S. Messa in occasione dell’Assemblea regionale Agesci Veneto
(Chiesa S. Maria Ausiliatrice – Gazzera, 30 novembre 2025)
Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia
Carissimi Capi,
è una vera gioia – mentre vivete un incontro significativo per l’Agesci a livello regionale – celebrare con voi l’inizio del breve e gioioso tempo d’Avvento. Intanto ricordiamo che è un tempo breve e gioioso e, quindi, bisogna fare il possibile per entrare in esso subito! La brevità del tempo lo richiede.
È un tempo gioioso perché ci prepariamo all’incontro con Gesù, ricordando la sua prima venuta duemila anni fa a Betlemme, ma ci prepariamo anche alla futura venuta, quella della fine della nostra vita e della storia.
San Bernardo, però, ci ricorda un’altra venuta e su questa desidero attirare la vostra attenzione; è quella che “si dà” in ogni momento della nostra vita.
Sì, la vita del cristiano è “Avvento”, è attesa dell’incontro con Dio e con i fratelli. Vivere il tempo liturgico dell’Avvento significa aprirsi – anche nella vita concreta – alla logica dell’incontro.
Ecco perché l’Avvento, oltre ad essere una gioiosa attesa, è anche tempo di vigilanza, ossia di attenzione per cogliere la venuta del Signore nelle nostre giornate, in ogni momento. Detto in altro modo: bisogna avere la capacità di andar oltre l’aspetto esteriore delle persone, delle cose e delle situazioni.
Se leggiamo la narrazione di Luca e Matteo – che ascoltiamo in questo tempo di Avvento – vediamo come la prima parola di Dio, rivolta a Maria e a Giuseppe, è: “Non temere”.
“Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quello che è generato in lei viene dallo spirito santo” (Mt,1,20). E poi: ”Non temere Maria perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30).
Questa esortazione l’affido a voi proprio all’inizio di questo cammino d’Avvento con l’augurio (tutto scout): “Buona strada!”.
Insieme a questo invito desidero attirare la vostra attenzione su un compagno di strada che – parafrasando le parole di Gesù – ha tutta la stoffa per essere annoverato tra i Capi Scout: parlo di Giovanni Battista.
Gesù dice di lui che, tra i nati di donna, non c’è uno più grande di Giovanni Battista (cfr. Mt 11,11). Perché vi propongo proprio Giovanni Battista? Perché la Chiesa – dalla seconda settimana d’Avvento – lo indica come figura di riferimento del cammino d’Avvento, fino a quando cederà il passo a Maria che, nella sua persona, è lo stesso Avvento.
Ricordiamo come Giovanni Battista, per testimoniare l’indissolubilità del matrimonio, arriverà a dire al re Erode, il tiranno di turno, che non può tenere con sé la moglie di suo fratello Filippo.
Sì, cari Capi Scout, Giovanni Battista, fra il senso comune del tempo in cui viveva e la verità che ha un nome (Gesù), sceglie Gesù. Tra il “politicamente corretto” – o, se preferiamo, la ricorrente espressione: “tutti lo fanno” – e Gesù, bisogna scegliere Gesù!
Il comodo ripiegarsi sul senso comune era conosciuto anche al tempo di Giovanni; Gesù però s’incammina con passo fermo verso la croce.
Carissimi, essere Capi Scout vuol dire aver fatto una scelta di fronte a Dio, di fronte a se stessi e di fronte agli altri. E questo chiede di tener vivo in noi il fuoco dell’impegno assunto. Un Capo Scout non “fa” il Capo, ma “è” Capo e lo è, dentro e fuori di sé, sempre: quando è in associazione, a scuola, al lavoro, in famiglia. È differente dire di una persona, ad esempio: è prete o fa il prete; è papà o è mamma oppure fa il papà o fa la mamma. L’essere, infatti, tocca l’intimo della persona, il fare soltanto l’agire.
Chiediamoci, a questo punto, dove ha inizio il nostro essere? Dove incomincia la nostra libertà? E ancora: dove iniziano le mie scelte personali, dove in modo responsabile dico sì qualcuno e a qualcosa?
Esseri Capi vuol dire assumersi le proprie responsabilità e, in un certo senso (solo in un certo senso e temporalmente!), anche le scelte di coloro che mi sono affidati e di coloro che si fidano di me.
Tutto questo non può realizzarsi se noi contiamo solo su noi stessi, perché non ne abbiamo le forze; tutto ha il suo inizio e la sua possibilità di riuscita a partire da Gesù. Ecco perché siamo chiamati a “fare” Avvento.
Con Gesù siamo chiamati a camminare ma non basta ancora; oltre che “con” Gesù dobbiamo camminare “in” Gesù.
È questo il senso della preghiera quotidiana, ovvero invitare il Signore a stare con noi. D’altra parte è la risposta che Gesù dà ai primi discepoli che gli chiedevano: “Maestro dove abiti?”. Egli risponde, semplicemente, con un invito: “Venite e vedrete” (Gv 1,38-39). La preghiera è essenziale per imparare a parlare come Gesù ma, prima ancora, a pensare e ragionare come Lui e, infine, ad agire come Lui, con Lui e in Lui.
Vivere con Gesù vuol dire sempre e anche vivere con la Chiesa, Colei che ci ha dato e continua a darci Gesù. Perdere il rapporto con la Chiesa significa perdere il rapporto con Colui che, prima di salire al Padre, ci ha affidati alla Chiesa.
Torniamo allora all’inizio della nostra vita e chiediamoci: chi ci ha dato Gesù? Chi ce l’ha fatto incontrare? Una comunità, uomini e donne che l’avevano incontrato prima di noi perché o già facevano parte della Chiesa o perché, a loro volta, l’avevano incontrata.
Un’ultima domanda: dove e quando viviamo il nostro rapporto con Gesù, con la sua Parola, con i suoi sacramenti? Ancora nella Chiesa, che è madre e maestra, sì, madre e insieme maestra. Oltre ad essere falsa, poi, dal punto di visto critico storico l’alternativa “Cristo si Chiesa no” non regge!
Carissimi Capi, buona strada a voi e ai vostri gruppi, la meta è la donna del Natale, la capanna di Betlemme.
