Omelia del Patriarca nella S. Messa con la comunità diaconale (Venezia, Cappella della SS. Trinità / Salute, 11 dicembre 2016)
11-12-2016

S. Messa con la comunità diaconale

(Venezia, Cappella della SS. Trinità / Salute, 11 dicembre 2016)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

È questa l’occasione, ormai nell’imminenza del Natale, per ritrovarci e farci gli auguri ma, soprattutto, per parlare un po’ di quella realtà che un giorno avete incontrato e che si chiama sacramento dell’ordine nel suo primo grado. Un dono vuol dire sempre una responsabilità.

Il ministero ordinato – a differenza, per esempio, dell’altro sacramento che quasi tutti vivete (eccetto il diacono Tiziano che è un nostro diacono celibe) ed è quello del matrimonio – è un sacramento che dobbiamo tenere desto in modo particolare.

Quando ci si sposa si interloquisce in due e poi l’amore di due persone genera, ordinariamente, i figli. Possiamo dire, allora, che il sacramento del matrimonio si impone: è qualcosa di visibile, è qualcosa che mi interpella. Si impone attraverso la presenza delle persone: uno non si può dimenticare dei figli che deve far crescere e non può dimenticare che ha detto sì ad una persona donandosi a lei completamente nel “sì” sponsale. E, invece, il sacramento dell’ordine potrebbe anche rimanere, praticamente, “dormiente” nella nostra vita.

Siamo al termine dell’Anno giubilare della Misericordia – la misericordia è Dio che entra nella nostra vita -, prendete allora tutte le pagine del Vangelo nelle quali Gesù ha incontrato delle persone e non le ha mai lasciate come le aveva incontrate. Pensate a Zaccheo, pensate anche al giovane ricco; due incontri completamente diversi eppure Zaccheo, dopo aver incontrato il Signore, non è più lo stesso ed anche il giovane ricco, dice il Vangelo, se ne andò triste. Zaccheo entra, invece, in un’altra vita. Gli incontri con il Signore non ci lasciano mai come ci hanno trovato.

La misericordia di Dio è fare entrare il Signore nella nostra vita e incominciare a parlare di noi a Lui, a partire da quella che è la nostra vocazione: come faccio il vescovo? Lo potrei fare diversamente? Mi spendo per la diocesi e faccio tutto il possibile? Lo stesso vale anche per un sacerdote, un parroco, un rettore di Seminario… Anche un diacono si deve fare questa domanda.

L’amore di Dio è infinito ed eterno ma noi non siamo infiniti e non siamo eterni; noi abbiamo dei tempi, delle stagioni, in cui si possono dire dei “sì” perché ci sono le condizioni per poterli dire. A distanza di cinque o dieci anni quel “sì” dovrà essere detto in modo diverso e dovrà tener conto di altre situazioni.

Noi, allora, dobbiamo cercare di metterci di fronte al Signore e dire: ma io come sto esercitando il ministero del diacono? Nessuno mi ha obbligato a fare il diacono e sapevo, dagli anni della preparazione, che cosa mi chiedeva il ministero del diacono…

Il diacono deve essere un uomo completo nell’esercitare le sue funzioni; non può essere solo uno dedito alla liturgia, non può essere dedito solo a dei gesti di carità. Deve essere diacono. Se noi parcellizziamo gli aspetti della vocazione – gli ambiti del ministero – allora potremmo arrivare quasi a dire che ciò che un diacono è chiamato a fare lo potrebbe fare anche un prete o un laico.

È importante, allora, interrogarsi e dare una risposta: gli elementi costitutivi dell’ordine sacro, nel grado del diaconato, sono presenti nella mia vita? Il diacono, infatti, è l’uomo della predicazione in senso ampio e la catechesi è un modo di predicare ma ci sono anche altri ambiti di annuncio della parola di Dio. Il diacono è un ministro che ha dei compiti liturgici, il diacono è l’uomo della carità.

Quello che deve rimanere come riflessione natalizia, al termine dell’Anno giubilare, è chiederci se in noi sono vive le caratteristiche fondamentali e costitutive del diaconato. Questo è l’unico modo per tener vivo e desto il ministero diaconale nella nostra vita.

Uomo della preghiera, della carità, della catechesi: certo, io potrò essere più dotato in uno di questi ambiti – è normale, non tutti abbiamo le stesse doti e le stesse caratteristiche e ci sarà qualcosa che posso fare meglio, più volentieri e con più capacità – ma guai se mi limitassi a fare solo le cose in cui sento di avere più propensione! Il ministero del diaconato è a 360°, se vogliamo considerarlo ministero diaconale.

Il successo del ministero diaconale di fronte a Dio, non certo di fronte agli uomini, è proprio questo essere a tutto tondo e non considerare un ambito che, forse, ci trova più in difficoltà di altri come qualcosa che non mi appartiene.

E, allora, il diacono è colui che rende presente il servizio di Cristo all’altare e nella carità dove il diacono ci dice che la carità non è una scelta sociale ma è qualcosa che nasce dall’altare, dalla carità di Cristo e nello stesso tempo ci dice, proprio come servo dei fratelli, che la liturgia, a cui il diacono è deputato in modo particolare, non è mai un’azione fine a se stessa. Non è un servizio come potrebbero fare i chierichetti, magari mettendosi qualche paramento di più, ma è un servizio affinché quella carità – che è la carità di Cristo e si vive nella celebrazione eucaristica – diventi, fiorisca, appaia e si costituisca nella città, nella società, nel sagrato, al di là dell’altare, oltre l’altare.

Molte volte noi diciamo che lo specifico del diacono – ideologicamente parlando – è difficile; qui noi paghiamo lo scotto del fatto che il diaconato, ad un certo punto, è venuto meno, dal quarto/quinto secolo fino ad adesso, e non abbiamo avuto delle figure di diaconi che ci possono aiutare – attraverso il carisma che hanno vissuto – a scoprire anche la dimensione teologica del diaconato, come invece e magari è più facile avvenga per i presbiteri e per i vescovi.

Quando uno esercita il ministero e tiene insieme la carità – come qualcosa che sorge dall’altare – e l’altare – come la linfa della carità -, compie quella operazione teologico-pastorale fondamentale di cui abbiamo bisogno.

Il diacono non è mai un assistente sociale, anche quando si occupa della pianificazione della carità in un vicariato o perché dirige uno o più centri ascolto. Anche quando il diacono fa questo, non lo fa come lo farebbe lo psicologo oppure l’operatore di pastorale sociale ma come diacono. E nel momento in cui il diacono serve all’altare deve farlo come colui che viene dal mondo, porta le ferite e le sofferenze del mondo e chiede a Cristo di farsene carico.

In questo esercizio del ministero diaconale e nel fare nostre tutte le componenti – catechesi, carità, liturgia e vita comunionale nella Chiesa – e soprattutto nel tenere insieme la carità come realtà umana e teologica, c’è lo specifico del diacono; c’è tutto ciò su cui voi potete fare una riflessione che è esame di coscienza e, nello stesso tempo, progetto di vita.

Ognuno di voi, allora, avrà la sua guida spirituale e deve cercare di tradurre in atto – a seconda del ministero che gli è affidato – questa sintesi teologica tra l’altare e la carità. Sono in un luogo di cura, di sofferenza? Mi occupo della pastorale delle esequie? E potrei citarne tanti altri… Una persona ricca di spiritualità trova quella possibilità di dare uno “specifico” a questi ministeri; ognuno di voi sa poi quante sono le incombenze diaconali, ma riuscire a viverle in questo modo è ciò che dà lo specifico del diacono.

Se vi incamminerete in questa strada, progressivamente perché questa è una legge spirituale, il Signore vi farà vedere quello che prima non vedevate e vi aiuterà a scoprire quello che prima non vedevate. Il ministero ordinato del diacono comincerà allora a parlare alla vostra vita e l’esercitare questo ministero in modo complessivo – in modo “cattolico”, potremmo dire, ossia tenendo insieme tutti gli elementi – sarà occasione di crescita spirituale e ministeriale.

Vi consegno questo come augurio natalizio, come riflessione, come cammino spirituale. Recentemente ho avuto modo di incontrare a Padova il vescovo delegato per i presbiteri e i diaconi, insieme al diacono e al sacerdote che coordinano i diaconi del Triveneto; hanno riferito dei vostri incontri, di quello che avete elaborato, proposto e che avete inteso, in un certo senso, consegnare ai vescovi. Noi vescovi ci abbiamo pensato e riflettuto e pensiamo di ritrovarci su questo tema.

Quello che io vi ho detto oggi è il frutto di quello che io ho raccolto nei miei pensieri e anche da quanto ho sentito negli scambi avvenuti in quella circostanza ed anche da ciò che mi è giunto, come eco, al vostro incontro triveneto di Padova.

È chiaro poi che la presenza sponsale che voi avete vicino è qualcosa che integra il diaconato – per chi vive il diaconato uxorato – ed è chiaro che bisogna considerare, quindi, che un diacono sposato ha una risorsa in più; non ha un ostacolo nella famiglia, ma ha una risorsa in più che deve costruire con la sua sposa.

E’ importante, certo, la preghiera comune ma è importante anche il creare reciprocamente le condizioni perché il sacramento del diaconato – sacramento dell’ordine nel primo grado – e il sacramento del matrimonio non si limitino semplicemente a non confliggere tra di loro oppure a camminare come due rette parallele che non si scontrano ma non si incontrano mai -; è importante, per chi vive i due sacramenti, riuscire a trovare uno “specifico”, un punto d’incontro e di aiuto. E allora, forse, il diaconato – per chi lo vive anche nel sacramento del matrimonio – troverà motivi nuovi, risorse nuove, aiuti nuovi, possibilità nuove.

Chiediamo al Signore – che nel Natale ci viene incontro come un Bambino – di avere quella semplicità nel metterci di fronte a Lui per riscoprire quei passaggi, quelle porte e quei sentieri che oggi dobbiamo riscoprire, ritrovare, riaprire, ripercorrere.