Omelia del Patriarca nella S. Messa per l’ordinazione presbiterale di don Rafael Arias Mejia (Venezia – Basilica Cattedrale di S. Marco, 28 giugno 2025)

S. Messa per l’ordinazione presbiterale di don Rafael Arias Mejia

(Venezia – Basilica Cattedrale di S. Marco, 28 giugno 2025)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

        

 

 

 

Caro don Rafael,

innanzitutto un grazie va alla tua famiglia e a tutti coloro che hanno accompagnato il tuo cammino fino al giorno di oggi.

La tua ordinazione sacerdotale coincide col giorno in cui la liturgia della Chiesa celebra la memoria del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria; in tal modo il tuo sacerdozio si pone, in modo del tutto particolare, sotto la protezione di Colei che è la Madre del Sommo ed Eterno Sacerdote e, quindi, la Madre di tutti i sacerdoti.

Porta sempre vivo in te questo ricordo e fa’ che segni la tua spiritualità di presbitero, perché nella Chiesa il principio mariano è onnicomprensivo e pone Maria come il riferimento del discepolo, grazie al suo “sì” pieno e totale, detto una volta per sempre dalla fanciulla di Nazaret.

Per tale sua caratteristica, infatti, Maria non appartiene ad una porzione della Chiesa né indica solo una vocazione e neppure solo un ministero, ma dice il sì della Chiesa e rappresenta la totalità del mistero ecclesiale.

All’interno di questo onnicomprensivo principio mariano troviamo gli altri principi che caratterizzano e articolano in modo concreto la vita della Chiesa e, oggi, in particolare – in corrispondenza con il sacramento dell’ordine che ti viene conferito – il riferimento va al principio e ministero petrino che è essenziale ma, nello stesso tempo, ricorda alla Chiesa che è essa sempre relativa, ossia in relazione al Signore Gesù.

Il ministero ordinato, così, è la presenza particolare di Gesù, Sommo ed Eterno Sacerdote; è la realtà che ricorda alla Chiesa che appartiene a Gesù Cristo, è relativa a Lui e la salvezza viene solo da Lui. E quando la Chiesa dimentica questo e parla troppo di se stessa – e delle sue strutture da organizzare – diventa una Chiesa che ha distolto lo sguardo dall’essenziale.

Come ricorda l’esortazione apostolica “Pastores dabo vobis” al n. 16 “il sacerdote si pone non soltanto nella Chiesa ma anche di fronte alla Chiesa”; non è quindi realtà extraecclesiale ma, anzi, ricorda alla Chiesa che la sua realtà ultima la rimanda a Cristo che è sposo, capo, maestro. E da qui, caro don Rafael, deriva qualcosa di importante per chi è chiamato a stare di fronte alla Chiesa facendone parte: lo stile di vita, le sue parole, anche il modo di arrabbiarsi di un prete non può essere lo stesso di un comune battezzato… Al sacerdote è dato di più ed è chiesto di più.

La Chiesa non è solo un’associazione di persone che si amano, si vogliono bene e si incontrano ma è un dono che precede e crea tale amicizia; è il dono di Cristo, è il Suo cuore, aperto sulla croce, che si dona e da cui nasce incessantemente la Chiesa.

La prima lettura di oggi è tratta dal libro del profeta Isaia (Is 61,9-11) in cui convergono diverse tradizioni: i primi 39 capitoli si fanno risalire al profeta (siamo intorno all’VIII secolo a.C.); dal capitolo 40 al 55 segue, invece, una serie di oracoli o scritti che appartengono all’epoca dell’esilio babilonese (anni 587-538 a.C.); infine, gli ultimi dieci capitoli, dal 56 al 66, sono costituiti da oracoli e detti che ci riportano al ritorno dall’esilio e agli anni della faticosa ricostruzione del tempio di Gerusalemme.

I versetti del cap. 61 del libro del profeta Isaia – appena letti – appartengono a quest’ultima parte; dopo aver parlato del peccato e della salvezza per quanti sono rimasti fedeli, presentano la gloria di Gerusalemme, la città santa.

Per comprendere il testo è necessario però aver presente l’intero libro in cui si parla dello Spirito del Signore che scende per rimanere su uomini da lui scelti e chiamati; tale testimonianza è essenziale per il popolo, anche nell’epoca faticosa del ritorno dall’esilio e della ricostruzione del tempio.

Ecco, allora, risuonare parole di consolazione e di incoraggiamento: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia… come la terra produce i suoi germogli e come un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti” (Is 61,10-11).

Dio si mostra realmente vicino al grido del suo popolo e alle sue sofferenze: nessuna domanda di salvezza da parte del suo popolo – la “stirpe benedetta” – rimarrà inascoltata.

In questi versetti leggiamo, in filigrana, la grande missione del presbitero, a partire proprio dal sapere che la salvezza si compie diversamente da quanto le valutazioni o i calcoli umani possono prefigurare. “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie” (Is 55,8), è sempre il libro di Isaia che ce lo ricordo.

Caro don Rafael, mi viene da sorridere ricordando quanti conclavi mediatici abbiamo visto nelle settimane precedenti il vero conclave, quello dello Spirito Santo!

La salvezza non consiste nel perseguire traguardi sociali (ricordiamo le tentazioni di Gesù!); non è neanche un aiuto o un accompagnamento di tipo psicologico; è qualcosa di ben diverso, di interiore, di spirituale, di più esigente, anche se queste sono cose che talora il sacerdote è chiamato a fare ma sapendo sempre che non è né assistente sociale né psicologo. Il rischio è cadere, senza neanche averne il sentore, in un pelagianesimo e alla fine in un’apostasia poiché Gesù Cristo potrebbe rimanere solo un nome mentre, in realtà, tutto viene lasciato all’agire umano.

Nella visione di Isaia i rimpatriati di quel tempo non sono persone appagate dalla vita ma sono persone che attendono tutto da Dio e, pur nella loro sofferenza, nelle loro carenze materiali e nella povertà spirituale, diventano portatrici di salvezza ed esprimono così i futuri battezzati, ossia ciò che oggi diciamo il sacerdozio universale dei fedeli.

Il ministero ordinato – il sacerdozio gerarchico – ha senso proprio perché è a servizio del sacerdozio universale dei fedeli (cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium n.10). Al di là di ogni logica umana, sia il libro di Isaia sia la realtà del ministro ordinato si pongono su un piano differente, quello del rapporto con Dio. L’uomo deve essere inteso e compreso in ogni sua dimensione e nel suo essere capace di dare lode al Creatore con la santità della vita. E questo grazie alla Parola di Dio; tra poco, caro don Rafael, ti sarà chiesto di annunciare quello in cui credi e che plasma la tua vita. E tutto ciò appare in modo chiaro nei sacramenti – battesimo, riconciliazione, matrimonio, ordine sacro – che, in un’epoca di secolarizzazione come la nostra, vanno intesi e compresi come i sacramenti della fede (e un sacramento non può essere tirato dietro a qualcuno!).

Siamo chiamati a percorrere una strada che richiede una costante conversione personale e che si riverbera sulla vita della comunità, elemento ancor più importante oggi in questi tempi di divisione, di odio e di guerre.

Oggi, oltre alla carenza di pace tra gli Stati, si dà anche una carenza di pace a livello delle famiglie e degli amici e questa situazione insanguina le nostre strade e i nostri quartieri. Pensiamo ai tanti (troppi) fatti di sangue che quotidianamente vengono riportati dei notiziari come notizie ormai “ordinarie”. Mi riferisco ai “femminicidi” e a quei fatti di sangue che vedono per protagonista il mondo giovanile e degli adolescenti e che giungono sino anche all’omicidio per i motivi più banali.

Ora ritorniamo al significato dell’odierna memoria liturgica – il Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria – che si inserisce bene nella nostra celebrazione che conferisce a te, carissimo Rafael, il presbiterato e, quindi, il secondo grado del sacramento dell’ordine.

Tale memoria ricorre il giorno dopo la solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù; la spiritualità del Cuore Immacolato di Maria si è sviluppata in particolare nel XVII secolo e trova importanti riferimenti negli scritti di San Giovanni Eudes. Ma si trova espressa in modo chiaro nel Vangelo secondo Luca dove si accenna alla sapienza riflessiva della Madre che medita nel suo cuore gli avvenimenti della vita del Figlio (cfr. Lc 2,52).

Oggi questa devozione, insieme a quella del Sacro Cuore di Gesù, a causa di una teologia intellettualista e alla fine “gnosticheggiante”, si smarrisce e ci fa smarrire il valore del “corporeo”, come testimonia anche un certo successo di alcune religioni spiritualistiche (pensiamo ai metodi di meditazione orientale).

Maria è la prima discepola e la prima evangelizzatrice; nel suo cuore immacolato – in cui non c’è ombra di peccato – Ella riesce, a differenza di ogni altra creatura, a pronunciare quel sì pieno che Le permetterà di vivere un incontro totale con Dio.

Ciò appare già al momento dell’annunciazione (cfr. Lc 1,26-38), quando Dio, il Padre, manda l’angelo alla fanciulla di Nazareth e La chiama “piena di grazia”. Le annuncia la divina maternità del Figlio e, nello stesso tempo, Le dice che tutto quanto sta avvenendo è opera dello Spirito Santo.

Questo cuore immacolato, libero dal peccato, permette a Maria di pronunciare un sì davvero pieno, completo, davvero “cattolico”, ossia universale, “secondo la totalità”, che le consente di comprendere – per quanto possibile ad una creatura – il tutto, la pienezza del mistero di Dio.

In tale prospettiva possiamo leggere anche il brano odierno del Vangelo (Lc 2,41-51): qui è Maria che va a scuola dal Signore Gesù e si fa discepola del Figlio proprio nel momento in cui si rivolge a Lui con parole profondamente umane e materne: “Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo…” (Lc 2,48).

Queste sue parole e, poi, la risposta di Gesù ci fanno capire che in Maria la maternità fisica diventa qualcosa che va oltre; si tratta di una maternità spirituale alla quale viene educata dal Suo stesso Figlio, quel Gesù ancora dodicenne che, anche in modo esigente, pone la Madre proprio di fronte al compito della maternità spirituale.

Siamo nell’epoca in cui si divide il corpo dallo spirito e si crede così di emancipare l’uomo; in realtà si finisce per disprezzare il corpo e la maternità diventa solo un fatto biologico mentre la maternità – oltreché biologico – è un fatto antropologico, spirituale, teologico.

La caratteristica di Maria è quella di donare, di donare sempre, di donare tutto. Qui, in un certo senso, il Figlio la invita a farsi da parte perché Lui – quando sarà la sua ora – possa iniziare, sviluppare e portare a compimento l’opera redentrice in cui Maria ha un posto di rilievo (pensiamo alla sua coraggiosa presenza, forte e credente, sotto la croce).

Carissimo don Rafael, nel sì di Maria c’è tutta la spiritualità del presbitero. Fra poco sarai interrogato e sarai invitto a dire il tuo sì, un sì libero (altrimenti non avrebbe senso), pieno, sincero. In quel momento puoi sentire la preghiera di tutta la Chiesa che ti accompagna ma senti soprattutto la preghiera dei santi che invocheremo poco dopo come tuoi amici, sorelle e fratelli maggiori.

Il sacerdote non è un uomo che possiede qualcosa, ma piuttosto una persona che dona quello che ha ricevuto in abbondanza con il ministero ordinato, esercitando così la paternità spirituale (altrimenti si eserciterà solo l’egoismo spirituale).

Per essere un prete secondo il cuore di Cristo sarà, allora, fondamentale far vivere e risuonare in te, in modo pieno e totale, l’onnicomprensivo principio mariano, ossia lasciare che il tuo odierno sì ti “espropri” fino in fondo del tuo uomo vecchio. E ciò deve realizzarsi da subito.

Fra poco pronuncerai le promesse sacerdotali: proclamale con sincerità e verità. Pensa che dovranno risuonare ed essere riscontrabili in ogni giorno della tua vita. Sarebbe bello che l’esame di coscienza di un prete, alla fine di ogni giornata, riguardasse anche le sue promesse sacerdotali!

È facile per un prete lasciarsi prendere dall’io personale, l’io dell’uomo vecchio, eppure il suo sacerdozio è chiamato a diventare un inno mariano, come il Magnificat; non basta l’efficacia dell’ex opere operato (cioè la forza e la validità del sacramento) perché è richiesto anche il tuo personale contributo (l’ex opere operantis).

Tanti in Francia, nel XIX secolo, erano sacerdoti e parroci ma uno solo era il Curato d’Ars. E ancora, in quel tempo c’erano tante monache di clausura ma una sola era Teresina di Lisieux. Ricordati, caro don Rafael, che sei ordinato nell’anno centenario (1925/2025) della canonizzazione del Santo Curato d’Ars e di Santa Teresa di Lisieux.

Molto nell’apostolato di un prete dipende dalla testimonianza, dal dono, dall’obbedienza e dal sacrificio che un sacerdote compie nel render fecondo il suo ministero. E tutto questo si realizza e si comprende bene quando, nel ministero, un sacerdote non si impossessa delle cose o delle persone (sotto il termine “amicizia”) e neanche degli uffici ma è capace – come Gesù diceva di sé – di non fermarsi, ma di passare di villaggio in villaggio per annunciare, in modo instancabile, il Regno di Dio e compiere gli atti sacramentali del Regno di Dio là dove il Signore lo manda, sempre e in ogni momento ascoltando la voce della Chiesa.

Carissimo don Rafael, affida con fiducia e gioia il tuo ministero che oggi inizia al Cuore Immacolato di Maria, Madre della Chiesa e del tuo sì. Ricordati di tuti coloro che hanno reso possibile questo momento, a cominciare da papà e mamma, con il dono della vita, l’accompagnamento nell’educazione e la trasmissione dei valori della fede. Ringrazia i superiori del Seminario che non sono perfetti, come ogni uomo, ma sono persone oneste e che amano la Chiesa. Ringrazia le comunità che hai incontrato, ringrazia tutte le persone che ti hanno incoraggiato e anche quelle che eventualmente ti hanno fatto soffrire; sono, se guardi tutto con fede, la Provvidenza di Dio nella tua vita.

 

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