Omelia del Patriarca nella S. Messa a conclusione del Giubileo Domenicano (Santuario S. Maria del Sasso - Bibbiena, 21 gennaio 2017)
21-01-2017

S. Messa a conclusione del Giubileo Domenicano

(Santuario S. Maria del Sasso – Bibbiena, 21 gennaio 2017)

Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi membri della Famiglia domenicana e voi tutti qui presenti,

grati al Signore siamo convenuti per la celebrazione eucaristica che chiude solennemente l’Anno giubilare Domenicano; è un giorno importante e che possiamo definire “storico”, in quanto ricorda la nascita e la fondazione di questa Famiglia Religiosa. Proprio 800 anni fa come oggi, il 21 gennaio 1217, san Domenico riceveva da papa Onorio III la bolla Gratiarum omnium largitori con cui, per la prima volta, si menzionava l’ordine dei Predicatori.

Come abbiamo recitato poco fa nella preghiera di Colletta, possiamo davvero riconoscere “i benefici della paternità” del Signore che è “fonte di ogni bene, principio del nostro essere e del nostro agire” e, quindi, riprendere il nostro cammino con il preciso intento di amarlo di più, “con tutto il cuore e con tutte le forze”.

Possiamo considerare come ulteriore dono provvidenziale il fatto che l’Anno giubilare Domenicano si sia intrecciato con l’Anno giubilare straordinario della Misericordia nel quale, tra le altre cose, siamo stati sollecitati a riscoprire la forza umana e la sapienza divina delle opere di misericordia corporali e spirituali.

Esse sono il concreto cammino di una fede che vuol essere amica dell’uomo e desidera percorrere la strada dell’amore e della verità, non sfuggendo ai solchi quotidiani dell’esistenza ed inserendoci con questo spirito in ogni ambito di vita, personale e comunitario.

Sì, le multiformi opere di misericordia obbediscono al realismo di una fede che, in modo reale, entra nella storia ed è in dialogo con le ferite degli uomini e delle donne della società in cui viviamo e del nostro tempo. Introducono, come detto, la forza dell’uomo e la sapienza di Dio nella concretezza della vita e ci chiedono di guardare sempre di più coloro che  il Signore ci pone dinanzi per farci carico di loro.

Siamo spinti, insomma, a seguire l’esempio e lo stile di Gesù che – lo abbiamo appena ascoltato nel Vangelo – “percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle sinagoghe, annunciando il Vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo” (Mt 4, 23).

Lungo le strade comuni di questi due Anni giubilari – quello Domenicano che si conclude oggi e quello della Misericordia, terminato da poco – possiamo e anzi dobbiamo riscoprire la charitas veritatis, la carità della verità.

Vuol dire avere sempre più dinanzi a noi, nella vita cristiana, il binomio inscindibile verità/carità come viene scandito nel Nuovo Testamento. Non a caso san Paolo insiste tanto sulla verità quanto sulla carità, presentandole come realtà strettamente unite fra loro. Per l’Apostolo non c’è verità cristiana se manca l’amore – “…agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo” (Ef 4,15) – e non si dà amore cristiano che non faccia riferimento alla verità: “La carità… si rallegra della verità” (1Cor 13,4.6).

L’evangelista Giovanni, poi, durante l’ultima cena, mette sulle labbra di Gesù queste parole che, a loro volta, esprimono uno stretto legame tra fede e vita; vita che risulta così plasmata dai comandamenti e dice un nesso inscindibile tra fede e professione della verità divina, tra fede e amore per Gesù: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce” (Gv 14,15-17).

Anche qui ritorna il binomio carità/verità preceduto significativamente dalla richiesta di osservare i comandamenti; in ogni modo, a ben vedere, il binomio carità/verità contiene il seme ed è la radice di ogni opera di misericordia.

In Gesù trova, in tal modo, il suo pieno compimento l’annuncio profetico di Isaia che poco fa è stato proclamato: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9, 1).

Il carisma del fondatore san Domenico bene si esprime in questa “grande luce” e ne è diventato limpida e brillante trasparenza tanto che – come tutti sappiamo – Dante ne poté parlare come colui che “per sapienza in terra fue / di cherubica luce uno splendore” (Paradiso, XI, 38-39).

E a santa Caterina da Siena, luminoso fiore dell’ordine domenicano,  il Signore stesso ispirò questo ritratto di Domenico: “Nel mondo pareva un apostolo; con tanta verità e lume seminava la parola mia, levando le tenebre e donando la luce. Egli fu un lume, che io porsi al mondo per mezzo di Maria…” (Dialogo, c. 158).

L’amore per Dio, l’amore per la verità divina, ossia la caritas veritatis fu ciò che sempre guidò san Domenico e, ben presto, divenne il carisma della nascente Famiglia da lui costituita e di cui – come già detto –  oggi celebriamo solennemente l’Ottavo Centenario che consente di rinnovare l’attenzione, la dedizione e la fedeltà al suo progetto apostolico.

Viviamo noi, per primi, nella verità e nella carità, mostrando a quanti ci stanno accanto che cos’è la vita di Dio e in Dio. Non separiamo mai carità e verità; vorrebbe dire dividere ciò che è indivisibile nell’unione originaria. Ogni peccato – prima di avere un suo profilo specifico e un suo proprio contenuto – è, nella sua radice, carenza di verità e carità. Il peccato, anzi, consiste in questa separazione; non è qualcosa di immaginario, ma di concreto che segna la nostra vita e quella della Chiesa.

A nessuno, quindi, è lecito in alcun modo banalizzare il peccato pensando che, intanto, Dio è misericordioso e perdona. Certo, Dio è misericordia e perdona, ma il peccato lacera sia il cuore di Dio, sia dell’uomo, sia della comunità e ci chiede la conversione e la riparazione. È perciò necessario prendere le distanze dal peccato, attraverso la conversione, riparare e guarire la ferita provocata dal peccato. E ciò avviene attraverso il dono della misericordia che chiede d’esser accolto da chi si converte.

La rinnovata comunione con Dio deve coincidere con la nostra presa di distanza dal peccato e il nostro rinnovato proposito di abbracciare la verità, di lasciare dietro a noi le tenebre, di camminare finalmente nella luce. E questo è esattamente il senso delle promesse battesimali che scandiscono la vita del cristiano: rispondere a Dio ricco di misericordia in verità, sincerità e carità rinunciando a se stessi e al proprio peccato.

Stare nella pace, aver fiducia in Dio Misericordia superando le ideologie del mondo – il mondo, infatti, eccelle nel costruire sempre nuove ideologie – e accogliere la sua Parola sempre attuale e valida – ieri, oggi e sempre – per poter penetrare il Mistero di Dio.

Il peccato è tradimento dell’amore e della verità, ossia tradimento di Dio. Occorre temere di più Dio e meno gli uomini. Saremo più liberi. Forse daremo fastidio a qualcuno, ma assaporeremo la pace della coscienza. Dio va temuto solo perché potremmo perderlo, gli uomini – che vanno sempre amati e accolti – li dobbiamo temere solo se ci allontanano da Dio.

In questa straordinaria circostanza non va dimenticato il carattere speciale che la contemplazione – sorgente e riferimento di ogni vera azione apostolica – ha, da subito, assunto nella vita di san Domenico e di questa Famiglia religiosa, in spirito di fedeltà alla felice formula di san Tommaso: “contemplari et contemplata aliis tradere”. “La vita propria dell’Ordine – è scritto nella Costituzione fondamentale domenicana – è l’autentica vita apostolica: una vita in cui la predicazione e l’insegnamento sgorgano dall’abbondanza della contemplazione” (Liber Constit., n. 1, IV). Proprio l’abbondanza e la pienezza della contemplazione sono compito e vocazione che voi Domenicani siete chiamati a vivere con fedeltà quotidiana e a ridonare continuamente, con i suoi molteplici frutti, alla Chiesa e al mondo.

Sarete così sempre di più ciò che san Domenico voleva e desiderava per voi: essere persone che si comportano “ovunque onestamente e religiosamente, come persone che desiderano ardentemente la propria e altrui salvezza, come uomini evangelici, che, seguendo le orme del Salvatore, parlano con Dio o di Dio nel loro intimo e col prossimo” (Const. Ant., II, c. 31).

La contemplazione diventa sempre un dono di sapienza da condividere: è il dono che ci dà il gusto (sàpere) delle cose di Dio, il gusto di Dio. E questo si ottiene stando di fronte a Lui, pregando molto – continuamente, ci ricorda il Vangelo -, dando tempo a Dio nella nostra vita. Il dramma di molti uomini, di molte donne, anche di molti religiosi e di molti ecclesiastici è non avere più tempo per Dio.

Come san Domenico che la elevò a “speciale patrona”, allora, guardiamo a Maria, l’Immacolata, la prima contemplatrice perché per prima ha potuto e voluto custodire e meditare nel suo cuore il mistero del Verbo incarnato.

Il suo “sì” ha reso possibile l’irruzione della Misericordia di Dio nella storia e, da allora, tutto passa da Lei. Sì, tutto passa – come a Cana di Galilea (cfr. Gv 2,1-11) – attraverso le sue mani. E il Concilio Vaticano II ci insegna che la Sua maternità si dispiega come mediazione all’interno dell’unica e sufficiente mediazione di Cristo (cfr. Lumen gentium, n. 62). Per questo La invochiamo sempre come nostro rifugio e, in quanto peccatori bisognosi della Divina Misericordia, la veneriamo come nostra Regina e Mater Misericordiae, sicura via di tutte le grazie.

Al termine del giorno, i frati sono soliti rivolgersi a Maria – Madre della Divina Misericordia – con la preghiera della Salve Regina. Proprio agli inizi dell’ordine Giordano di Sassonia, immediato successore di Domenico nel governo dell’Ordine, introdusse – dopo la recita di Compieta  – il canto della Salve Regina con la specifica intenzione di ottenere per i frati la protezione della Madre del Signore dagli influssi demoniaci. E presto, dal convento di Bologna dove questa pratica ebbe inizio, l’usanza si diffuse in tutte le case dell’Ordine.

A conclusione di quest’Anno Giubilare Domenicano chiediamo, dunque, attraverso la Sua materna intercessione che la Vergine, Madre della Divina Misericordia, sostenga e ravvivi l’impronta propria del carisma domenicano: il culto della verità intensamente contemplata, fedelmente vissuta e annunciata.

Faremo così nostre le belle e suggestive parole del salmo proposto dalla liturgia odierna, quasi un programma di vita: “Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario… Il mio cuore ripete il tuo invito: «Cercate il mio volto!». Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto … Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi” (Salmo 26, 4.8-9a.13). E con vera fiducia e amore, ora, accostiamoci all’altare come comunità desiderosa di comprendere e vivere al meglio il dono della Misericordia di Dio, un dono che passa sempre attraverso la croce gloriosa di Gesù nella santissima Eucaristia.