S. Messa nella Pasqua di Risurrezione del Signore
(Venezia / Basilica Cattedrale di San Marco, 20 aprile 2025)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Carissimi,
il saluto, tra i cristiani, il giorno di Pasqua è: “Cristo è risorto!”. E la risposta è: “È veramente risorto”. Parole talvolta accompagnate dallo scambio di tre baci sulle guance. Nelle chiese ortodosse questo saluto pasquale è un’usanza molto antica.
Tale saluto, comune nelle liturgie orientali e bizantine, secondo una antica tradizione della Chiesa ortodossa orientale, riconduce a Maria di Magdala, la prima che tra i discepoli e le discepole, secondo il Vangelo di Giovanni, incontrò Gesù risorto (Gv 20, 11-18).
“Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato: facciamo festa nel Signore”: è il messaggio della liturgia nel giorno della nostra salvezza. “Cristo, mia speranza, è risorto”, abbiamo cantato nella sequenza. Cristo è davvero la nostra Pasqua, ossia la nostra salvezza e la nostra speranza perché Lui, il Risorto, è il Vivente, è il nostro Redentore.
L’atto della Pasqua è un atto d’amore – ecco il significato del bacio che ci si scambia – ma non possiamo dimenticare che tutto proviene da un bacio, quello di Giuda Iscariota (il traditore). E la prima riflessione che vorrei fare in questo giorno di Pasqua è come usiamo i segni e i gesti. Il bacio – che è segno di affetto, stima, vicinanza e intimità e che viene, appunto, scambiato tra i cristiani d’Oriente quando si annunciano la risurrezione – è stato anche il segnale (cfr. Mt 26,48) con cui Giuda ha indicato Gesù a quelli che erano venuti per arrestarlo.
Questa Pasqua è celebrata in un momento storico obiettivamente difficile e complicato: pensate che oggi sono più di 50 le guerre in atto nel mondo ma noi ne ricordiamo, al massimo, due!
San Paolo, nella lettera ai Romani, ci aiuta a comprendere la grandezza del mistero che oggi celebriamo: “…tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati mediante la clemenza di Dio” (Rm 3,23-26).
Cristo Gesù, nato dalla Vergine Maria, vissuto come “vero Dio” e “vero uomo” duemila anni fa, è costituito da Dio – lo abbiamo appena sentito – “strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue”.
Gesù, il Crocifisso Risorto, è l’unico sacrificio propiziatorio, l’unico “strumento di espiazione” (in greco hilastērion, in ebraico kapporet); sì, è Lui che realmente salva per volontà del Padre misericordioso.
“Strumento di propiziazione” o “propiziatorio”, era il coperchio prezioso dell’arca dell’Alleanza, il luogo dell’abitazione del Dio d’Israele. Come narra il libro del Levitico (cfr. Lv 16, 1-34), il sommo sacerdote, una volta all’anno, lo aspergeva col sangue delle vittime per espiare il peccato di Israele con cui era stata macchiata la dimora di Dio. Si rinnovava, così, l’Alleanza. Nel Nuovo Testamento, la lettera agli Ebrei afferma che Gesù, col suo sacrificio, una volta per sempre, offrendo la sua vita, libera realmente il popolo dal suo peccato e così ottiene il perdono di Dio (cfr. Eb 9,6-14).
Egli è venuto nel mondo – ecco la logica dell’incarnazione (il Natale ha il suo compimento nella Pasqua) – ed è morto per noi sulla croce per l’amore che Dio ha avuto e ha per noi. Questa è la Pasqua: il chicco di grano che morendo porta molto frutto (cfr. Gv 12,24).
Lo ha proclamato con forza san Pietro nel brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato poco fa ed è come il compendio della vita di Gesù ed anche il senso della Pasqua che stiamo festeggiando.
Ricordiamo che quest’anno ricorre il 1700esimo anniversario del Concilio ecumenico di Nicea (svoltosi nel 325); lì la Chiesa, supera un momento di crisi – e quando mai la Chiesa non è stata in crisi? – confessando la verità di Gesù di Nazaret.
Questa è la grande possibilità che ci è offerta: pensare che in Lui – nato, vissuto, morto e risorto – c’è la plenarietà dell’umano. La rivelazione cristiana poteva parlarci di un Gesù adulto e di cui non si sa da dove venga e che comincia annunciando il Vangelo ma… la buona notizia nasce a Nazaret e dal concepimento di una donna.
Quando e dove cominciamo a dichiarare guerra alla vita? Chiediamo la pace, sì, ma chiediamola con giustizia e in verità, facendo la nostra parte. Noi oggi ci troviamo di fronte ad una situazione per cui si viene in chiesa ma non si ragiona secondo il Vangelo; quaranta o cinquant’anni fa magari non si veniva in chiesa ma, forse e comunemente, si ragionava di più secondo il Vangelo.
È attualissima la parabola di Gesù che possiamo applicare alla vita spirituale: non pretendere di mettere delle pezze nuove su un vestito logoro (cfr. Mc 2,21). Ecco la conversione e la Pasqua è il tempo opportuno, il momento favorevole per tendere la mano a Colui che ci tende la mano.
“Dio – afferma Pietro – consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno… E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome” (At 10,38-40.42-43).
Sì, Dio non ci ha lasciati come eravamo, come ci aveva trovati – nel peccato, nella morte, nell’assenza di grazia – ma ha innalzato il Figlio Gesù svegliandolo dalla morte perché Lui, il Risorto, potesse a sua volta risollevare e rialzare l’umanità perduta.
Tutto ciò è raffigurato nel mosaico dell’Anastasis che risplende in questa basilica sotto la cupola dell’Ascensione e che potrete ammirare uscendo al termine di questa celebrazione: il Cristo trionfante con la croce in mano schiaccia sotto i piedi il diavolo. Ed è Lui che afferra per i polsi (non per le mani!) e quindi – questo vuol significare il mosaico – rialza Adamo ed Eva (l’umanità peccatrice) per pura grazia, liberandoli dalla prigione e dalle catene.
Noi, da soli, con i nostri mezzi, non ci salviamo e, per quanto, a volte, ci possiamo sentire forti e talvolta onnipotenti, ci scopriamo poi incapaci di darci la salvezza, la speranza, la riconciliazione e la pace, la possibilità autentica di rialzarci e di riprendere il cammino. È solo Lui che ci afferra e solleva. Non è la legge che ci salva, dunque, né le sole forze umane – san Paolo, anche per esperienza diretta, lo ripete continuamente – ma l’aprirci al progetto di Dio che non è una teoria, un’etica o una filosofia: è una persona, Gesù di Nazaret.
Il “fallimento” umano è attestato dalle differenti ideologie che, una dopo l’altra, hanno mostrato tutta la loro inefficacia: l’ideologia della “felicità”, del “progresso” e dell’“emancipazione”, tutte ideologie successive a quelle ben note che hanno insanguinato il Ventesimo secolo. La libertà, infatti, non è solo sciogliere i legami ma costruire relazioni libere non escludendo alcuna dimensione della persona.
Come già, quarant’anni fa, annotava Wolfgang Beinert: “la parola d’ordine emancipazione indica la tendenza ad eliminare ogni specie di costrizione, di legame e di dipendenza, la riduzione nichilista della libertà a un liberarsi e a un “esser-liberato” non solo dai rapporti socio-politici soggioganti, bensì – al limite – da tutto ciò che è vigente” (Wolfgang Beinert, Il culto di Maria oggi. Teologia, liturgia, pastorale, Edizioni Paoline 1987, p. 22).
Solo l’obbedienza e il sacrificio propiziatorio di Gesù realizzano la piena libertà. E tutto ciò si dà nel ritrovato contatto fra Dio e l’umanità, là dove si ricreano comunione e relazione, prima perdute, tra Dio e le sue creature. Così si ricrea, si ritrova e si suscita di nuovo la libertà perduta.
Il dono che liberamente Cristo fa di sé, fino alla fine, è lo strumento perfetto di salvezza che richiede la partecipazione della nostra fede, del nostro sì (“Chiunque crede in lui”, diceva prima san Pietro).
“Alla vittima pasquale – sono ancora parole dell’odierna sequenza -, s’innalzi oggi il sacrificio di lode. L’Agnello ha redento il suo gregge, l’Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre”.
Solo in Gesù, il Crocifisso Risorto, nasce l’uomo nuovo e una società nuova, capace di novità autentica e vera libertà. Per il cristiano, insomma, solo attraverso Gesù vi è la possibilità di perseguire finalmente la pace e la gioia che sempre andiamo cercando, delusi da quelle effimere del mondo.
Tutto sta nel modo in cui guardiamo, ascoltiamo e “leggiamo” le cose. Chiediamo al Signore, in questa giornata di Pasqua, che ci dia uno sguardo diverso, delle orecchie diverse, un cuore diverso. E guardiamo alla Pasqua non come una storia del passato ma come il Cristo Vivente.
Pace e gioia, a tutti i livelli, dunque: nel nostro cuore, nelle nostre relazioni con chi ci è prossimo (in famiglia, con gli amici, con i colleghi di lavoro ecc.), nella vita delle nostre comunità e delle nostre città ed anche fra gli Stati e i popoli dove vediamo tornare a dominare prevaricazione, oppressione, volontà di potenza, la logica del più forte e dello scontro.
E allora, come lo stesso san Paolo, esorta nella seconda lettura: “Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete àzzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con àzzimi di sincerità e di verità” (1Cor 5,6-8).
Davvero, allora, dalla Pasqua che oggi celebriamo può sorgere – a partire dalle nostre comunità ecclesiali – un piccolo seme di vita nuova.
Attingiamo a piene mani alla grazia di Dio che ci viene offerta, in particolare attraverso l’Anno giubilare che è richiamo potente alla conversione nella fede e fonte di vita nuova e di speranza che non delude. Come dissi al momento dell’apertura dell’Anno Santo, in questa stessa basilica, sia per noi occasione provvidenziale per riscoprire la libertà dei figli di Dio e goderne; sia una progressiva e crescente purificazione per abbandonare tutto ciò che è contrario al nostro essere figli di Dio, così da tornare a porre il Signore al centro della nostra vita.
San Paolo, nell’annuncio più antico della risurrezione (la prima lettera ai Corinzi, scritta nell’anno 57), dice: “A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (1Cor 15,3-5). È risorto, non è del passato, è il Vivente. Questo è l’annuncio pasquale, ossia l’unica realtà che può fare del cristianesimo non una religione ma la fede.
L’energia rinnovatrice della Pasqua ispiri anche il prosieguo del Cammino sinodale che vede impegnate le Chiese che sono in Italia.
Desidero rivolgere, infine, un pensiero al Santo Padre Francesco che, appena un anno fa, abbiamo avuto la gioia di accogliere nella nostra amata Venezia e di celebrare con lui l’Eucaristia domenicale (e, quindi, pasquale) in Piazza. Continuiamo ad affidare la sua persona e il suo ministero all’intercessione della Madonna della Salute.
“Cristo, mia speranza, è risorto… Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi” (dalla sequenza).
Buona Pasqua a tutti!
