Omelia del Patriarca nella S. Messa per i funerali di don Vittorio Scomparin (Porto Santa Margherita – Chiesa S. Giovanni XXIII, 29 luglio 2025)

S. Messa per i funerali di don Vittorio Scomparin

(Porto Santa Margherita – Chiesa S. Giovanni XXIII, 29 luglio 2025)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

Appena pochi giorni fa, giovedì scorso, ero stato nuovamente a trovare don Vittorio a casa e alla mia domanda – “Come va?” – mi aveva risposto subito, con sguardo mite ma determinato: “È una battaglia”.

Si riferiva certamente alla battaglia contro il male impietoso che lo aveva colpito da parecchi mesi e che, giusto un anno fa, aveva portato alla morte prematura un altro prete diocesano (don Sandro Vigani), anch’egli originario di Eraclea.

Don Vittorio mi aveva accennato nel dicembre scorso alle sue condizioni di salute; c’era bisogno di fare accertamenti che aveva potuto compiere una volta ritornato in Italia. E ricordo poi che, non molti giorni dopo, gli avevo telefonato e mi aveva comunicato la serietà della diagnosi. I mesi successivi sono stati, quindi, segnati dalla gravità della malattia e dai tentativi di fermarla. In quest’ultimo periodo ho così avuto modo di seguirlo più da vicino, anche con incontri di persona, rispetto ai tempi precedenti che lo avevano visto impegnato pastoralmente in varie parti del mondo.

Ma la battaglia a cui, altrettanto certamente, don Vittorio faceva cenno in quel nostro ultimo colloquio, è la battaglia della vita e della fede per la quale si è speso finché ha potuto. E allora risuona particolarmente per lui, oggi, la parola di Dio che è stata appena proclamata.

Le forti esortazioni che, nella prima lettura (2Tm 4,1-8), san Paolo rivolge a Timoteo si adattano bene alla vita e al sacerdozio di don Vittorio e, quasi, ne fanno una sintesi, parlando della vita cristiana proprio come di una battaglia: “…annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina… vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero… Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” (2Tm 4,2.5.7).

La sua è stata una vocazione adulta al presbiterato (entra, infatti, in Seminario a 30 anni e viene ordinato a poco più di 36), una vocazione figlia dell’esperienza vissuta nel Cammino neocatecumenale e che poi si rifletterà anche lungo quasi tutto il suo percorso sacerdotale.

L’ascolto e la predicazione del kerygma lo hanno letteralmente salvato e sostenuto – sia fisicamente che spiritualmente – in ogni momento, anche e soprattutto nei tornanti più difficili della vita che ha dovuto affrontare prima di diventare prete, poi nelle fatiche dell’evangelizzazione e della missione ed infine nell’affrontare in questi 8/9 mesi di vita la gravità della malattia che lo aveva colpito. È stato, insomma, un uomo e un prete di fede non solo proclamata ma profondamente vissuta, capace di affidarsi a Dio e alla sua Provvidenza in modo pieno e totale, costruendo e ricostruendo in tal modo la sua vita. Ho avuto modo di constatarlo anche in quell’ultimo colloquio.

Dopo i primi tre anni passati al Sacro Cuore di Jesolo come vicario parrocchiale, don Vittorio aveva chiesto al Patriarca Marco Cè – e ottenne da lui l’autorizzazione e la benedizione – di poter seguire la sua specifica vocazione di annunciare il Vangelo anche in altre parti del mondo. Così fece anche con me, quando sono arrivato a Venezia.

Divenne così presbitero itinerante del Cammino neocatecumenale e la sua “itineranza” lo ha portato prima in varie diocesi della Germania e della Svizzera (in zone di lingua tedesca) e poi anche in Gran Bretagna; il suo impegno più intenso e prolungato è stato, però, in Canada dove è stato per tanti anni alla guida di una parrocchia di Vancouver e, ultimamente, catechista nel Quebec. Ricordo anche le difficoltà che mi raccontava e che trovava spesso a causa della estrema secolarizzazione e della radicale scristianizzazione di quei territori.

La sua opera missionaria mi fa tornare alla mente la figura del santo vescovo François de Laval, francese d’origine, che nel XVII secolo pose le basi della Chiesa Cattolica in Canada rilanciando l’azione pastorale della Chiesa, in un contesto di profonda crisi, a partire soprattutto dalla valorizzazione e responsabilizzazione della famiglia, realtà antropologica fondamentale e luogo di trasmissione della fede alle nuove generazioni.

Le difficoltà che l’annuncio cristiano trovava ancora oggi, in tali terre, spronavano don Vittorio e lo rendevano semmai ancor più determinato, pur nella consapevolezza di una società che stava voltando le spalle al Vangelo.

Apostolo itinerante del Vangelo, ossia di Gesù Cristo, Colui che fa ardere il cuore (come abbiamo sentito nella lettura evangelica dei discepoli di Emmaus – Lc 24,13-16.28-35), e pellegrino di speranza affidato tutto alla Provvidenza di Dio: sono i tratti distintivi di don Vittorio che, in alcune delle sue ultime estati, aveva anche intrapreso – da autentico pellegrino – dei percorsi spirituali di fede lungo la via Francigena e il cammino verso Santiago de Compostela.

E qui mi viene in mente la figura di un altro santo, anch’egli francese ma del XVIII secolo: Benedetto Giuseppe Labre, detto il “pellegrino e il vagabondo di Dio” che attraversò la Francia e l’Italia “armato” solo di poche cose nel suo bagaglio personale – la croce, il breviario, il rosario e il libro “Imitazione di Cristo” – e confidando sempre nella carità di chi incontrava.

Don Vittorio, con la sua vita, ha cercato sempre di testimoniare il Vangelo con profondo amore a Cristo, in ogni servizio che gli veniva chiesto; anche quando rientrava in famiglia – a cui era legatissimo – era disponibile a continuare ad annunciare il Vangelo ed amministrare i sacramenti, per un desiderio potente che era nel suo cuore e che potremo ritrovare anche nelle parole del salmo: “A te protendo le mie mani, sono davanti a te come terra assetata. Rispondimi presto, Signore… Non nascondermi il tuo volto… Insegnami a fare la tua volontà, perché sei tu il mio Dio” (Sal 143, 6.7.10).

Ai familiari, a tutti coloro che hanno conosciuto e amato don Vittorio, le cristiane condoglianze della Chiesa di Venezia che ora, con riconoscenza, lo consegna nelle mani buone e misericordiose del Padre, nella speranza certa che anche per don Vittorio si siano compiute le parole paoline che abbiamo sentito proclamare poco fa: “…è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà (…); e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione” (2Tm 4,6-8).

 

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