L'omelia per il Natale del Signore

Il Patriarca: «Il mondo non si salva con un atto di potenza»

Le parole del Patriarca Francesco Moraglia nella basilica cattedrale di San Marco

S. Messa del giorno di Natale

(Venezia / Basilica cattedrale di S. Marco, 25 dicembre 2024)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

Cari fratelli e sorelle,

oggi è Natale e noi celebriamo l’ingresso di Dio nella storia, in forma umana; il Creatore assume una reale carne umana (una vera e concreta natura umana) e diventa uno di noi per salvarci.

Tutto questo avviene in un modo sorprendente ed inatteso, in una modalità non rispondente alla logica umana, tanto più a quella che caratterizza la nostra cultura contemporanea.

Nel Vangelo proclamato nelle sante Messe della notte (Lc 2,1-14) e dell’aurora (Lc 2,15-20) risaltano la semplicità e la povertà che caratterizzano l’evento della nascita di Gesù, l’Unigenito figlio di Dio: Giuseppe e Maria non trovano posto nell’albergo e non c’è nulla di meglio che una mangiatoia per far nascere il loro figlio, annunciato dagli angeli e accolto dai pastori, ossia gli ultimi nella scala sociale del tempo.

Sia il Vangelo della Messa del giorno – il prologo di san Giovanni (Gv 1,1-18) – sia la seconda lettura – tratta dalla lettera agli Ebrei (Eb 1,1-6) – ci consegnano l’evento di Betlemme e rivelano il contenuto e l’orizzonte del Natale. Quel bambino, nato in quelle miserevoli condizioni, è il Verbo di Dio che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14), è il Figlio che Dio Padre “ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente” (Eb 1,2-3).

Se noi uomini avessimo dovuto programmare l’ingresso di Dio nel mondo, lo avremmo ideato e realizzato in modo diverso. Mai avremmo pensato di far nascere il Figlio di Dio in una spelonca ricavata da una grotta, adibita come ricovero per animali (per Maria e Giuseppe non c’era, infatti, posto nell’albergo – cfr. Lc 2,7); c’erano solo un po’ di paglia, una mangiatoia e due sposi di modeste condizioni sociali.

Noi avremmo fatto un’altra scelta secondo i criteri del mondo dando spazio a ben altri personaggi e realtà, non ai pastori, non ad una spelonca, non ad una fredda notte. Mai avremmo scelto una località del tutto sconosciuta come Betlemme, tantomeno quel misero luogo privo di ogni conforto… Avremmo scelto una delle grandi città del tempo, se non proprio Roma o Atene o Alessandria d’Egitto, almeno Gerusalemme… Mai avremmo pensato a chiamare i pastori, impegnati di notte a vegliare i loro greggi, a far da invitati a questa nascita divina.

A Natale, quindi, percepiamo la verità delle parole fissate nel libro del profeta Isaia: “…i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8). Nello stesso tempo, percepiamo come quanto accade e quanto celebriamo in questo giorno ci dica qualcosa d’essenziale per noi e la nostra conversione.

Insomma, o il cristiano si sforza perché il Natale diventi criterio di vita (contenuto e stile di ogni giorno) oppure il Natale coincide col panettone, i brindisi, qualche canto o regalo. È in gioco qui la nostra stessa identità cristiana, quella che i più fedeli al Battesimo s’impegnano a testimoniare, nelle scelte di ogni giorno, per la loro appartenenza a Gesù ma che, in realtà, molti tradiscono nell’innocente e scontato brindisi in cui, per molti cristiani, c’è tutto il Natale.

In questo 2024 il Santo Natale coincide con l’inizio dell’Anno giubilare, inaugurato ieri sera da Papa Francesco e che noi apriremo a livello diocesano nel pomeriggio di domenica prossima – il 29 dicembre – qui a San Marco, dopo esserci ritrovati a San Zaccaria e giungendo pellegrini in questa cattedrale.

È questo un anno particolare che ci viene offerto e che vuole essere apportatore di doni di grazia e opportunità straordinarie, di purificazione e conversione.

Purificazione: da tutto ciò che ci allontana da Dio, da ogni forma di attaccamento a noi stessi e a ciò che è contrario alla Sua volontà di bene e a tutto ciò che porta a mettere Dio in secondo piano o addirittura ad accantonarlo.

Conversione: non è mai un fatto puntuale, ma è una progressione e inizia con l’ascoltare la voce di Dio nella propria coscienza per entrare, una buona volta, nella logica e nel modo di agire di Dio, così diversi dalle modalità e dalle tattiche che noi utilizziamo nelle relazioni personali e sociali e che generano conflitti, tensioni e morte a non finire. La storia e l’attualità recenti lo attestano, purtroppo quotidianamente, in modo drammatico.

Guardiamo, allora, in questo Natale all’evento di Betlemme osservando i personaggi del presepio. Il presepio – per noi tutti – è una catechesi, un esame di coscienza e un riflettere sul mistero del Natale. E chiediamoci: quanto siamo vicini (o lontani) rispetto alla logica che essi manifestano? Quanto della semplicità e dell’essenzialità del presepio ci appartiene davvero? Siamo, ormai, troppo “raffinati”, per cose del genere? Così, allora, saremo in grado di dare una risposta al perché un’anima come quella di Francesco d’Assisi abbia potuto pensare e rappresentare il presepio a Greccio nel 1223.

Il Natale diventa, in tal modo, esercizio di realismo e concreta apertura al Mistero di Dio che entra nel mondo e lo salva nel bambino di Betlemme. Se invece non è così, svuotato di tutto, il Natale decade a rito mondano e consumistico, una delle tante feste come il Capodanno, il Carnevale o i giorni di vacanza a Ferragosto.

Il Natale del Signore dice a tutti noi, con semplicità e chiarezza, che il mondo non si salva con un atto di potenza e, tanto meno, da se stesso e che l’uomo non è autosufficiente, seppur raggiunge sempre nuove mete, conoscenze e potere tecnico-scientifico che, alla fine, potrebbero farglielo credere e anche se oggi con l’intelligenza artificiale potrà raggiungere mete e livelli mai toccati prima che potrebbero perfino (Dio non voglia!) “abolire” l’uomo stesso che l’ha inventata e promossa.

Il mondo, prigioniero nelle sue logiche, può solamente pianificare e organizzare l’esistente. Ma ciò non basta, non può bastare; la salvezza è ben altra cosa! Il mondo è salvato da tanti san Francesco, da tanti san Benedetto, da tante Madre Teresa, da tanti papà e mamme di famiglia che ogni mattina si alzano e vivono la loro giornata in scienza e coscienza.

Il Natale ci ricorda, ancora, che il mondo e l’uomo hanno bisogno di questa vera novità e originalità e, soprattutto, di una speranza credibile; hanno bisogno di una salvezza che riguarda tutto l’essere del mondo e ogni fibra dell’uomo.

“Tutti sperano – scrive Papa Francesco all’inizio della Bolla di indizione dell’Anno giubilare “Spes non confundit” -. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza” (Papa Francesco, Bolla di indizione dell’Anno giubilare “Spes non confundit”, n.1).

Riprendiamo la lettura dei Salmi: dentro ci sono tutti questi sentimenti, c’è tutta questa realtà umana e in più i Salmi sono parola di Dio ispirata e cioè una preghiera messa nel tuo cuore e sulle tue labbra perché tu possa scoprire chi sei e chi è il tuo Dio.

La speranza che ci può rianimare e rigenerare è quella che ci è donata nel Natale, evento che viene da Dio; sì, è un suo dono, non una nostra invenzione o progettazione che l’uomo mai avrebbe potuto anche solo pensare. Il Natale è l’accadimento che salva il mondo proprio perché non è un fatto “mondano” e – come ci mostra il presepio – ha la forza dirompente di sbaragliare la logica e i pregiudizi umani, anche il pregiudizio del “buon senso” dell’uomo che si dispiega sempre più nel “politicamente corretto” senza che, ormai, ce ne accorgiamo più.

Il Natale, invece, ci consegna la verità di Dio e, quindi, il vero senso dell’uomo e del nostro convivere, non il senso comune degli uomini. La nostra contemplazione del presepio, in questi giorni, riconsegni il nostro cuore a comprendere la logica di Dio e ci disponga ad accoglierla finalmente nelle nostre vite. Dio ci parla oggi attraverso Suo Figlio, nato in quel modo e in quel contesto. Quel Bambino è venuto per consegnarci la verità di Dio, non il buon senso degli uomini!

Natale è sentirci uniti agli altri, in un appartenersi reciproco, non perché l’altro mi è simpatico ma perché Gesù è morto per me e per lui e, alla fine, questa verità non ti può lasciare indifferente.

Potrà così rinascere la speranza e ognuno di noi potrà vivere quest’Anno giubilare da “pellegrino di speranza”, come augura a tutti noi Papa Francesco. Pellegrini e, insieme, testimoni di speranza perché inseriti e radicati in quella speranza che “nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce” (Papa Francesco, Bolla di indizione dell’Anno giubilare “Spes non confundit”, n. 3) e che viene nel mondo con la nascita di un inerme bambino a Betlemme.

“Spes non confundit”, “la speranza non delude” (Rm 5,5) – nonostante e anche attraverso i nostri limiti, le nostre fatiche, i nostri peccati – perché oggi è nato per noi il Salvatore del mondo, Gesù, nostra unica speranza.

La buona notizia di oggi, infatti, è che la santità non è la storia di persone perfette che non hanno mai sbagliato ma di persone che hanno saputo chiedere scusa di fronte ad una mancanza o ad un errore. La storia di molti santi, anche per questo, è bellissima perché ci dice che tutti possiamo diventare un capolavoro di Dio. E molte volte la vita è lunga proprio per darci il meglio in pochi anni, in pochi mesi, in pochi giorni.

Come diremo tra poco nel Prefazio III del Natale: “In lui [oggi] risplende in piena luce il sublime scambio che ci ha redenti: la nostra debolezza è assunta dal Verbo, la natura mortale è innalzata a dignità perenne”.

Buon Natale a tutti!

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