S. Messa in occasione del Giubileo delle Comunicazioni Sociali e del 50esimo del settimanale diocesano “Gente Veneta”
(Venezia – Basilica della Salute, 15 novembre 2025)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Ringrazio il direttore don Marco Zane per le sue parole iniziali e mi unisco a lui nel ringraziare, in questa speciale occasione dei 50 anni di “Gente Veneta”, tutti coloro che, in questi anni, hanno contribuito ad ogni livello con passione e competenza a far sì che questo strumento unisse sempre più la Chiesa veneziana, prima di tutto al suo Signore e, poi, fra i suoi membri.
Nello stesso tempo il grazie è rivolto a “Gente Veneta” poiché certamente ha aiutato la comunità cristiana a crescere culturalmente e spiritualmente così da testimoniare e annunciare il Vangelo stando all’altezza dei tempi e senza cadere, di volta in volta, nelle “cangianti mode” e nel “politicamente corretto” che caratterizza ogni epoca.
Gente Veneta è oggi “sfidata” dalle nuove tecnologie a rimanere fedele a se stessa in un mondo che cambia, anche attraverso gli strumenti comunicativi.
Nel Vangelo abbiamo appena ascoltato una parabola e le parabole erano uno dei modi attraverso i quali Gesù riusciva ad intercettare i suoi interlocutori, senza mai tradire la verità che voleva comunicare. L’impegno (e la sfida, tenendo presente la “forma” della parabola, è sempre quello di dire senza tradire, di comunicare entrando in dialogo ma dicendo qualcosa di significativo e che si misuri con il criterio del “veritativo”.
Cari giornalisti, abbiamo assistito tutti alle dimissioni del direttore della BBC e questa è solo una punta di iceberg, perché tante cose non sì evidenziano fino a tal punto… Come pure succede quando ascoltiamo o vediamo riportati alcuni fatti criminosi che vanno all’attenzione pubblica unicamente perché c’è scappato un morto eppure ci sono tanti gesti simili che rimangono nascosti e sono oggetto di sofferenza, di ingiustizia e di prevaricazione ma non emergono perché non c’è scappato il morto…
Vorrei lasciarmi guidare da quattro verbi – e il verbo indica movimento! – siamo invitati ad esprimere una comunicazione, sia all’interno sia all’esterno della Chiesa, in grado di dialogare con le sfide del nostro tempo senza temerle e senza sottovalutarle. I verbi sono: sensibilizzare, promuovere, disarmare, sottolineare.
- Sensibilizzare noi stessi e l’opinione pubblica sull’importanza di comunicare nella società facendo capire al maggior numero di persone che in gioco è la nostra libertà.
- Promuovere una comunicazione responsabile e umana, cioè etica, specialmente in un’epoca come la nostra che è dominata dalla tecnologia; sì, ci vuole un’etica ancor più responsabile e umana.
- Disarmare le aggressività e le guerre mediatiche sui social media e in altri contesti comunicativi; le guerre, infatti, iniziano con le parole, anzi con le mezze bugie che sono anche mezze verità.
- Sottolineare salvaguardando l’empatia e l’etica della comunicazione di fronte alle nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale.
La vita di un sempre maggior numero di persone è contrassegnata (e colonizzata!) dalle nuove tecnologie della comunicazione. Moltissime sono le persone che non sanno accedere in modo critico ai media e soprattutto alla rete; pensiamo ai minori.
Oggi lo strapotere della comunicazione “impone” il flusso di grandi mutamenti culturali e sociali. Le nuove tecnologie non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la stessa comunicazione; si è di fronte ad una vasta e repentina trasformazione culturale.
Nel mondo digitale, trasmettere informazioni significa sempre più immetterle in una rete sociale dove la conoscenza viene condivisa nell’ambito di scambi personali. I nostri giovani, e anche i nostri adulti, non ne sono sempre consapevoli. In tal modo la chiara distinzione tra il produttore e il consumatore dell’informazione viene relativizzata e la comunicazione diventa non solo scambio di dati ma condivisione della propria persona e della propria vita, con tutti i rischi possibili soprattutto per i minori. Può essere qui una delle cause dell’aumento di crimini che vedono per autori i minori?
Incominciamo col ricordarci i limiti propri della comunicazione digitale: la parzialità dell’interazione, la tendenza a comunicare solo alcune parti del tutto, il rischio di cadere in una sorta di costruzione dell’immagine di sé che può indulgere all’autocompiacimento, rendendosi vulnerabili all’azione di terzi. Pensiamo sempre ai nostri minori.
La presenza di questi spazi virtuali può essere il segno di una ricerca autentica di incontro personale con l’altro se si ha un approccio saggiamente critico con la rete.
Il pericolo è costruirsi, magari stando chiusi in una stanza tutto il giorno senza incontrare le persone, un mondo parallelo a quello reale e in cui rifugiarsi e anche un’esposizione imprudente al mondo virtuale.
L’era digitale ci chiede d’essere persone autentiche e riflessive; infatti, le dinamiche proprie dei social network mostrano che una persona è sempre coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni stanno già condividendo se stesse; non solo la loro visione del mondo, ma anche le loro speranze e i loro ideali, ossia – diciamolo con chiarezza – le proprie vite e le proprie persone!
Ne consegue che il cristiano ha uno stile nello stare nel mondo digitale, che si concretizza in una comunicazione onesta, aperta, responsabile, prudente e rispettosa dell’altro.
L’impegno per testimoniare il Vangelo nell’era digitale chiede d’essere attenti agli aspetti di questo messaggio che, non di rado, sono incompatibili e inconciliabili con non poche logiche tipiche del web. Se così non è, allora, interroghiamoci sul nostro modo di essere cristiani.
Dobbiamo essere consapevoli che le verità che cerchiamo di condividere non trae il loro valore dalla popolarità sul web o dal numero di follower, anche se questo paga… Piuttosto bisogna impegnarsi a farla conoscere nella sua integrità, invece che cercare di renderla accettabile, magari “adattandola” secondo le logiche del momento. La notorietà e la fama dicono ancora poco della persona.
L’invito è entrare con responsabilità e creatività nella rete e non prendere le distanze dal digitale non solo per il desiderio di essere presenti ma perché questa rete è – e sempre più sarà in futuro – parte integrante della vita umana.
II web sta contribuendo – piaccia o no – a formare nuove e più complesse forme condivise di coscienza intellettuale e spirituale. E, proprio per questo, siamo chiamati ad annunciare la nostra fede che Cristo è Dio, Salvatore dell’uomo e della storia, nel quale tutte le cose giungono al loro compimento (cfr. Ef 1,10). Ma noi ci crediamo che Cristo è il criterio della verità?
I credenti, testimoniando anche nella rete le loro più profonde convinzioni, offrono un prezioso contributo affinché il web non diventi uno strumento che riduce le persone a categorie o addirittura ad oggetti e che cerca di manipolarle emotivamente o che permette di monopolizzare le opinioni altrui; la democrazia stessa sarebbe a grave rischio e, in ogni caso, dovrà sempre più fare i conti con la comunicazione.
La richiesta accorata è che i credenti – soprattutto i giornalisti credenti, cristiani, cattolici – sappiano tener vive le eterne domande dell’uomo che testimoniano il perenne desiderio di essere uomini e, nello stesso tempo, della trascendenza, ossia di Dio.
