Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione del Giubileo della “Famiglia del Caburlotto” a dieci anni dalla Beatificazione di don Luigi Caburlotto e nel 175° anniversario dalla fondazione delle Suore Figlie di San Giuseppe (Venezia / Basilica Cattedrale di S. Marco, 7 marzo 2025)

S. Messa in occasione del Giubileo della “Famiglia del Caburlotto” a dieci anni dalla Beatificazione di don Luigi Caburlotto

e nel 175° anniversario dalla fondazione delle Suore Figlie di San Giuseppe

 (Venezia / Basilica Cattedrale di S. Marco, 7 marzo 2025)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Care bambine e cari bambini, care ragazze e cari ragazzi,

mi rivolgo innanzitutto a voi, pensando di non fare un torto agli adulti, alla Madre Generale, alle suore e ai sacerdoti che sono qui oggi e che, insieme a voi, vogliono ricordare la bella figura di un prete veneziano che, camminando nell’Ottocento per le strade della sua città, si è chiesto: ma che sarà di queste ragazze e ragazzi e cosa faranno da grandi?

Ecco, subito, il tema dell’educazione che, innanzitutto, consiste nel riuscire a trovare una persona in cui riporre la fiducia e alla quale confidare ciò che a noi sta a cuore in quel determinato momento della nostra vita. È chiaro, quindi, che i primi educatori sono papà e mamma.

Mi ha sempre colpito, leggendo la storia di alcuni fondatori di istituti sorti per educare i giovani, vedere che queste persone riassumevano l’educazione in due atteggiamenti: aver tempo per i bambini e i ragazzi (e quanto siamo gelosi del nostro tempo!) e poi fare in modo non solo di voler loro bene ma anche di far capire che vogliamo loro bene.

San Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani, e prima di lui sant’Angela Merici, fondatrice delle Orsoline, dicevano che l’educazione è un fatto di cuore. Non tanto perché l’educazione deve procedere dal punto di vita sentimentale – si farebbe ben poca strada! – ma perché, se si fa capire alla persona con cui entro in dialogo che per me è importante e che le voglio bene, allora posseggo il segreto dell’educazione cristiana. Sì, l’educazione cristiana è al centro dell’odierna giornata che è segnata dal ringraziamento a Dio per il beato Luigi e per l’istituto delle figlie di San Giuseppe.

Ringraziamo prima di tutto Dio, perché don Luigi Caburlotto ha risposto ad una vocazione che è giunta da Dio. E poi è bello ritrovarsi insieme in questa splendida basilica dedicata all’Evangelista Marco e nella quale è confluita oggi, da più parti, la grande “famiglia del Caburlotto” per vivere un momento di vera grazia all’interno dell’Anno giubilare.

Vi siete fatti “pellegrini di speranza”, come scrive nella bolla di indizione dell’Anno Santo 2025 Papa Francesco a cui continuiamo a rivolgere la nostra affettuosa preghiera affinché possa avere forza, conforto e salute in questi giorni non facili.

Per tutti, ci ricorda il Santo Padre, il Giubileo “possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, «porta» di salvezza; con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti quale «nostra speranza»” (Papa Francesco, Bolla d’indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025 Spes non confundit n. 1).

Ad allietare ancora di più questo incontro c’è la gioia di ricordare, davanti all’altare del Signore, i dieci anni della beatificazione di Luigi Caburlotto (avvenuta proprio qui, in Piazza, il 16 maggio 2015) e i 175 anni dalla costituzione della Congregazione delle Figlie di San Giuseppe nate qui in Venezia dove padre Luigi nacque, visse e mise a frutto il seme di santità che gli era stato donato e che Lui seppe coltivare.

Portiamo in questa celebrazione il ricordo di tutte le Madri Generali e di tutte le suore di questa Congregazione, insieme a tutti i sacerdoti che hanno animato le varie comunità. E, dopo che a Dio, diciamo loro il nostro “grazie”.

Noi abbiamo una storia e siamo portati sulle spalle degli altri. Questi avvenimenti che viviamo nella fede – il Giubileo, la memoria della beatificazione di don Luigi e la fondazione delle Figlie di San Giuseppe – sono eventi ecclesiali di grazia che toccano realmente la vita delle persone, delle famiglie e delle comunità perché tutto è realmente calato nella storia di un territorio, di una città e – pensando a come il carisma del Caburlotto si è poi diffuso – del mondo intero; tutto questo è davvero dono di grazia che si inserisce nelle pieghe profonde della nostra storia, fatta di debolezze e fragilità ma anche di risorse da cogliere e far fiorire. Chi, come voi, opera ogni giorno nel campo prezioso e delicatissimo dell’educazione e della formazione – umana e cristiana – lo intende bene.

È stato così anche per don Luigi che, nella Venezia e nel Veneto di quasi due secoli fa, seppe entrare in una realtà segnata da tanti problemi e da una povertà materiale e morale per far nascere qualcosa di nuovo dalla sorgente inesauribile della fede cristiana, a favore delle ragazze e dei ragazzi di quel tempo complesso e non facile e per dar loro (e alle loro famiglie) un futuro di dignità e di speranza.

È così anche per le Figlie di San Giuseppe che, sull’esempio del Fondatore, pongono l’educazione al centro della loro opera e la vivono come essenziale e appassionato servizio alla persona – creata e amata da Dio – per aiutarla a crescere e maturare nella libertà e nella gioia. La stessa ispirazione cristiana consente oggi di porre al centro ogni allievo ed allieva che si rivolge alle Figlie del Caburlotto.

Per una persona di Chiesa tutto è suo, perché tutto è ecclesiale. Se noi cominciamo a ragionare così, allora tanti muri cadono, tanti “io” diventano “noi” e tante scelte personali diventano condivise; è il segno che stanno portando avanti le Chiese che sono in Italia attraverso il Cammino sinodale. La sinodalità appartiene da sempre alla Chiesa, ma non sempre è stata praticata dagli uomini di Chiesa.

Le letture che ci ha proposto la liturgia di questo venerdì dopo le Ceneri evidenzia – lo abbiamo appena sentito – il tema del digiuno che deve essere visto non come un elemento fine a se stesso ma come un mezzo importante per fare ordine nella propria vita, per crescere nella via della santità e così ritornare a ciò che è veramente essenziale e, in primo luogo, a Dio, l’Unico Necessario.

Il digiuno deve essere visto come un elemento educativo; è triste pensare di dover dare ai nostri ragazzi alcuni cibi e non altri solo dal punto di vista della sanità fisica (guai, peraltro, se non fosse considerato quest’aspetto!). Dobbiamo però pensare che il digiuno non è tanto una questione estetica o fisica ma è una questione che tocca l’uomo nella sua totalità. E il digiuno ci aiuta anche a liberarci di alcune cose.

Ha un significato spirituale e di ridimensionamento dei nostri appetiti (come la volontà di imporsi e il predominio sugli altri) ma è importante anche nei nostri stessi confronti: non tutti gli stimoli che sentiamo sono da seguire. Saper governare la propria persona riguarda così la dimensione psicologica, spirituale e fisica. E se noi lavoriamo nell’educazione solo su una di queste dimensioni non educhiamo neanche a quella dimensione a cui teniamo di più e su cui abbiamo puntato la nostra attenzione.

Dobbiamo riscoprire il fatto che essere cristiani, essere persone – donne e uomini di fede – e comunità che credono non vuol dire vivere di scelte devozionali; la fede diventa un modo di essere uomini, un modo di essere donne, un modo di essere comunità.

Il digiuno, poi, non ha solo una dimensione personale perché porta a condividere qualche bene che noi abbiamo e altri non hanno – è sempre dalla persona che nasce il bene e il male -; quello che mi tolgo lo do agli altri. Se i nostri bambini e i ragazzi sono istruiti in questo modo, allora la scuola cattolica risalta ed ha significato; non condivide soltanto i programmi ministeriali e non si limita ad istruire, ma arriva a formare la persona. E questo sarà importante soprattutto quando i bambini e i ragazzi diventeranno adolescenti ed avranno bisogno di una bussola, la bussola della libertà.

Particolarmente forti sono i richiami del profeta Isaia ad un digiuno che diventa scintilla di trasformazione ed elemento di cambiamento di una società: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà” (Is 58,6-8).

Carissime e carissimi, “famiglia del Caburlotto”, non vi sembra di sentire riecheggiare, in qualche modo, in queste parole anche il senso profondo della vita di don Luigi e il carisma proprio che è affidato alle Suore Figlie di San Giuseppe?

Condividere e venire incontro ai più poveri, deboli e piccoli (anche d’età) non era forse ciò che mosse all’azione padre Luigi, a partire dalla difficile parrocchia di Giacomo dall’Orio in cui si trovava? Liberare dai gioghi e ricondurre a libertà, spezzare i lacci che opprimono, aprire nuove e buone prospettive ai bambini, ai ragazzi e ai giovani non è forse il “cuore” e il senso dell’opera di educazione che portate avanti nel vostro servizio e con le vostre scuole?

Vi è, infine, un altro aspetto da sottolineare e che lega bene questa celebrazione giubilare agli anniversari che oggi vogliamo ricordare.

Il protagonista, il motivo, il senso profondo del Giubileo è sempre la persona di Gesù Cristo – il Figlio di Dio, il Figlio dell’Uomo nato dalla Vergine Maria, il Crocifisso Risorto – e il nostro essere “pellegrini” oggi nasce soprattutto dal fatto di voler ritornare a Lui con tutto il cuore, come questo tempo di Quaresima ci invita a fare.

Un educatore è, prima di tutto, una persona che ha un rapporto quotidiano, familiare e di semplicità con il Signore Gesù.

Ma guardare sempre a Gesù era anche il primo pensiero e la prima preoccupazione di don Luigi Caburlotto che agli educatori diceva non solo quella sua frase divenuta famosa – “Gli educatori devono veder tutto, correggere poco, castigare pochissimo…” – ma anche raccomandava qualcosa di preciso: “…devono propriamente vestirsi di Gesù Cristo e pensare che si addossano, non solo la cura del corpo, ma bensì quella dell’anima, cosa assai delicata”.

E, quindi, non a caso individuò san Giuseppe come un riferimento per le sue suore perché “Giuseppe è in ginocchio davanti al Figlio di Dio, è in umile e rispettoso servizio, pur non rinunciando a fargli da modello, giuda ed educatore. Così dev’essere per ogni educatore. In ogni bambino, in ogni ragazzo in crescita, e in ogni uomo, velato, ma reale, è presente il Figlio di Dio…” (Domenico Agasso, L’impronta della carità e della dolcezza. Luigi Caburlotto, San Paolo 2015).

Don Luigi Caburlotto oggi ci chiede di riscoprire la passione educativa. E per passione educativa non intendiamo solo (lo è anche) i doveri scolastici, ma è qualcosa di più: è un’alleanza in cui nessun soggetto sia latitante (i genitori, la famiglia, la scuola). Noi tutti siamo chiamati a raccogliere la sfida educativa e a pensare che la scuola cattolica può avere, con l’alleanza di tutti, una marcia in più. Perché siamo migliori? No, perché abbiamo un progetto che viene dal Vangelo e che alcuni – come don Luigi – hanno saputo cogliere ed interpretare nel loro tempo.

A noi, ora, il testimone, ossia il compito di cogliere ed interpretare la sfida educativa nella città del ventunesimo secolo, nell’era digitale e dell’intelligenza artificiale, nel tempo in cui bisogna spiegare che il cellulare è utile ma non è il nostro padrone e che la rete può essere consultata ma bisogna esserne educati e bisogna sapersi muoversi.

E ancora: insegniamo ai nostri ragazzi il valore del gratuito. Com’è triste incontrare persone che misurano il loro atteggiamento e comportamento solo al pensiero di cosa possono ricavarci! Alla fine, la società è fatta dalle persone e allora che almeno ci siano alcune persone che tengono accese un lume; anche qualora fossimo di notte, alcuni lumini accesi faranno da punto di riferimento!

Auguro alla Madre Generale, alle suore, agli insegnanti, ai sacerdoti che seguono la Congregazione e a tutti di essere capaci di portare ognuno il proprio lumino, senza pretendere che il nostro lumino faccia sorgere il sole. Certe volte è molto più utile e importante un lumino acceso nella notte che non un fuoco deflagrante a mezzogiorno in una giornata di sole.

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