Omelia del Patriarca nella S. Messa solenne per la festa del patrono S. Michele Arcangelo (Mestre – Duomo S. Lorenzo, 29 settembre 2025)

S. Messa solenne per la festa del patrono S. Michele Arcangelo

(Mestre – Duomo S. Lorenzo, 29 settembre 2025)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

La pace, frutto della giustizia e dell’amore-perdono

 

Signor Prefetto, Signor Sindaco, autorità civili e militari,

grazie per la vostra presenza. Un saluto e un augurio particolare rivolgo al Signor Questore e agli uomini e alle donne della Polizia di Stato, in occasione della festa di san Michele loro patrono. All’augurio unisco un vivo ringraziamento per quanto fanno ogni giorno a servizio dei cittadini e per garantire la legalità con l’azione di prevenzione e di contrasto. Un cordiale augurio rivolgo agli abitanti di Mestre che riconoscono nell’Arcangelo Michele il loro patrono.

Viviamo un tempo difficile, un tempo di prova in cui il cristiano è chiamato a riflettere e a pregare, poiché entrambe le cose sono necessarie. La pace è sì dono di Dio – e per questo dobbiamo pregare e molto – ma è anche dono che Dio fa agli uomini i quali, quindi, sono chiamati ad accoglierlo, a custodirlo e a promuoverlo, soprattutto in tempi in cui i focolai di guerra si moltiplicano e si intensificano.

Con voi oggi, nel giorno della festa del patrono san Michele, desidero riflettere di fronte a Dio proprio sulla questione della pace, unendola al termine “giustizia” e al termine “perdono”.

Ricordiamo gli eventi storici che hanno segnato in modo devastante, nel XX secolo, il nostro continente (e non solo questo); tali eventi sono maturati e, alla fine, si sono tristemente compiuti sottovalutando situazioni, fatti, provocazioni e atti che venivano compiuti o, invece, che venivano omessi; si giunse così alla prima e poi alla seconda guerra mondiale.

Oggi nel mondo le guerre sono una sessantina, esattamente cinquantasei. Si tratta di veri e propri conflitti armati di proporzioni diverse, ma comunque sempre sanguinosi e a noi – dobbiamo ammetterlo – in gran parte sconosciuti; è significativo, in ogni modo, ricordare che il numero di conflitti oggi in atto è il maggiore dalla fine della seconda guerra mondiale. Queste operazioni belliche – chiamate con nomi differenti ma che, in realtà, sono tali – rappresentano un indicatore della crescente instabilità globale e portano con sé conseguenze umanitarie drammatiche che includono – stando a stime ottimistiche – centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati.

Una domanda non può non interpellare gli uomini e le donne di buona volontà, al di là dell’appartenenza etnica, culturale o del credo professato. La domanda è: quale via percorrere per ristabilire un clima morale, culturale e politico oggi così barbaramente violato da quanti ritengono di poter sconfiggere o annientare il nemico?

Come credenti ci interroghiamo e confrontiamoci con la Parola di Dio che contiene la grande sapienza ed intelligenza di Dio offerta agli uomini come dono e responsabilità.

La parola di Dio ci insegna che non si può reamente stabilire l’ordine infranto solo con gesti esteriori – di qualunque tipo siano – e che, invece, vanno tenute insieme alla pace anche la giustizia e il perdono perché senza questi elementi la pace sarà solo una mera utopia (ossia non sarà mai da nessuna parte!). Pilastri della vera pace, quindi, sono la giustizia e quella particolare forma di amore che risponde al nome di perdono.

Seppure il discorso risulti difficile, si può e, anzi, si deve incominciare a parlare di pace, di giustizia, di perdono tenendo insieme questo trinomio che può fare veramente la differenza, considerando – per iniziare – come la giustizia e il perdono non siano tra loro alternative. A ben vedere, infatti, il perdono non si oppone alla giustizia ma al rancore e alla vendetta.

La vera pace, ci ricorda il profeta Isaia, è “opera della giustizia” (Is 32, 17); è l’ordine, ossia ogni cosa chiamata col suo nome e posta nel mosaico generale deve trovare il proprio posto; tutto ciò è essenziale affinché – nella convivenza personale e sociale – concorra al disegno articolato e complesso della pace.

Papa Leone, religioso agostiniano, ci ricorderebbe di certo che proprio Agostino, il grande padre della Chiesa, ci insegna come la pace – risultato dell’azione congiunta di tutti – stia nella tranquillità dell’ordine (cfr. Sant’Agostino, De civitate Dei, 19, 13).

La giustizia, oltre ad essere virtù morale e anche garanzia legale, tutela e promuove il rispetto sia dei diritti sia dei doveri come, anche, interviene nell’imparziale distribuzione di onori ed oneri. Parliamo ai nostri ragazzi anche dei doveri. Un vescovo, un papà, un adolescente… ognuno ha dei doveri e questo non tocca la sacralità dei diritti.

La giustizia, però, partecipa della fragilità umana e rimane esposta agli egoismi e alle prepotenze personali, sociali e degli Stati. La giustizia, infine, va esercitata e sostenuta nel e dal perdono, il solo che ricostruisce e ripara i rapporti umani turbati.

Ciò vale tanto per le tensioni riguardanti i singoli e le comunità che quelle tra gli Stati. Pensiamo solamente se la pace di Versailles fosse stata più misericordiosa nei confronti della Germania sconfitta… Forse sarebbe venuta meno la causa principale e scatenante la seconda guerra mondiale.

Il perdono – giova ribadirlo –  non si oppone alla giustizia; non consiste, infatti, nel soprassedere alla doverosa e necessaria esigenza di riparare l’ordine disatteso o, addirittura, demolito.

Così il perdono mira alla giustizia che non è una temporanea e fragile cessazione delle ostilità ma, piuttosto, un reale e pieno risanamento e risarcimento dei traumi subiti ed inferti. Giustizia e perdono, alla fine, stanno o cadono insieme. Se, infatti si mira solo alla stretta giustizia – quante Versailles si sono date e si danno nel mondo – non si riuscirà mai a raggiungere la giustizia.

Riflettere sulla pace, sulla giustizia, sul perdono in una celebrazione eucaristica – la forma più alta di preghiera per il cattolico – non è trattarne in un convegno, in una tavola rotonda o in un talk show televisivo.

Interrogarsi sulla giustizia e sul perdono è essenziale, dinanzi a scenari ogni giorno sempre più compromessi, soprattutto considerando i nuovi tipi di armamenti. Pensiamo ai sistemi d’arma dipendenti dall’intelligenza artificiale e pensiamo, anche, alle minacce di alzare il livello di scontro, evocando l’uso di armi sempre più potenti.

Soprattutto dopo la fine della guerra fredda, dobbiamo fare i conti con varie forme di terrorismo, a proposito del quale Giovanni Paolo II scriveva, nel messaggio per la giornata mondiale della pace del 2002, pochi mesi dopo l’attacco alle Twin Towers: “…[il terrorismo] si è trasformato in una rete sofisticata di connivenze politiche, tecniche ed economiche, che travalica i confini nazionali e si allarga fino ad avvolgere il mondo intero. Si tratta di vere organizzazioni dotate spesso di ingenti risorse finanziarie, che elaborano strategie su vasta scala, colpendo persone innocenti, per nulla coinvolte nelle prospettive che i terroristi perseguono… Esiste perciò un diritto a difendersi dal terrorismo. E un diritto che deve, come ogni altro – sono parole di Giovani Paolo II, oggi, attualissime -, rispondere a regole morali e giuridiche nella scelta sia degli obiettivi che dei mezzi. L’identificazione dei colpevoli va debitamente provata, perché la responsabilità penale è sempre personale e quindi non può essere estesa alle nazioni, alle etnie, alle religioni, alle quali appartengono i terroristi” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la XXXV Giornata Mondiale della Pace – 1 gennaio 2002, nn. 4-5).

Il perdono – prima d’essere fatto sociale, giudiziale e politico – riguarda il cuore dell’uomo; solo allora è possibile esprimere la cultura del perdono e quindi anche una politica conseguente espressa in scelte in cui la stessa giustizia assume un volto non meno giusto ma più umano.

Per il cristiano il modello supremo e inarrivabile del perdono è Cristo sulla croce che prega: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). In quanto atto umano, il perdono è iniziativa della persona nel suo rapporto con le altre persone. La persona, lo ricordiamo, si caratterizza per una essenziale dimensione sociale per cui intreccia una rete di rapporti in cui si propone nel bene e nel male.

Coltivare pensieri di giustizia, di pace e di perdono, servirsi di parole ispirate alla giustizia, alla pace e al perdono, compiere scelte di giustizia, di pace e di perdono: tali azioni costituiscono l’antidoto contro ogni forma di conflittualità e guerra nascosta o manifesta.

Papa Leone XIV, nel primo incontro avuto lo scorso giugno con i Vescovi italiani, aveva esortato con forza i Vescovi e le loro Chiese particolari con queste parole: “Auspico (…) che ogni Diocesi possa promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro. Ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa” (Leone XIV, Discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, 17 giugno 2025).

Nel maggio 1917, con una lettera all’allora Segretario di Stato Card. Gasparri, il Papa genovese Benedetto XV (lo stesso che, poco dopo, definirà la prima guerra mondiale come un’ “inutile strage”) stabilì di inserire nelle Litanie Lauretane l’invocazione mariana “Regina pacis, ora pro nobis” perché “si levi (…) verso Maria, che è Madre di misericordia ed onnipotente per grazia, da ogni angolo della terra (…) la pia, devota invocazione e (…) muova la Sua tenera e benignissima sollecitudine ad ottenere al mondo sconvolto la bramata pace”.

Insieme a san Michele, patrono della città di Mestre e della Polizia di Stato, invochiamo anche noi oggi l’aiuto e l’intercessione di Maria, “Regina della pace”, affinché ci protegga in questo periodo di crescenti conflittualità che potrebbero deflagrare in qualcosa che ha la forza di amministrare la morte come mai prima avevamo potuto vedere. Sarebbe una sorta di suicidio assistito del nostro pianeta.

 

 

 

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