Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione della Tredicina di Sant’Antonio (Padova – Basilica di Sant’Antonio, 12 giugno 2025)

S. Messa in occasione della Tredicina di Sant’Antonio

 (Padova / Basilica di Sant’Antonio, 12 giugno 2025)

Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

Cari fratelli e sorelle,

quest’anno la Tredicina di Sant’Antonio – che questa sera ci introduce nella grande festa del nostro venerato patrono – ci ha chiesto di farci “pellegrini di speranza”.

Ci lasciamo accompagnare dal nostro Santo – uomo di speranza – per entrare in quello che Papa Francesco, nella Bolla d’indizione dell’Anno Giubilare, ha definito un “momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, «porta» di salvezza (cfr. Gv 10,7.9); con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti quale «nostra speranza»” (Papa Francesco, Bolla di indizione dell’Anno giubilare “Spes non confundit”, n.1).

Il Giubileo che stiamo vivendo rappresenta, infatti, un’occasione straordinaria di grazia che viene dall’incontro “vivo e personale” con il Signore Gesù e, quindi, con l’amore e la misericordia di Dio che rimangono sempre il cuore del Giubileo, perché il Vangelo ci porta continuamente al suo amore e alla sua misericordia.

Ogni azione del discepolo deve, però, iniziare da un rapporto personale con Dio. Vivere l’Anno Santo significa “abitare” in Dio e, potremmo dire, “traslocare” in Lui, vivere la relazione filiale con Dio.

Scrive Antonio in un sermone domenicale: “Rammenta che tutta la vita di Cristo è detta anno del perdono e della misericordia. Come infatti nell’anno ci sono quattro stagioni… così nella vita di Cristo ci fu l’inverno della persecuzione di Erode, per la quale fuggì in Egitto; ci fu la primavera della predicazione… Ci fu l’estate della passione… il giorno dell’ardore… C’è infine l’autunno della sua risurrezione per la quale, soffiate via le piaghe della sofferenza e la polvere della mortalità, la sua umanità fu riposta nelle stanze del re, cioè alla destra di Dio Padre” (Sant’Antonio, Sermoni domenicali – Domenica di Sessagesima, paragrafo 3). Sì, il Giubileo è Cristo stesso!

Nel Vangelo proclamato, tratto da Marco, patrono delle genti venete, abbiamo ascoltato le parole con cui Gesù si congeda, sul piano terreno, dagli Undici – la Chiesa –, affidando loro la continuazione della sua missione: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato…” (Mc 16,15-16). E Gesù, inoltre, assicura ai credenti il suo continuo sostegno, con segni precisi, tanto che l’evangelista termina in questo modo: “Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano” (Mc 16,19-20).

Siamo pellegrini di speranza per essere in grado, uniti a Cristo, di ritornare a Dio ossia di convertirci, chiedere perdono e misericordia per diventare così, anche noi, grazie alla nostra conversione, segni di speranza nella vita di ogni giorno. Sì, perché la speranza è davvero la “cifra” e la chiave di volta della vita del credente.

Ma cos’è veramente la speranza cristiana? E cosa, invece, non è? Di sicuro non è una comoda e superficiale fuga in avanti che estrania e sottrae dalle fatiche e dalle esigenze del momento presente; non è, insomma, quell’oppio dei popoli, come fu erroneamente definita da una visione materialista del mondo e dell’uomo ad indicare un percorso meramente consolatorio.

Non dimentichiamo poi quanto Papa Leone XIV ha sottolineato, a proposito della fede, nell’omelia della S. Messa pro Ecclesia celebrata con i Cardinali poche ore dopo la sua elezione al soglio di Pietro: “Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco” (Leone XIV, S. Messa pro Ecclesia celebrata dal Romano Pontefice con i Cardinali, 9 maggio 2025).

E il Santo Padre ha proseguito dicendo che proprio in questo mondo “che ci è affidato… siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Cristo Salvatore… È essenziale farlo prima di tutto nel nostro rapporto personale con Lui, nell’impegno di un quotidiano cammino di conversione. Ma poi anche, come Chiesa, vivendo insieme la nostra appartenenza al Signore e portandone a tutti la Buona Notizia” (Leone XIV, S. Messa pro Ecclesia celebrata dal Romano Pontefice con i Cardinali, 9 maggio 2025).

La fede e la speranza cristiana sono, quindi, realtà che attribuiscono al momento presente, alle situazioni e alle relazioni il loro giusto valore; sono, piuttosto, un antidoto al vivere esclusivamente proiettati ed anzi – sarebbe meglio dire – reclinati sul presente senza uno sguardo ulteriore, più vero e profondo.

Di nuovo, lasciamoci guidare da Sant’Antonio che scrive: “La speranza è l’attesa dei beni futuri, che genera un sentimento di umiltà e una pronta disponibilità di servizio (quindi, tutt’altro che incitamento alla pigrizia o all’estraniamento…). La speranza – sono sempre parole di Antonio – è detta in latino spes, quasi pes, piede, passo di avanzamento: ecco l’aumento, l’accrescimento” (Sant’Antonio, Sermoni domenicali – Domenica II dopo Natale, paragrafo 3). Sì, la speranza cristiana ci apre al futuro, ci porta al di là, ci spalanca le porte del cielo e nello stesso tempo ci fa vivere con consapevolezza e responsabilità qui sulla terra. Speranza e responsabilità sono, infatti, strettamente legate.

La speranza veramente non delude (“non confundit” – cfr.Rm 5,1) ed appartiene a tutti, è disponibile per tutti coloro che si lasciano battezzare e continuamente convertire dinanzi al perdono e alla misericordia di Dio che ci vengono offerti nella vita ordinaria della Chiesa (attraverso i sacramenti) e in maniera tutta speciale e straordinario in questo tempo di Giubileo.

L’Anno Santo è conversione nella fede e, quindi, diventa anche vita nuova, la vita nuova che sgorga dalla ritrovata libertà dei figli di Dio. La nostra vera ricchezza non sono la nostra disponibilità finanziaria, le nostre proprietà o il posto che ricopriamo. Non sono queste le cose che ci realizzano davvero; è piuttosto il sapere che siamo figli di Dio sostenuti dall’amore eterno (sì, eterno!) e onnipotente di Dio e, quindi, anche oltre la morte, come già si è manifestato nella pasqua di Cristo.

Dobbiamo tornare, allora, a quella parola che Gesù fa risuonare, nel Vangelo di Marco, all’inizio del Vangelo: conversione (cfr. Mc 1,4). Dobbiamo, cioè, cambiare e ragionare diversamente e lo faremo solo con un cuore libero e rinnovato. E questo vale per tutti, perché c’è speranza per tutti e Dio offre a tutti speranza.

Ascoltiamo un’altra frase di sant’Antonio: anche chi “è stato tagliato con la scure del peccato mortale non deve disperare della misericordia di Dio, che è più grande della sua miseria, ma deve sperare perché potrà di nuovo rinverdire per mezzo della penitenza; e i suoi rami, cioè le sue opere, ricresceranno” (Sant’Antonio, Sermoni domenicali – Domenica XIV dopo Pentecoste, paragrafo 1).

La fede cristiana non dipende prima di tutto dalla ragione o dalla volontà ma dalla grazia, ovvero, dal lasciare che il Signore ci prenda per mano, ci rialzi, ci renda pellegrini e ci porti là dove Egli abita.

A noi, piuttosto, capita di ridurre le parole di Gesù, di manipolarle secondo quanto a noi pare vero, buono e giusto, portandole così al nostro livello, il livello della cultura dominante che è il politicamente corretto. Siamo, insomma, sempre tentati di “mondanizzare” la fede ed anche la Chiesa, riducendola ad un’organizzazione umana con finalità sociali in cui l’aggancio con il Signore è secondario tanto che, se non c’è, molti neppure se ne accorgono.

Dobbiamo, invece, avere la pazienza e l’umiltà – e qui entra in gioco la conversione – di non “abbassare” le parole di Gesù al nostro livello (il bene possibile!) e, piuttosto, di lasciarci condurre da esse, crescendo nella loro accoglienza; la vita cristiana non è solo un ideale ma un cammino concreto.

Lo ha ricordato, ad esempio, pochi giorni fa Papa Leone a proposito del matrimonio e della famiglia. Ecco le sue parole: “…a voi sposi dico: il matrimonio non è un ideale, ma il canone del vero amore tra l’uomo e la donna: amore totale, fedele, fecondo” (Leone XIV, Omelia del Santo Padre al Giubileo delle famiglie, dei nonni e degli anziani, 1 giugno 2025).

L’annuale festa di sant’Antonio, nel contesto dell’Anno Giubilare, è così una straordinaria opportunità di grazia che ci è data per compiere un itinerario spirituale di conversione e di progressiva purificazione per abbandonare ogni forma di attaccamento contraria alla volontà di bene che viene da Dio e per far sì che Lui sia il centro e il fine della nostra vita.

E c’è sempre tanto da purificare in noi per essere davvero liberi, così da poter alzare il nostro sguardo al cielo ed essere uomini e donne di speranza: c’è la purificazione dell’intelligenza, della volontà, della memoria, dello sguardo, della parola e anche delle varie forme di linguaggio.

Avremo così accesso a quella sapienza di cui ci ha parlato la prima lettura e che è davvero “un tesoro inesauribile” (Sap 7,14). E i doni di grazia opereranno anche in noi – nella nostra società e cultura – quanto san Paolo ha descritto nel passo tratto dalla lettera agli Efesini: “…non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore. Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo” (Ef 4,14-15).

Ci aiuti nel cammino di conversione e purificazione, sorretti da una speranza più forte, la potente intercessione di sant’Antonio.

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