S. Messa in occasione del centenario della dedicazione della chiesa
(Ferrara/Chiesa parrocchiale S. Maria del Perpetuo Soccorso, 5 gennaio 2025)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Saluto tutti voi, cari fratelli e sorelle, e in modo particolare desidero ringraziare l’amministratore parrocchiale mons. Roberto e questa comunità parrocchiale che mi ha voluto invitare per l’inizio solenne delle celebrazioni che, in quest’anno di grazia, intendono valorizzare la significativa ricorrenza del centenario della dedicazione a Dio di questa chiesa e a cui si aggiunge anche il 75esimo anniversario dell’erezione a parrocchia.
Apriamo questo centenario con l’Eucaristia di questa domenica che ci è come regalata – e quasi incastonata – in mezzo alle grandi solennità del Natale per poterne cogliere meglio tutta la ricchezza ed avere una lettura più profonda e in prospettiva dell’evento accaduto a Betlemme: quel Bambino è il Verbo di Dio che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14), anzi ha letteralmente posto la sua “dimora” in mezzo a noi, “assemblea dei santi”, come anche la prima lettura (Sir 24,1-4.12-16) e il Salmo (147) ci hanno ricordato poco fa. In questa domenica possiamo così riscoprire che il Natale è, insieme, esercizio di realismo e apertura di orizzonti per accogliere il Mistero di Dio che entra nella storia e salva questo mondo nel Bambino di Betlemme.
Il Vangelo di oggi ci fa riflettere ancora sulla verità del Natale del Signore che dice, in maniera eloquente, che il mondo non si salva da solo e che l’uomo non è onnipotente anche se oggi, col progredire del sapere tecnico-scientifico e con l’intelligenza artificiale, può raggiungere punti e livelli mai toccati e che potrebbero anche abolire l’uomo che l’ha creata. Il Natale ci dice, allora, che il mondo e l’uomo hanno bisogno di salvezza, novità, originalità e di una speranza credibile.
Le letture di oggi, poi, ci danno una chiave di lettura anche per la celebrazione del centenario della dedicazione di questa chiesa e consentono di sottolineare e il valore singolare dell’edificio-chiesa e di quello della realtà comunitaria (la Chiesa) che in esso si raduna per celebrare l’Eucaristia.
La dedicazione è la consacrazione di uno spazio attraverso un solenne atto liturgico – chi ha avuto la possibilità di partecipare almeno una volta ad un tale rito ne ricorda la ricchezza e la particolarità -, così che un tale luogo viene destinato in modo permanente all’uso sacro. Un tale spazio diventa casa di Dio e, insieme, casa del suo popolo.
La chiesa, infatti, è spazio sacro dove, in modo particolare, si incontra Dio che abita dovunque, in cielo e in terra, ma che ha voluto ci fosse anche uno spazio dedicato a Lui e ad una sua presenza particolare. L’edificio sacro, quindi, ha una sua specificità a cui la comunità ecclesiale va educata perché in esso si vivono i momenti della preghiera nella logica della incarnazione che è una logica sacramentale, ossia un mistero che si fa visibile nella storia; la fede, qui, diventa incontro con Dio in modo unico.
Ecco perché la dedicazione di una chiesa rimane un evento fondamentale nella storia di una comunità ecclesiale e di un territorio e così la costruzione di una chiesa non ha termine con i muri che la sostengono; il “sacro” (anche questo spazio sacro) non è fine a se stesso ma alla “santità”. È la stessa teologia sacramentaria insegnata da san Tommaso: “sacramenta sunt propter homines”. I sacramenti e il sacro – come questo luogo – esistono per la nostra salvezza, per la nostra crescita nella santità.
“Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità” (Ef 1,3-4): è l’inizio dell’inno paolino che è stato proclamato come seconda lettura. “Santi e immacolati nella carità”: è il nome autentico di ogni cristiano, è l’identità profonda della Chiesa. Certo, noi siamo peccatori, siamo fragili ed imperfetti – lo sperimentiamo ogni giorno – ma confessiamo anche, nella professione di fede, che la Chiesa è “una, santa, cattolica, apostolica”.
La Chiesa – come comunità dei credenti, come popolo di Dio in cammino nella storia – è tutto questo e lo è in ogni tempo. Certo, non in ogni tempo, a proposito della “unità, santità, cattolicità, apostolicità”, tutto si realizza allo stesso modo e secondo la stessa intensità e verità. Ma noi crediamo, affermiamo, viviamo e testimoniamo sempre che la Chiesa è e rimane “una, santa, cattolica, apostolica”.
Il Concilio Vaticano II, faro della nostra vita ecclesiale, all’inizio della costituzione dogmatica sulla Chiesa afferma: “la Chiesa è, in Cristo…, il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 1).
Noi incontriamo il Signore Gesù nel suo corpo vivo, la Chiesa, che vive nella storia. E così siamo la Sua Chiesa che, prima di tutto, però è Sua e appartiene a Lui. Questo luogo, in cui la comunità ecclesiale si ritrova abitualmente, esprime tale mistero e ci ripete ogni volta che Lui è l’Unico Necessario, Lui è la vera vite e noi siamo solo i tralci.
C’è una figura – e le feste di Natale la richiamano con forza – che ci precede e accompagna sempre in questo cammino, in questo essere “Chiesa/ comunità in cammino”: è la Vergine Maria, la Madre del Redentore e Madre nostra, a cui è intitolato questo edificio col nome di “S. Maria del Perpetuo Soccorso”.
Maria, spiega ancora Lumen gentium, “è insignita del sommo ufficio e dignità di madre del Figlio di Dio, ed è perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo; per il quale dono di grazia eccezionale precede di gran lunga tutte le altre creature…” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 53). È Lei l’immagine esemplare della Chiesa a cui guardare sempre, è Lei la figlia di Sion in cui si realizza pienamente la profezia di Sofonia: “Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele! (…) Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente” (Sof 3,14.17).
Ricordiamo poi che le prime parole che l’angelo rivolge a Maria, a Nazareth, non furono il tradizionale saluto ebraico “shalom” ma “chaîre”, ossia: “Rallegrati!”. E subito dopo l’angelo la definisce ricolma della grazia di Dio; nella lingua greca gioia (“chará”) e grazie (“cháris”) hanno la stessa radice (cfr. Lc 1,38).
“In mezzo a te”, ovvero lo stare di Dio in mezzo agli uomini e il suo prendere dimora tra di noi si compie in modo mirabile nel grembo verginale di Maria che riceve ed accoglie il Figlio, il Salvatore del mondo, e subito lo “dona” alla cugina Elisabetta che ne riconosce e confessa la grandezza definendola “beata” perché “ha creduto” (cfr. Lc 1,45). Maria è davvero la figlia di Sion in persona, con il suo “sì” della fede diventa madre (di Dio e della Chiesa), Lei è l’arca della nuova alleanza, in Lei è venuto ad abitare il Signore e per questo è il nucleo originario e fondante della Chiesa.
Di Maria, inoltre, ci viene detto che sempre “custodiva tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,19.51); anche qui è immagine vera della Chiesa che sa custodire le parole e gli avvenimenti del suo Signore così da poter trasmettere e vivere tutto con fedeltà e in pienezza. Maria, per ogni cristiano, è esempio perché nella sua condizione di vita ha aderito, in modo pieno, alla volontà di Dio: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).
Papa Francesco – in una recente catechesi del mercoledì – ha sottolineato che la Vergine Maria «ci suggerisce due sole parole che tutti, anche i più semplici, possono pronunciare in ogni occasione: “Eccomi” e “fiat”. Maria è colei che ha detto “sì” al Signore e col suo esempio e la sua intercessione ci spinge a dire anche noi il nostro “sì” a Lui, ogni volta che ci troviamo dinanzi a una obbedienza da attuare o a una prova da superare».
Maria, come scrive Paolo VI nella Marialis cultus, è “la prima e la più perfetta seguace di Cristo: il che ha un valore esemplare, universale e permanente” (San Paolo VI, Esortazione apostolica Marialis cultus n. 35). Sì, non l’apostolo Pietro o l’apostolo Giovanni, ma una donna è la prima e la perfetta discepola di Cristo!
Per questo la possiamo invocare, in questa chiesa e ovunque, come nostro “perpetuo soccorso”: come Lei, ma in modo diverso da Lei, siamo chiamati dall’eternità e redenti, uniti a Cristo. La Vergine Maria diventa così il criterio e la regola della nuova realtà a noi donata con il Battesimo.
L’esemplarità di Maria, come modello per la vita del cristiano, e il suo stile e comportamento “mariano” si concretizzano così: il cristiano deve saper “interpretare”, “tradurre”, “attuare” nella sua vita – dove vive, nel suo tempo, nel suo contesto, nella sua specifica vocazione – quello che Maria, la Madre di Cristo, è stata ed ha operato nella sua condizione “unica” in quanto prima discepola, salvata in un modo così sublime.
Un richiamo, infine, all’evento di grazia nel quale siamo entrati da pochi giorni: il nuovo Anno giubilare vede questa stessa chiesa indicata come “luogo giubilare”, come mèta per una “pia visita” e, quindi, presso la quale – alle consuete condizioni – attingere alla grazia giubilare e ottenere la speciale indulgenza.
Fratelli e sorelle di questa comunità, avete dunque il dono singolare di farvi “pellegrini di speranza” ogni volta che varcate le porte di questa chiesa dedicata a Dio cent’anni fa. Per ciascuno di Voi, come afferma il Santo Padre nella bolla “Spes non confundit”, quest’anno giubilare – che coincide con l’anno del centenario di questo luogo – “possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, «porta» di salvezza; con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti quale «nostra speranza»” (Papa Francesco, Bolla di indizione dell’Anno giubilare Spes non confundit, n.1).
E in particolare per tutti voi, fedeli che vi riunite in questa chiesa intitolata a S. Maria del Perpetuo Soccorso, c’è il dono (e la responsabilità) di guardare sempre più a Lei come “Madre nostra” e “Madre della speranza” perché – sono ancora parole di Papa Francesco – “la speranza trova nella Madre di Dio la più alta testimone. In lei vediamo come la speranza non sia fatuo ottimismo, ma dono di grazia nel realismo della vita. (…) Non è un caso che la pietà popolare continui a invocare la Vergine Santa come Stella maris, un titolo espressivo della speranza certa che nelle burrascose vicende della vita la Madre di Dio viene in nostro aiuto, ci sorregge e ci invita ad avere fiducia e a continuare a sperare” (Papa Francesco, Bolla di indizione dell’Anno giubilare Spes non confundit, n.24).
