Omelia nella S. Messa durante il pellegrinaggio mariano diocesano nella parrocchia di Sant’Antonio a Marghera (1 dicembre 2018)
01-12-2018

S. Messa durante il pellegrinaggio mariano diocesano nella parrocchia di Sant’Antonio a Marghera

(1 dicembre 2018)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Non avevamo oggi l’obbligo di venire, e potevamo fare dell’altro, eppure ci siamo. E allora ringrazio tutti i presenti ed in particolare i confratelli che vedo particolarmente numerosi; sono un bel segno perché, con la loro presenza, ci dicono che considerano importante il momento della preghiera mariana.

Per questo chiedo, quando il pellegrinaggio avviene in determinate zone della Diocesi che ci sia possibilmente una rete, almeno fra le parrocchie e collaborazioni vicine, per rendere questo segno più visibile, più ricco di fede. Noi ricordiamo tante cose durante il pellegrinaggio, soprattutto il nostro Seminario. E il Vescovo ha appena scritto una lettera sul Seminario e spero sia oggetto di riflessione nelle nostre comunità; il Seminario, infatti, non è del Vescovo né del rettore: è della Diocesi, delle parrocchie e dei fedeli. Quanti di voi, quanti tra i vostri figli o nipoti, incontreranno, tra qualche anno, qualche sacerdote che adesso è seminarista! La Chiesa è fatta di questo noi nell’unico Io, quello del Signore Gesù e il suo io è quello del Crocifisso, quello di colui che si dà agli altri.

Fatta questa piccola promessa, oggi vorrei con voi riflettere su quanto stiamo vivendo: domani inizia il nuovo anno liturgico. E l’anno liturgico ci permette di rispondere ad una domanda più che legittima: ma come ragiona il Signore?

Intanto – come sappiamo – l’inizio dell’anno liturgico non coincide con quello dell’anno civile: l’anno civile inizia l’1 gennaio e finisce il 31 dicembre mentre l’anno liturgico inizia con la prima domenica di Avvento e tutto dipende da quando cade la Pasqua… E qui comincia la risposta.

Il tempo per il cristiano non è lo scorrere cronologico dei mesi, dei giorni, delle settimane, degli anni; il tempo, per i cristiani, prende senso e significato dalla Pasqua del Signore, cioè da Gesù. La Pasqua comanda tutti i momenti della vita cristiana e, infatti, l’anno liturgico dipende da quando abbiamo celebrato la Pasqua tanto che abbiamo anche dei modi di dire popolari (Pasqua “bassa”, Pasqua “alta”).

L’anno liturgico è la grande ricchezza del cristiano. Quando noi andiamo a ricercare la spiritualità francescana, benedettina, carmelitana, gesuitica, domenicana… facciamo certamente bene ma rischiamo di dimenticarci un cosa essenziale: la vera spiritualità cristiana è l’anno liturgico tanto che se noi vivessimo bene l’anno liturgico avremmo una catechesi continua e una spiritualità vissuta.

Il tempo, allora, può essere legato alle stagioni e ai mesi ma, soprattutto, è legato a me uomo; ci sono delle stagioni della nostra vita che a pensarle ci danno gioia, ci sono altri momenti che ci richiamano la tristezza, ci sono dei momenti della vita in cui siamo felici ed altri in cui siamo prostrati. Il tempo ha un valore non solo stagionale e cosmico ma anche antropologico-umano.

Il tempo non è solo legato ai ritmi delle stagioni o alla nostra psicologia; c’è anche un tempo legato all’anno liturgico. E noi sappiamo che l’anno liturgico nasce in Israele; oggi celebriamo la festa di Maria Vergine figlia eletta della stirpe di Israele. Nel prefazio si dirà che Maria è discendente per la nascita da Adamo e per la fede da Abramo. Maria ci esprime così la storia della salvezza e questa storia della salvezza ci dice che il popolo ebreo ha saputo trasformare delle feste agricole, pastorali, cosmiche e stagionali in feste religiose.

La Pasqua, all’inizio, prima dell’uscita di Israele dall’Egitto, era una festa agricola in cui Israele iniziava a raccogliere i cereali (tra marzo e aprile) e c’era anche la fecondazione del gregge; questa festa diventa la Pasqua, perché in quell’occasione, in quel tempo, Dio irrompe nella vita di Israele e quelle feste che erano solo pastorali ed agricole diventano feste religiose.

Dio ci ha fatto uscire dall’Egitto: ecco la Pasqua. E, allo stesso modo, c’è una festa che noi conosciamo anche se non ci è ben nota l’origine, la Pentecoste. Negli Atti degli Apostoli si dice che Maria e gli apostoli celebrano la Pentecoste e poi irrompe lo Spirito Santo; in precedenza, per Israele era la festa in cui si gioiva per il raccolto dei cereali (che iniziava a marzo e finiva a giugno). E quella festa di Israele è stata resa “religiosa”, per noi cristiani, dalla discesa dello Spirito Santo.

C’è poi una festa che noi cristiani non abbiamo assunto  ma è del mondo ebraico ed è la festa delle Capanne, la festa delle vendemmie. Nessuno in Israele conosce bene cos’è il gioire se non ha partecipato almeno una volta alla festa delle Capanne. Gli ebrei fanno questa festa nei giardini, nelle terrazze, mettono delle frasche e vi vivono alcuni giorni ricordando quando erano nel deserto; era la festa della gioia grande della vendemmia.

C’è allora un tempo legato alle stagioni ed uno legato alla psicologia umana, ai propri ricordi, ai propri stati d’animo, ai progetti e ai desideri, alle sofferenze e alle fatiche. E c’è il tempo di Dio, l’anno liturgico.

Quello che conta non è l’età che si ha ma vedere se stiamo crescendo nel mistero di Cristo, se il mistero di Cristo è dentro di noi. Ecco perché è importante, nella vita e come discepoli, il mettere a fuoco il mistero che viviamo in ogni preciso tempo dell’anno liturgico: la Quaresima, il tempo di Pasqua, l’Avvento, il tempo di Natale.

Concludendo questa mia riflessione, mi osffermo allora su alcune linee di spiritualità dell’Avvento perché lo possiate vivere spiritualmente e lo portiate nella vostra vita. La cosa più importante – e che talvolta dimentichiamo – è che l’Avvento deve diventare qualcosa di nostro.

È stata fatta la lettura dal libro dell’Apocalisse sulla fine dei tempi. Ecco, l’Avvento è quella dimensione costante del cristiano; il cristiano è colui che celebra il primo ricordo della venuta del Signore e colui che attende l’ultimo incontro con il Signore della sua vita. E, per prepararsi a vivere questo incontro, cerca di avere gli occhi aperti per vivere bene il momento presente ed incontrare il Signore che passa. Ecco la spiritualità dell’Avvento.

Nella prima parte dell’Avvento – potremo dire fino al 16 dicembre – al centro c’è Isaia, il grande profeta della speranza, che quando è stato provato ha sempre atteso che Dio si rivelasse nella liberazione. Cadde Gerusalemme, cadde Samaria, ci fu l’esilio, il periodo dell’ esilio e del ritorno… Questi sono i libri scritti da Isaia.

Nella seconda parte dell’Avvento, da metà dicembre in poi, appare la figura di Giovanni Battista che è indicato dalla iconografia cristiana come colui che indica Gesù (lo ha indicato in effetti a Giovanni e ad Andrea); è la figura per eccellenza dell’Avvento, dopo la Madonna, perché è colui che ha atteso ed annunciato il Signore, che è morto per testimoniare la verità del Signore anche di fronte ad Erode.

L’Avvento è ricordare quella prima venuta, meditare come Gesù è venuto nel mondo, la povertà della capanna di Betlemme, l’importanza nel Natale, fissare lo sguardo su Gesù, Giuseppe e Maria e la loro fede.

Il Natale ci fa capire subito che il cristianesimo non è un “brodino caldo” perché il Natale ci propone anche, appena qualche giorno dopo, una festa drammatica (la strage degli innocenti). Che cosa vuol dire questa festa? Che stare vicino al Signore è pericoloso, ed ecco il martirio.

Se voi leggete bene anche le feste del tempo di Natale, sarete condotti verso la pienezza dell’attesa. E allora io ricordo la sua venuta, come è venuto e con che stile è entrato nel mondo, chi erano i suoi amici, chi erano quelli che lo osteggiavano da subito (come Erode), chi erano i Magi,  coloro che non dovevano esserci e invece ci sono – la grazia di Dio è più forte, per fortuna, dei piani pastorali e dei progetti degli uomini – mentre chi ci doveva essere, come gli scribi e i farisei, non c’erano…

Questa è la spiritualità del Natale: riflettiamo dunque sul fatto che abbiamo tutti la certezza che un giorno incontreremo il Signore (la sua seconda venuta). Ma in mezzo a queste due venute ce n’è un’altra: il Signore che viene questa mattina, oggi pomeriggio, che viene nella persona che incontro, in quel contrattempo, in quel sorriso, in quel discorso…

Questa è la spiritualità dell’Avvento che vi auguro di vivere a partire dalla liturgia, magari anche tornando a fare – come quando eravamo bambini – la novena di Natale. Riscopriamo, allora, che la liturgia ci dà vita.