, che ricorda con nobile orgoglio le opere insigni dei Sagredo, dei Giustiniani, degli Orseolo, degli Emiliani, dei Barbarigo (i suoi santi) come quelle dei Cornaro, dei Morosini, dei Mocenigo, dei Dandolo (dogi e patrizi insigni), Venezia perché ricorda con questi nomi le feste grandiose della sua fede non vuole mancare alla splendida vocazione delle città sorelle, ma per quanto è possibile vuole gareggiare con esse nell'onorare Gesù in sacramento, pregando per la desiderata conversione di coloro che, sebbene avversari, pur ci sono fratelli, chiamati anch'essi a far parte di quel regno che sfida le guerre degli uomini e la mano distruggitrice del tempo". E ancora: "E proprio perché questo grido Nolumus hunc regnare super nos si è sentito anche nella nostra povera Italia, a cui Gesù Cristo morente rivolse amoroso lo sguardo, stabilendola terra della sua elezione, e perché in mezzo alla società si vorrebbe trattare Gesù come uno sconosciuto, si è sentito il bisogno di radunare i cattolici attorno al tabernacolo, perché ravvivino nel loro cuore la fede e da questi nuovi cenacoli si diffonda di nuovo il fuoco della carità che Gesù ha portato nel mondo. Questo solo pertanto è lo scopo dei congressi eucaristici: fare atto di ossequio a Gesù in sacramento per gl'insulti che l'oltraggiano e concorrere perché il suo pensiero sia nelle nostre intelligenze, la sua morale nei costumi, la sua verità nelle istituzioni, la sua giustizia nelle leggi, il suo culto nella religione, la sua vita nella nostra vita". L'instaurare omnia in Christo, motto del suo pontificato, è già presente in questo discorso veneziano.

PASTORALI E LETTERE

Abbiamo qui voluto spesso citare brani dei suoi discorsi e delle sue pastorali (tra queste avremmo potuto ricordare ancora quella del 1901 sulla bestemmia e sulla santificazione della festa e quella del 1902 in occasione di una ennesima proposta di legge sul divorzio) proprio perché anche da queste trasparisse la sua anima profondamente religiosa. A proposito della sua eloquenza ricordiamo quanto scriveva La Difesa dopo la sua prima omelia: "Il nostro patriarca ha, se così possiamo esprimerci, la magia della parola apostolica, penetrante, convincente, soggiogatrice. Senza nessuna di quelle raffinatezze, onde troppe volte si ottiene l'effetto di piacere, ma non l'affetto che scalda e muove. Il nostro Patriarca, appena cominciato a parlare, ha già di primo tratto guadagnato l'attenzione e la simpatia di tutti".

E ci sembra opportuno, a capirne sempre di più l'anima, citare ancora qualche frase di qualche sua lettera del periodo veneziano. Nel 1895 scriveva a don Agnoletti, sacerdote trevisano: "Per quest'anno e probabilmente per molti di seguito, se tanti me ne darà il Signore, la mia villa sarà il palazzo patriarcale, anche per mostrare ai veneziani, che si può vivere senza andare in campagna". E nel 1897 ai redattori de La Difesa: "Se è penosa e qualche volta irritante la lotta contro coloro che chiudono a bella posta gli occhi per non vedere il sole che li illumina, è pure dolce il combattere per una causa che, per quanto disconosciuta e contraddetta, è quella di Dio e della Chiesa".

Più note perché d'importanza storica sono quella del 1898 al Paganuzzi dopo le persecuzioni governative contro i cattolici e quella del 1902 al Saccardo in difesa del Paganuzzi dopo il famoso articolo di Murri sul crollo di Venezia, ma ci piace ricordare piuttosto quella del 1900 al dottor Carlo Candiani a cui chiedeva un prestito del Banco San Marco per salvare la situazione finanziaria di uno spretato concludendo: "E se non lo pagasse? Lo soddisferà in rate il sottoscritto" o quella del 1902 al giovane vescovo di Modena, pervasa di umiltà e di carità. Valga piuttosto l'invito a leggere quelle già pubblicate e a pubblicare quelle ancora inedite.

La conclusione poi potrebbe essere tratta da uno dei suoi ultimi discorsi veneziani, quello fatto il 25 aprile 1903 in occasione della benedizione della prima pietra del ricostruendo campanile di san Marco. "Nessuno spettacolo - esordì in quella circostanza - è così degno di ammirazione come quello di un popolo che, iniziando un'impresa, domanda a Dio la Benedizione, perché mai emerge tanto l'ingegno dell'uomo come quando si china davanti l'eterno fuoco, donde viene la luce, né le sue opere si producono con un carattere più maestoso e solenne che dopo l'invocazione della potenza suprema che le suggella e le consacra. Io, quindi, mi congratulo con voi, o nobili rappresentanti di Venezia, che, fedeli interpreti dei veri cittadini, deliberaste che un pubblico atto religioso desse principio alla riedificazione del campanile nel giorno sacro all'evangelista san Marco, affinché Venezia, già fiorente tanti secoli sotto un tale protettore, veda aprirsi dinanzi un'era di novella prosperità. Mi congratulo con voi, che vi mostraste figli non degeneri di quei padri che, convinti della grande verità che si fabbrica indarno se alla direzione non presiede il Signore, vollero che questa città, cristiana fino dall'origine, segnasse l'epoca della sua fondazione dal giorno in cui ebbe principio il mistero dell'umana redenzione, né mai si accinsero ad alcuna impresa senza avere prima invocato sopra di essa il nome di Dio e la protezione di Maria. Per la religione i nostri avi, uniti in un cuor solo, onorarono la patria con amore generoso, con rispetto profondo, con un sacrificio eroico, e per questi due amori, più che per il loro senso politico, compirono imprese onorate, salirono a prosperità e rinomanza. Per la religione, mentre le altre nazioni e le città stesse d'Italia gemevano sotto il giogo dei barbari, Venezia era il centro della civiltà europea, la sede del sapere e delle arti gentili, la regina dei mari, l'anello che congiungeva l'Oriente e l'Occidente in società di commerci. Dalla religione riconobbero sempre i veneziani la fonte della loro floridezza, e perciò, mentre fu essa l'anima delle loro opere, la direttrice dei loro consigli, l'ispiratrice delle loro leggi, per ottenerne e ricambiarne i benefici erigevano templi e altari, le dedicavano asili di pietà, le consacravano istituti di utili studi, di virtù rigeneratrici di santi, e ne perpetuavano con i monumenti i gloriosi trionfi". Ancora una volta l'amore della religione e della patria si intrecciavano nelle sue parole e ne brillavano gli ideali profondamente religiosi del suo episcopato. Poco dopo il 26 luglio partiva per il conclave. Alla stazione una grande folla. ""Torni presto, Eminenza" fu il grido popolare. "Vivo o morto ritornerò" la risposta del card. Sarto. Ma Dio lo destinava ad essere il successore di Leone XIII e il 4 agosto 1903 egli veniva eletto vicario di Cristo. Egli volle però restare ancora per un poco vescovo della città lagunare e rettore del suo seminario. Il 4 agosto 1903 così scriveva al vicario generale: "Siccome poi per l'affetto che conservo vivissimo ai miei dilettissimi figli di Venezia ho intenzione di tenere almeno per ora l'amministrazione dell'archidiocesi, concedo a lei e al rev. mons. Pantaleo tutte le facoltà necessarie per il buon governo". I veneziani lo considerarono poi sempre il loro patriarca e tutti i successivi contatti lo dimostrarono. Ma c'era anche la promessa del ritorno: vivo o morto.