S. Messa per i funerali del diacono Luigi Zambianchi
(Zelarino / Chiesa Maria Immacolata e S. Vigilio, 28 gennaio 2025)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Desidero esprimere innanzitutto alla moglie Nicla, ai figli Alessio e Michela con le rispettive famiglie, gli amati nipoti, i parenti e gli amici, a questa comunità parrocchiale e alla comunità diaconale la vicinanza mia e della Chiesa che è in Venezia per la morte del carissimo diacono Luigi, da tutti chiamato Gigi.
I testi biblici che sono stati appena proclamati e che abbiamo ascoltato sono stati scelti – con amore – dalla famiglia e ci soffermiamo su di essi perché guidino la nostra preghiera e il nostro saluto, come comunità credente, al diacono Gigi.
Il salmo 114 (113A) celebra la profonda unità tra Dio e il suo popolo – Israele – tanto da rendere il popolo suo “santuario” e suo “dominio”, potremmo dire: sua proprietà. Il testo ha un tono alto e quasi trionfale perché racconta le opere prodigiose e i tempi propri e singolari con cui Dio si manifesta al suo popolo – la sua “avventura” in mezzo al popolo – determinandone, in qualche modo, il destino.
Emerge il vivo ricordo della liberazione di Israele: quando il Signore guida il suo popolo verso la terra promessa gli stessi elementi della natura (mare, montagne, valli ecc.) si ritirano, sgorgano sorgenti dalle rocce del deserto e il monte Sinai tuona e fuma.
I ricordi dell’esodo, ben fissi nel cuore di Israele, dicono in fondo tutto lo sconvolgimento che avviene nella vita di chi si affida al Signore e così anche noi oggi, sua Chiesa, guardando la vita del diacono Gigi, con queste parole e immagini siamo portati a ricordare i momenti che hanno caratterizzato la sua vita.
Potremmo qui ripercorrere i tanti “passaggi” significativi che hanno scandito la vita di Gigi: il lavoro come operaio a Marghera e l’impegno costante nel sindacato, la costituzione di una bella famiglia con la moglie Nicla e poi in seguito arricchita con l’arrivo dei figli e, infine, dei nipoti, la passione e il forte coinvolgimento con la vita della comunità parrocchiale di Zelarino nella quale si è speso molto in tanti ambiti (catechesi, attenzione ai ragazzi, missioni, liturgia, gruppo dei ministranti, cura anche dei momenti di aggregazione tanto preziosi per far crescere la comunità ecc.).
E poi c’è il cammino che lo ha portato nel 1995 ad essere ordinato diacono permanente, l’impegno nella pastorale sociale e del lavoro, in particolare con lo sportello “Labor” per incrociare concretamente le domande e le offerte di lavoro a favore delle persone più svantaggiate o immigrate, e ancora le fatiche crescenti e gli ultimi tempi più difficili per la salute…
Tutto – ogni momento – nella vita di un credente e di un diacono rimanda sempre alla Pasqua, evidentemente non più intesa solo come il passaggio del Mar Rosso da parte del popolo d’Israele ma, in pienezza, come la Pasqua di Cristo, morto e risorto, nella quale siamo stati inseriti a partire dal nostro Battesimo.
La vita del discepolo, di chi si affida totalmente al Signore, è ben delineata dalla lettura del Vangelo (Mt 6,25-34) che ce ne presenta stile e contenuti: “Non preoccupatevi (…) dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt 6,31-34).
Accogliere il Signore significa lasciare che la propria vita venga quotidianamente trasformata e sconvolta in una continua crescita e penso, qui, al sì che Gigi disse in occasione dell’ordinazione diaconale che si intrecciava con il sì detto al momento del matrimonio con Nicla. Anche nei particolari più piccoli della vita quotidiana il discepolo vive dell’attesa di Dio, nella ricerca e nell’attesa che Dio si renda nuovamente e ancora più chiaramente presente in modo sempre più reale nella vita del discepolo.
Il riferimento alla povertà e all’essenzialità – il Vangelo odierno – ci conduce a riconoscere la presenza e il primato di Dio nella nostra vita rispetto a tutto il resto, vincendo la preoccupazione e l’assillo dei beni e liberandoci da essi.
Guardare con fiducia alla Divina Provvidenza – Gigi si è sforzato di farlo – non vuol dire abdicare o rinunciare all’impegno concreto e costante nelle realtà nei doveri quotidiani. Tutto, piuttosto, viene guardato e vissuto in modo diverso creando uno spazio di libertà – soprattutto interiore – senza la quale si rimane asserviti al momento presente, assorbiti con le relative ansie, angosce e preoccupazioni.
Mi ha colpito il bel ricordo di Gigi scritto da Luisa Rampazzo per GVonline: oltreché uomo di grande carità, “Gigi più di tutto era il diacono poeta, colui che ad ogni festa, ad ogni compleanno ti raggiungeva con un augurio che mai era banale o scontato ma cercava sempre di lasciare un pensiero che inevitabilmente andava dritto al suo Dio, dal quale si è sempre sentito profondamente amato… Il suo ricordo rimarrà scolpito nel cuore della nostra comunità, poiché lui era parte di Zelarino e la sua presenza, anche adesso negli ultimi tempi quando stava seduto in prima fila non potendo accostarsi all’altare durante le celebrazioni, era una certezza, un sentirsi a casa”.
Gigi è stato uomo buono e fedele, come possono attestare i diversi parroci che ha avuto, in tanti anni, nella comunità di Zelarino e, anche, molti di voi, come pure la comunità diaconale, un uomo e un diacono capace di amare e servire la Chiesa sempre con generosità e passione, avvolto e guidato dallo “spirito del Signore” che – come ci ha ricordato la prima lettura (Is 61,1-3) – “è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio” (Is 61,1).
