S. Messa per i funerali di don Italo Sinigaglia
(Jesolo Lido / Chiesa parrocchiale Sacro Cuore di Gesù, 7 maggio 2025)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Ai familiari, a tutti coloro che sono legati a don Italo o che lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene, in particolare nelle comunità che ha servito durante il suo ministero sacerdotale, vanno la vicinanza e le mie cristiane condoglianze e dell’intera Chiesa che è in Venezia.
Davvero si riferiscono in modo opportuno al nostro caro don Italo e per lui sono state di particolare valore le parole del salmo 22 che abbiamo appena ascoltato: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l’anima mia, mi guida per il giusto cammino…” (Sal 22,1-3). E ancora: “…bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni” (Sal 22,6).
Di don Italo colpiva subito la grande fiducia e il senso di pieno abbandono a Dio che era frutto della sua grande fede.
Fiducia e abbandono in Dio lo hanno accompagnato in ogni momento della sua vita, in ogni giorno del suo ministero.
Negli ultimi anni e in particolare negli ultimi mesi – resi davvero faticosi per gli effetti legati alla dialisi – cresceva in lui la coscienza che la sua vita declinava verso quell’incontro finale con il Signore che desiderava sempre più e che si univa anche all’affettuoso desiderio di poter rivedere i suoi genitori e le persone a lui più care.
Fiducia piena e sereno abbandono nel Signore; era pronto e, anzi, desideroso, d’incontrarLo. E qui troviamo chi era don Italo.
Proprio per tale motivo sono state scelte le letture appena ascoltate. Nella prima san Paolo (cfr. Rm 8,31b-35.37-39) esclama che niente e nessuno potranno mai separarci dall’amore di Dio che si è pienamente manifestato in Cristo Gesù. Nel Vangelo (cfr. Gv 14,1-6) Gesù stesso – che è l’unica “via, verita e vita” – ci ha rivolto le sue parole: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore… Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”.
Don Italo, già 18 anni fa (nel giugno 2007, al termine di un corso di esercizi spirituali), appena superata la soglia dei 70 anni, aveva cominciato a prendere in seria considerazione il ritorno alla Casa del Padre e, così, aveva scritto il suo testamento spirituale nel quale accenna innanzitutto all’eventualità di terminare presto il suo mandato e le sue responsabilità di parroco aggiungendo, però, subito dopo: “Ora vivo con serenità questa ultima parte della mia vita. Finché sarò capace ed utile, metto la mia disponibilità nelle mani dei Superiori”.
I Patriarchi che si sono succeduti – e io stesso lo posso attestare – hanno rappresentato, per don Italo, un riferimento fondamentale e costante anche in ciò si è pienamente affidato e reso disponibile divenendo, a sua volta, elemento di riferimento e sicura comunione per i suoi Superiori.
Nel suo testamento, don Italo ripete più volte la parola“Grazie” e lo fa sempre in modo non generico e niente affatto retorico ma con la concretezza di chi ha vissuto in modo consapevole e con impegno, accogliendo, ogni giorno, i tanti volti e le differenti situazioni e facendo crescere in lui tale sentimento di riconoscenza.
Ringrazia, infatti e prima di tutto, per “il dono della vita” e “la famiglia che ho avuto” e poi per “il dono della vocazione al sacerdozio” e qui specifica: “Guardando a ritroso, ho capito con chiarezza che [tu o Signore] hai messo in maniera discreta e delicata tutte le pedine perché aspettavi da me un sì libero al dono esaltante che mi prospettavi. E così hai avuto la pazienza che forgiassi bene il mio carattere e irrobustissi la mia volontà prima nell’ambiente della fabbrica, per alcuni anni, e poi nella caserma per il servizio militare”.
Ripercorre e ricorda, quindi, il momento vocazionale del suo “sì definitivo e irrevocabile” – avvenuto nel suo cuore ai piedi della grotta di Lourdes -, i “preziosi anni di Seminario” e i vari filari della vigna del Signore in cui ha, di volta in volta, prestato la sua opera sacerdotale, umile e generosa: prima a Catene e a Caorle (come vicario parrocchiale) e in seguito (da parroco) a Burano, Quarto d’Altino e, infine, a Jesolo Lido.
Dalla figura e da tutta la vita di don Italo, oltre che dalle parole del suo testamento, emerge la profonda stima e considerazione che ha sempre avuto del sacerdozio e del dono che gli è stato fatto di poterlo essere per così tanto tempo: oltre 55 anni da quando, nel 1969, fu ordinato dal Patriarca, il cardinale Urbani. E c’era in lui la consapevolezza che questo dono gli era stato affidato ma non era mai “a sua disposizione”, ossia nelle sue mani come sua proprietà, perché il sacerdozio è e rimane sempre un dono, un servizio, non un oggetto di potere o dominio di cui servirsi.
Il passo – citato poco fa – del suo testamento spirituale rivela la coscienza di come e quanto il Signore abbia lavorato nel suo animo e quanto siano importanti, soprattutto nel tempo che porta all’ordinazione sacerdotale – ma anche successivamente -, nell’esercizio del proprio ministero (qualunque forma assuma), l’impegno e la disponibilità a lasciarsi forgiare e plasmare continuamente dal Signore che ci ha chiamati.
La grandezza di una persona si rivela poi nella capacità – e non è scontato trovarla nei testamenti – di avvertire il bisogno di domandare scusa e mettere in campo anche le fragilità e le mancanze della propria persona. Don Italo lo fa e possiamo essere sicuri che chi ha l’umiltà di chiedere perdono, se anche avesse mancato, mai l’ha fatto volendolo fare.
“A così tanti doni e a così tante grazie – scrive don Italo – non ho saputo certo corrispondere adeguatamente; per questo confido nella Tua infinita bontà e misericordia. Spero comunque di non aver mai dato scandalo e di non aver mai dato problemi ai miei superiori. L’obbedienza non mi è mai stata difficile perché ho sempre cercato di vedere nel loro agire la Tua volontà. Se, involontariamente, avessi procurato qualche sofferenza a loro o ad altre persone nelle parrocchie dove ho operato, chiedo perdono. Posso assicurare, comunque, che l’unico scopo della mia vita è sempre stato solo quello di servire il Signore e la Chiesa”.
Carissimo don Italo, ti ringraziamo per quello che sei stato in mezzo a noi ed anche per questa tua ultima e bella testimonianza. Ti affidiamo ora – con grande affetto e nella preghiera – al cuore premuroso e materno della Vergine Maria, la Madonna di Lourdes a cui sei stato così legato e devoto, affinché ti accompagni e ti sostenga anche in questo ultimo passaggio verso l’abbraccio misericordioso del Padre.
Ricordo, infine, che l’ultimo atto pastorale legato al tuo ministero di parroco – di cui andavi giustamente orgoglioso – ci riporta alla costruzione della chiesa in Piazza Nember che hai voluto fosse intitolata al Cuore Immacolato di Maria.
“La fiducia in Dio e la materna protezione della Madonna – sono le ultime parole del suo testamento – mi siano di sostegno fino alla conclusione di questa mia esistenza. In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum”.
Caro don Italo, arrivederci!
