Omelia del Patriarca durante la S. Messa nella parrocchia di S. Marco a Ol Moran / Kenya (24 luglio 2022)
24-07-2022

S. Messa nella parrocchia di S. Marco a Ol Moran / Kenya

(24 luglio 2022)

Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

sono lieto di essere qui con tutti voi e celebrare insieme ai fedeli della parrocchia di S. Marco di Ol Moran questa Messa domenicale.

È un giorno importante: è il giorno del Signore Risorto, il giorno in cui la comunità cristiana – qui a Ol Moran ma anche in ogni parte del mondo – si riunisce e si riconosce convocata dalla parola del Signore, ossia da Gesù, che chiama tutti noi e ci chiede di unirci, con Lui, a Dio Padre in quella che è l’azione liturgica, la preghiera per eccellenza: la celebrazione eucaristica.

La domenica è, quindi, il giorno del Signore ed è anche il giorno della Chiesa, di ogni comunità cristiana, il giorno che ci richiama ai gesti più importanti che scandiscono la vita del cristiano: pensiamo ai sacramenti del battesimo e della confermazione che sono – insieme all’Eucaristia che stiamo celebrando – i momenti fondamentali dell’iniziazione cristiana.

Sono questi i momenti e le fonti della pienezza della vita cristiana che si svilupperà, poi, per ciascuno attraverso le strade che Dio ha predisposto per noi: pensiamo a quanti sono stati chiamati o saranno chiamati a percorrere la via del matrimonio cristiano che richiede la fedeltà assoluta tra gli sposi perché è espressione dell’amore di Cristo, fedele alla Chiesa fino alla fine, fino a donare la vita sulla croce; c’è, quindi, la via della consacrazione sacerdotale o religiosa – che è una consacrazione che si inserisce e si aggiunge alla comune consacrazione battesimale data a tutti – in vista di un’esistenza tutta segnata dal dono totale a Dio, considerato come lo Sposo della propria vita.

Preghiamo allora, anche in questa celebrazione, affinché la comunità di Ol Moran veda sempre più fiorire queste vocazioni e non manchino in particolare quelle al sacerdozio, in modo che vi siano guide autorevoli e secondo il cuore di Dio, e alla vita consacrata; soprattutto in questo modo una comunità cristiana “dice” e manifesta la verità e la sua pienezza di fede.

La prima lettura (Gen 18,20-32) e la pagina del Vangelo (Lc 11,1-13) che sono state appena proclamate ci conducono all’essenza e al cuore della vita cristiana: la preghiera.

Abbiamo ascoltato l’episodio di Abramo che intercede presso Dio per i giusti presenti nella città; prima comincia con cinquanta, poi passa a quarantacinque e, infine, il numero possibile di giusti si abbassa fino alla cifra allora ritenuta minima per poter pregare insieme (dieci). Abramo ci insegna così che pregare significa ardire, osare, avere audacia, coraggio e fiducia nel momento in cui ci si rivolge a Dio per chiedere.

Ma, nello stesso tempo, il riferimento ai giusti è profezia: il Nuovo Testamento, infatti, ci donerà l’unico Giusto – Gesù – in grado di salvare la moltitudine dei peccatori e così “giustificare”, rendere giusti, tutti.

Il Vangelo ribadisce questo tema proponendoci la versione del “Padre nostro”, più breve, contenuta nelle pagine dell’evangelista Luca. In modo semplice ed essenziale Gesù – che qui insegna ai suoi discepoli come si prega – ci fa comprendere che quel Dio che invochiamo è Padre: «Quando pregate, dite: Padre…» (Lc 11,2).

C’è poi un esempio di vita che viene indicato: l’amico inopportuno che si presenta tardi, nell’ora meno adatta, e domanda con insistenza. Abbiamo qui l’immagine della nostra povera umanità che non partecipa della magnanimità e della bontà di Dio – Padre, Creatore e Salvatore – e che cede, soltanto, di fronte alla scomodità e all’insistenza della richiesta.

Dio ragiona in altro modo, Dio non teme di essere scomodato e non accondiscende alle nostre domande, come talora facciamo noi, per motivi di opportunità o per togliersi d’impiccio… Dio è contento di accogliere ed ascoltare le nostre preghiere.

Certo, spesso la nostra preghiera ha sviluppi ed esiti – nel tempo e nel contenuto della “risposta” – in parte o molto differenti rispetto alle nostre richieste iniziali. Ma, alla fine, fa parte della preghiera comprendere che quello che Dio ha scelto per noi è “la parte migliore” (cfr. Lc 10,42).

Ricordiamo, infatti, come il raccoglimento, la preghiera, lo spirito di orazione siano stati esplicitamente apprezzati da Gesù nell’incontro a Betania con Marta e Maria (il Vangelo di domenica scorsa): «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,41-42).

Non è ovviamente in questione l’operare, il lavorare, il mettersi a servizio ma si tratta di operare, lavorare e mettersi a servizio all’interno di una dimensione più ampia e in un contesto di fiducia e di confidenza verso il Signore Gesù e, quindi, di abbandono filiale alla Sua Provvidenza; tutto ciò vale molto di più delle nostre azioni, del nostro lavoro, di quanto noi possiamo fare e riusciamo a fare.

Questo bel momento di Chiesa, questa celebrazione domenicale, ci dice, allora, che la preghiera – che si realizza e si intreccia continuamente con la vita del cristiano, del battezzato – è il dono e la potenza più grande di cui disponiamo tutti noi, come persone e come comunità.