Lettera pastorale “L’amore di Cristo ci possiede”: il Patriarca Francesco sottolinea forza e importanza del primo fondamentale annuncio (Gesù è il Signore)

La nuova Lettera pastorale del Patriarca Francesco Moraglia è contenuta nel volumetto “L’amore di Cristo ci possiede. Il primo annuncio nella vita della Chiesa”, edito da Marcianum Press. Viene presentata e distribuita durante la Giornata formativa diocesana di domenica 30 settembre 2018 a Mestre/Gazzera; sarà poi disponibile (costo 7 euro), dai giorni successivi, nelle librerie Studium di Venezia e San Michele di Mestre. Di seguito, ecco un “compendio” dei contenuti espressi nella riflessione del Patriarca.

 

Punta decisamente ed invita a fissare lo sguardo, l’attenzione e il cuore sull’annuncio essenziale del messaggio cristiano per accendere «il desiderio di ricentrare la vita cristiana personale e comunitaria sul Vangelo, ossia su Gesù Cristo, il Figlio eterno del Padre che, risorto da morte, dona lo Spirito per il perdono dei peccati e ci rivela e dona l’infinita misericordia del Padre». Sin dalle prime righe il Patriarca Francesco indica la forza e l’importanza, per la persona e per la comunità, del kerygma – il primo annuncio cristiano – che viene sempre prima di tutto, non tanto in senso cronologico ma come «il fondamento su cui tutto appoggia, l’origine che permane nello scorrere della storia» e da cui, quindi, lasciarsi finalmente afferrare e possedere, come evoca anche il titolo della Lettera preso a prestito da un’immagine di san Paolo.

Rimettere in ordine, con le giuste priorità. «Nella Chiesa vi sono realtà che vengono prima di altre e alle quali è necessario continuamente ritornare». E, allora, con il kerygma si tratta di rimettere al centro il battesimo e l’eucaristia che rischiano, invece, di «non occupare il posto che loro compete rispetto ad altri annunci ed altre prassi che obiettivamente vengono dopo di loro. Il rischio è che pastorale e vita delle nostre comunità si costituiscano a prescindere dagli annunci, dalle verità e prassi prioritarie e che tutto si leghi ad ermeneutiche psico-sociologiche e filosofico-culturali anziché alla Parola di Dio incentrata nel kerygma». Il Patriarca si sofferma sulla realtà della Chiesa – «mistero e sacramento» – e spiega che anche il tentativo in atto, nella realtà veneziana, di costituire nelle nascenti collaborazioni pastorali dei “cenacoli” – «piccole comunità battesimali ed eucaristiche fondate sulla fede in Gesù morto e risorto» – risponde alla necessità di «metterci tutti in gioco: ministri ordinati, consacrati, consacrate e fedeli laici» e così di vivere al meglio la (costitutiva) dimensione sacramentale della Chiesa che, prima ancora di essere “ministeriale” (con tanto di poteri e funzioni), va soprattutto colta come «mistero da cui discende la sua appartenenza a Gesù Cristo».

Il cristiano: segnato dalla croce di Gesù. Come discepoli del Risorto è impossibile prescindere dalla croce. Non stupisce che il martirio – la testimonianza per eccellenza – sia pure oggi la cifra “eroica” di parecchi cristiani nel mondo, poiché «per i discepoli e le comunità cristiane l’impegno è diventare testimoni visibili – diurni – di Cristo, superando l’umbratile e timorosa testimonianza di Nicodemo. La martyria non è esito di sforzi umani ma il frutto maturo della sapienza della croce; è puro dono di Dio che conduce oltre il sapere e le conoscenze umane». Ogni battezzato è chiamato a «dire nella vita – con la fede, la speranza e la carità – che Gesù è il Signore». La Pasqua di Gesù, quindi, giunge a toccare e a trasformare ogni forma di vita cristiana: «Tutto quello che ha riguardato Lui – il Maestro, il Signore – riguarderà ogni discepolo… Gesù spiega, senza reticenze, le condizioni del discepolato: credere in Lui è partecipare al mistero della passione, morte e risurrezione». Ecco perché «il discepolo non deve aggiungere o togliere nulla al Vangelo , non può cedere alla logica del mondo e di chi Gesù ha indicato come il nemico, l’avversario, Satana, colui che rifiuta la croce…». L’azione divina si sviluppa nella storia e si svolge nella vita sacramentale della Chiesa – il Patriarca lo sottolinea – come «dono progressivo che, grazie all’iniziativa di Dio e al cuore dell’uomo aperto verso un “Oltre”, ci consente d’incontrare nella fede il Dio che salva». Decisiva, infatti, è sempre la fede: «Essere cristiani non vuol dire assumere compiti e svolgere mansioni o servizi nella Chiesa ma essere radicati in Cristo, Sacramento Originario della salvezza».

La fede dei nostri ragazzi, il divertimento, la domenica, le nostre messe… Nella seconda parte della Lettera il Patriarca riflette sulla trasmissione della fede agli adolescenti: «…dobbiamo interrogarci se come comunità (genitori, presbiteri, persone consacrate, catechisti, educatori) abbiamo saputo dire agli adolescenti – in modo convincente – che Gesù non è un intoppo da cui liberarsi o una delle tante proposte fatte nel breve spazio dell’adolescenza. I nostri patronati e Grest rappresentano reali occasioni per incontri veri con Gesù o, per qualche inconfessato timore, ci fermiamo ancora prima d’aver pronunciato il suo nome? Siamo impegnati come comunità in una proposta culturale e spirituale orientata ai valori del Vangelo?». Bisogna chiedersi chi orienta le scelte degli adolescenti, chi sa motivarli davvero e, ancora, «se siamo riusciti a presentare loro la persona di Gesù in maniera significativa oppure se, nonostante l’impegno, non siamo stati capaci di testimoniare in modo convincente che perdere Gesù è anche perdere la propria umanità». Anche il tempo del divertimento e del gioco dovrebbe essere in grado di «lasciare nei ragazzi qualcosa di umano e di cristiano». Il Patriarca chiede di ritornare al Vangelo e alla «verità della domenica», ripensando con semplicità e discernimento autentico le «relazioni umane fondamentali» in quanto «il giorno del Signore deve prima di tutto portarci all’incontro con Dio e poi a rivedere il rapporto con noi stessi e con il prossimo. La comunità cristiana è invitata ad andare oltre i modelli che oggi generano tale cultura; si tratta di fare discernimento secondo il Vangelo, non cedendo al politicamente corretto e al pensiero unico dominante, trovando stili di vita che – secondo l’insegnamento sociale della Chiesa – pongano l’uomo in quanto tale al centro del quadrante finanziario, economico e culturale». Anche le «nostre Sante Messe» devono essere sempre più esemplari quali «vere espressioni di ringraziamento a Dio».

Lasciarsi plasmare da Dio, con gioia e… agilità. La lettera termina con un invito alla gioia cristiana. Il Patriarca cita gli esempi di san Francesco d’Assisi e san Giovanni della Croce ma anche le più recenti vicende umane e cristiane di Chiara Corbella Petrillo e Carlo Acutis. Esorta a «lasciarsi plasmare dal kerygma» e incita a farlo, in particolare, attraverso una realtà di Chiesa più «agile», ad iniziare dal rapporto con beni e strutture: «Dobbiamo concentrarci sull’essenziale, recuperando il senso di Dio e crescendo nel rapporto personale con Lui. In società e culture che privilegiano l’efficientismo, la performance, l’apparire e l’immagine, dobbiamo – come singoli cristiani e comunità ecclesiali – riscoprire il senso di Dio, il valore della grazia, e la santità vissute nell’ordinarietà delle scelte quotidiane. Stare alla presenza di Dio e camminare dietro a Lui vuol dire riporre in Lui la nostra fiducia e lasciare che sia Lui a plasmarci come fa il vasaio con la creta, acconsentendo ai suoi tempi e ai suoi modi».

 

In allegato la copertina della Lettera pastorale.

(A.P.)