S. Messa nella solennità del patrono San Marco Evangelista
(Venezia / Basilica Patriarcale di San Marco, 25 aprile 2025)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Saluto e ringrazio le autorità civili e militari che, ancora una volta, testimoniano il forte legame che la città di Venezia ha con l’evangelista e patrono san Marco.
Saluto e ringrazio i rappresentanti delle Confessioni Cristiane che hanno accolto l’invito a questa celebrazione.
Vogliamo, in questo giorno, 25 aprile 2025, ricordare anche gli ottant’anni dalla liberazione, pregando per i tanti che hanno dato la loro vita della lotta di liberazione
Quest’anno viviamo la festa dell’evangelista Marco – che il calendario pone all’interno dell’Ottava di Pasqua – nei giorni del cordoglio e del lutto per la morte del Santo Padre Francesco a cui domattina, in Piazza San Pietro, verrà dato l’ultimo saluto terreno con la S. Messa esequiale.
Lo abbiamo ricordato con affetto, in questi giorni, a livello diocesano attraverso due partecipati momenti di preghiera qui in Basilica e nel Duomo di Mestre per affidarlo all’abbraccio del Padre al termine della sua vita condotta da “servo buono e fedele” del Signore e della sua Chiesa.
Mi piace ricordare che proprio un anno fa, al termine della sua visita a Venezia, Papa Francesco ha sostato qui davanti all’altare – per alcuni momenti di silenziosa e intensa preghiera – davanti alle spoglie dell’evangelista Marco.
Di san Marco, anche chi ha letto poco del suo Vangelo – il più antico per composizione e vivace di stile –, conosce, però, il motto che campeggia sul leone alato: “Pax tibi Marce evangelista meus”. Vorrei sottolineare in questa circostanza l’impegno costante di Papa Francesco, condotto fino alla fine, a favore della pace a cui ha dedicato il suo ultimo discorso, il Messaggio Urbi et Orbi di domenica scorsa, Pasqua di Risurrezione.
“Nessuna pace è possibile – sono state tra le ultime parole di Francesco – laddove non c’è libertà religiosa o dove non c’è libertà di pensiero e di parola e il rispetto delle opinioni altrui. Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! (…) La luce della Pasqua ci sprona ad abbattere le barriere che creano divisioni e sono gravide di conseguenze politiche ed economiche. Ci sprona a prenderci cura gli uni degli altri, ad accrescere la solidarietà reciproca, ad adoperarci per favorire lo sviluppo integrale di ogni persona umana” (Papa Francesco, Messaggio Urbi et Orbi per la Pasqua, 20 aprile 2025).
La pace, appunto – “Pax tibi Marce evangelista meus” –: è un desiderio, ma soprattutto una necessità che accompagna la nostra storia. Anche questi ultimi giorni, e sin dall’inizio della Settimana Santa, sono stati caratterizzati da episodi di guerra particolarmente crudeli e da violenze del tutto gratuite contro persone inermi. Purtroppo – e la cosa è terribile – alla guerra ci stiamo abituando.
L’invocazione per una pace giusta secondo il diritto internazionale – nel giorno dell’evangelista e martire Marco – si leva per l’Ucraina, per la Terra Santa e per i tanti paesi del mondo dove si combattono sanguinose guerre dimenticate o addirittura sconosciute; si calcola che oggi vi siano almeno 56 conflitti aperti sulla scena internazionale, di diversa intensità, e che coinvolgono quasi un centinaio di Paesi.
Questa accorata domanda di pace, di rispetto personale, raggiunge anche la nostra vita quotidiana, quella delle nostre città e dei nostri quartieri, delle nostre famiglie segnate anch’essa da tristi e sconcertanti vicende di cronaca. Ricordo solo quella che ha avuto come protagonista la settimana scorsa, suo malgrado, una bambina di undici anni a Mestre.
Ma cosa intendiamo quando parliamo di pace? Anche in ambito ecclesiale, infatti, si può equivocare banalizzando o cadendo nell’ideologia, non andando oltre affermazioni che, in realtà, sono solo facili slogan.
La pace non è il buonismo o il pacifismo “tout court”; piuttosto si fonda e trae forza dalla giustizia e dalla verità. Sono, reali dichiarazioni di ostilità – se non proprio di guerra – l’imposizione di leggi ingiuste nei confronti delle persone, delle minoranze, degli Stati come lo sono pure la mancata informazione, le false notizie o la censura oggi in versione sofisticata e, quindi, difficile da cogliere e contrastare, come il monopolio assoluto dell’informazione.
Pace – e il magistero sociale della Chiesa ce lo indica con sempre maggiore chiarezza – si coniuga poi con un corretto e diffuso sviluppo sociale ed economico, che non deve tagliare fuori nessuna persona e nessun popolo; è, quindi, impegno a ridurre o eliminare le ingiuste diseguaglianze per favorire un’armonica e partecipata crescita che ponga sempre al centro l’uomo.
La pace nasce – e lo si deve affermare con forza – dal cuore dell’uomo. Sì, bisogna partire proprio dal cuore dell’uomo, ossia dal rinnovamento del cuore. Un cuore umile e purificato non è risultato del caso ma di un lavoro spirituale, etico ed educativo costante, prolungato e condiviso ai diversi livelli.
In questo senso cogliamo, allora, l’incipit della odierna lettura, tratta dalla prima lettera di san Pietro. Marco era molto vicino a Pietro, svolgeva le funzioni di segretario e, quindi, era nella posizione più adatta per conoscerne bene la predicazione. L’esortazione è chiara: “Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili” (1Pt 5,5).
A vent’anni dalla morte di Giovanni Paolo II – i cui ultimi giorni ricordano per tanti aspetti, in modo impressionante, i momenti e i gesti finali di Papa Francesco -, ricordiamo anche la grandezza di questo santo Pontefice, figlio della Polonia, e il suo impegno per la pace. Karol Wojtyla, del resto, aveva vissuto in modo drammatico la terribile esperienza della Seconda guerra mondiale, iniziata proprio con l’invasione del suo Paese il 1° settembre 1939. Certamente toccato da questa tragica esperienza personale e di popolo, Giovanni Paolo II fece sempre sentire forte la sua voce contro ogni tipo di guerra.
Nel 1980 intitolò il messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: “La verità, forza della pace”. E in tale circostanza, eravamo ancora in piena guerra fredda, aveva sottolineato che la verità “è per eccellenza la forza pacifica e possente della pace, poiché si comunica per irraggiamento suo proprio, al di fuori di ogni costrizione”, aggiungendo poi che “se è certo – e nessuno ne dubita – che la verità serve la causa della pace, è altresì indiscutibile che la «non-verità» va di pari passo con la causa della violenza e della guerra. Per «non-verità» bisogna intendere tutte le forme e tutti i livelli di assenza, di rifiuto, di disprezzo della verità: la menzogna propriamente detta, l’informazione parziale e deformata, la propaganda settaria, la manipolazione dei mezzi di comunicazione e simili” (Giovanni Paolo II, Messaggio del Santo Padre per la XIII Giornata Mondiale della Pace, n. 1).
Verità e menzogna, forze contrastanti e in lotta tra loro, sono così portatrici o di pace o di guerra, o di convivenza cordiale o di violenza. Ma non c’è solo la menzogna conclamata ed evidente; ci sono anche tante “non-verità”, più sottili e apparentemente leggere che attraversano quotidianamente la vita e le relazioni delle persone come quelle – a più grandi livelli – degli Stati, dei governi e dei popoli: cose non dette ma perfidamente accennate o insinuate, accuse selettive e più o meno velate, informazioni manipolate o non date, mezzi e modalità di comunicazione a volte ingannevoli, il discredito gettato sistematicamente contro l’avversario, i silenzi comodi e complici, i compromessi o le ricostruzioni molto parziali, le reazioni irrazionali e illogiche…
E gli esempi potrebbero continuare per comprendere cosa avvicina e cosa allontana la causa della pace. Un esempio di manipolazione del linguaggio è anche invadere uno Stato sovrano, negando poi che si sta combattendo una guerra ma dichiarando che è in atto un’operazione speciale.
Se ogni “non-verità” aiuta e alimenta la guerra, allora la pace ha bisogno della verità e della sincerità di tutti e il coraggio di intraprendere un cammino comune, condotto secondo verità e verso la verità perché solo la verità illumina e spiana le vie della pace, solo la verità rafforza i mezzi e le risorse umane che conducono alla pace.
“Questa ricerca laboriosa della verità oggettiva e universale intorno all’uomo – sono ancora parole di Giovanni Paolo II tratte dallo stesso messaggio – formerà, per il suo stesso procedere e per il suo risultato, uomini di pace e di dialogo, forti e insieme umili per una verità, della quale essi capiranno che bisogna servirla, e non già servirsene per interessi di parte… La verità è la forza della pace, perché essa rivela e compie l’unità dell’uomo con Dio, con se stesso, con gli altri. La verità, che rafforza la pace e che costruisce la pace, include costitutivamente il perdono e la riconciliazione” (Giovanni Paolo II, Messaggio del Santo Padre per la XIII Giornata Mondiale della Pace, nn. 4 e 10).
“Pax tibi Marce evangelista meus”, allora: pace a tutti. Ma – come dicevo – la pace nasce da un cuore nuovo, umile, purificato, convertito.
“Se gli attuali sistemi generati dal «cuore» dell’uomo si rivelano incapaci di assicurare la pace – sosteneva profeticamente san Giovanni Paolo II, quattro anni dopo, nel Messaggio per la Pace dell’anno 1984 –, è il «cuore» dell’uomo che occorre rinnovare, per rinnovare i sistemi, le istituzioni e i metodi. La fede cristiana ha un termine per designare questo cambiamento radicale del cuore: esso è «conversione». In linea di massima, si tratta di ritrovare la chiaroveggenza e l’imparzialità insieme con la libertà di spirito, il senso della giustizia insieme col rispetto dei diritti dell’uomo, il senso dell’equità con la solidarietà mondiale tra ricchi e poveri, la fiducia reciproca e l’amore fraterno” (Giovanni Paolo II, Messaggio del Santo Padre per la XVII Giornata Mondiale della Pace, n. 3). Solo da un cuore convertito nasce la cultura della pace ad ogni livello.
Per i cristiani, poi, la pace trae forza dalla verità del Vangelo, genere letterario di cui san Marco fu “l’inventore” e che si riassume in una persona: il Signore Gesù, il Crocifisso Risorto, che a Pasqua – appena celebrata, siamo nell’Ottava di Pasqua – chiede e dona lui stesso la pace per i suoi discepoli (cfr. Gv 20, 19-31). Ma per accogliere e vivere pienamente questa pace bisogna “stare” con il Signore, “dimorare” con Lui, ad entrare sempre più nella sua vita.
Si tratta, allora, di andare verso il Signore Gesù, per ricevere e diffondere la sua pace. Ecco che la conversione – il cuore pacificato e convertito – è un avvenimento permanente nella nostra vita e riguarda il modo d’essere o di non essere ancora pienamente persona secondo il Vangelo di Gesù e che il nostro patrono Marco, per primo, ha raccolto in un testo ordinato e ispirato. È infatti Gesù il criterio di discernimento per i discepoli e la Chiesa di ogni tempo. “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato” (Mc 16,16), ci assicura.
“Pax tibi Marce evangelista meus”: queste parole – per noi veneziani così care – diventino anche la nostra preghiera (la forza che cambia il mondo!) e il nostro impegno – come è stato per Papa Francesco -, soprattutto in questi giorni in cui la pace sembra merce così rara e la guerra richiesta sempre più abituale.
L’intercessione dell’evangelista Marco sostenga la fede del nostro popolo e come Chiesa ci inserisca ancora più “in Cristo”, accogliendo i doni di grazia che Dio misericordioso elargisce alla sua Chiesa, in particolare nell’Anno giubilare che stiamo vivendo.
Buona festa di San Marco a tutti!
