S. Messa nella notte di Natale
(Venezia / Cattedrale di S. Marco, 24 dicembre 2024)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
L’evangelista Luca, da cui abbiamo appena ascoltato la pericope della nascita del bambino Gesù (Lc 2,1-14), ci avverte che la luce è ciò che caratterizza il Natale. Si riprende qui il testo di Isaia – “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce” (Is 9,1) – mentre il tema della luce ritorna nel quarto Vangelo che non conosce la narrazione dell’infanzia, come Luca e Matteo, dove Giovanni nel prologo afferma con forza, più volte, che il Signore Gesù è la luce.
Quando ci muoviamo in una stanza buia, quando in una città per una fatalità qualsiasi viene meno l’erogazione della corrente elettrica, quando si sprofonda nel buio, non ci sa più come muovere e molto spesso cominciano i crimini, i reati, le colpe e i peccati.
Non possiamo dimenticare la parabola della zizzania (Mt 13,24-30): “Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo”.
Noi abbiamo bisogno della luce ed è difficile in una società che vive di efficienza e di prestazioni, che vive la cultura della tecno-scienza e dell’intelligenza artificiale, comprendere il senso ed il significato dei simboli che, insieme alla parola, sono una caratteristica umana fondamentale della vita umana.
Pensiamo al segno della parola: il Verbo si è fatto carne. Si è fatto carne nella storia umana e il primo messaggio del Natale è proprio questo: una vicenda propriamente umana è quella della tua storia con Dio. Perché quando Dio entra nel mondo entra come un bambino; una donna partorisce ed inizia una storia.
Non so se avete mai pensato che la rivelazione cristiana avrebbe potuto iniziare con l’apparire di un uomo adulto e maturo che predica e compie dei gesti… e invece la rivelazione cristiana nasce prendendo l’uomo alla sua origine. Tutto ciò che è umano deve essere illuminato da Cristo.
Purtroppo è da due o tre Natali che ci auguriamo che “scoppi” la pace e invece aumentano i focolai di guerre, perché oltre a quelle maggiori – che sono tali perché se ne conosce di più in quanto i media, a cui andiamo al guinzaglio, ce ne parlano di più – in realtà ci sono circa una cinquantina di focolai di guerra o di conflitti in atto. Sono cinquantasei per la precisione.
Ebbene, sono due o tre anni che ci auguriamo che questa pace “scoppi” ma la pace deve “scoppiare” dentro di noi. Ognuno di noi deve fare ordine dentro di sé, nessuno escluso. Il Natale, con il suo stile, ci obbliga ad aprire le finestre e a fare in modo che le nostre relazioni – familiari, amicali e di lavoro – siano illuminate da Gesù.
Si è appena aperto l’anno giubilare e abbiamo forse visto qualche immagine della solenne apertura della Porta Santa a Roma compiuta da Papa Francesco. È la porta del perdono: quante persone la attraverseranno nel prossimo anno! Quante di queste persone con le condizioni necessarie per convertirsi?
La guerra in una famiglia, la guerra sui posti di lavoro, la guerra nella nostra società, la guerra nei luoghi di divertimenti sui quali non abbiamo il coraggio di dire tutto quello che dovremmo dire (ancora questa notte un incidente mortale con vite umane di adolescenti spezzate)…
Le figure che accompagnano il Natale – sulle quali dovremmo fare un “mea culpa” perché, spesso, abbiamo una concezione devozionistica in particolare su Maria e su Giuseppe – erano persone coraggiose perché si sono prese sulle spalle la “cosa” che il mondo non vuol sentire: Gesù Cristo; perché Gesù vuol dire vita.
Se non vogliamo cadere in un devozionismo di moda dobbiamo dire la verità e questa tocca troppi interessi. Dobbiamo annunciare il perdono e non c’è cosa più difficile che perdonare. Portarsi sulle spalle Gesù vuol dire annunciare la giustizia e dare a tutti la possibilità di vivere dignitosamente.
Il Vangelo disturba, Gesù disturba ed è una colpa quella di ridurre la fede cristiana a devozionismo o a qualcosa di dolciastro. Non dimentichiamo infatti il “capitolo” dei martiri; sarebbe interessante approfondire quanti cristiani sono perseguitati oggi nel mondo. Abbiamo visto le immagini dell’albero di Natale bruciato in Siria ma quante centinaia di migliaia di cristiani eroicamente continuano a professare la loro fede sapendo che non potrebbero arrivare alla fine della loro giornata.
Il Natale è una grande sintesi, perché oltre alla cometa e alla luce ci sono le tenebre di Erode che cerca il Bambino Gesù e c’è anche la profezia di Simeone a Maria: “A te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35).
Il Natale è un messaggio di speranza se c’è la disponibilità a convertirsi, se c’è la volontà di passare la Porta Santa guardandosi dentro e pensando che ci sarà chiesto di rendere conto del dono della vita, della salute e di un benessere diffuso, di una cultura “sufficiente”. Ci sarà, infatti, chiesto: che cosa hai fatto?
Il Natale attende le persone che vogliono portare nella via della vita quotidiana una piccola fiammella. Tenere accese queste fiammelle quando soffia il vento, quando piove o quando è buio è la cosa più grande che possiamo fare per l’umanità.
Buon Natale a tutti!